Varie ed eventuali – parte prima

Sul voto segreto in Parlamento.

Com’è noto, si tratta di una pratica introdotta a tutela dell’indipendenza del rappresentante parlamentare, alla stessa stregua dell’immunità. Modalità di voto concepita quando si reputava – giustamente – necessario fare in modo che, quanto meno per determinate votazioni aventi a oggetto questioni gravi, di coscienza o politiche, ovvero soggette a pesanti influenze da parte del gruppo politico di appartenenza, l’espressione di ogni singolo voto non fosse riferibile a questo o quel parlamentare, in modo tale da consentirgli di partecipare al voto in piena libertà decisionale, senza subire pressioni o ritorsioni.

Questo, quando – come scrivevamo pochi giorni or sono – probabilmente più erano i gentiluomini che non i mascalzoni, a sedere sui banchi di Camera e Senato: ora, certamente il rapporto numerico si è invertito in maniera esponenziale, anche sotto il profilo delle condanne passate in giudicato; il che paradossalmente, invece di portare all’abolizione di un sistema di voto che presenta, quale altra faccia che ogni medaglia ha, problemi di chiarezza in punto di rappresentatività politica degli elettori (sarà pure giusto che io sappia come vota il parlamentare che ho contribuito a eleggere e, più in generale e fuori dall’orticello dei miei interessi, come vota il mio partito di riferimento), ci pone il dubbio se non sia il caso di mantenerlo, questo voto segreto. Magari per fare in modo che un parlamentare un po’ poco coraggioso e potenzialmente ricattabile, possa manifestare il proprio voto, tutelato dal segreto dell’urna. Come a dire, meglio un codardo che ogni tanto alza la testa, piuttosto che un peone sempre pronto all’obbedienza. Sarebbe meglio nessuno dei due, ma non si può avere tutto dalla vita.

Quanto accaduto ieri in Senato – che esiste ancora: in Italia si nascerà anche poco, ma dal punto di vista istituzionale morire è a termine indefinito, più che a credito, come scriveva Céline – non aiuta né, peraltro, conferisce dignità alla questione. Fuori dai denti: nello specifico, la vicenda giudiziaria di un ottuagenario ormai fuori dal Parlamento, la questione sarebbe di poco conto, se non avesse a che fare con la dibattuta questione delle intercettazioni di parlamentari e la loro utilizzabilità; ma poco ci importa se l’aiutino è arrivato dal M5S ovvero dal PD – e non sarebbe la prima volta, per cui Serracchiani, Orfini, Rosato e compagnia cantante dovrebbero di tanto in tanto praticare la nobile arte del silenzio. Quello che, a mio giudizio rileva, in quanto proiettanti oltre che nel passato anche nel futuro, è il motivo per il quale questo o quel senatore non fosse presente in aula al momento del voto.

Tanto per dire della capacità della Destra di mobilitarsi (il che spiega le sue ripetute vittorie, qui e altrove): ha partecipato al voto anche il senatore avvocato Niccolò Ghedini, detentore del record delle assenze presso la Camera di appartenenza, evidentemente più spesso impegnato in altre cose – come, per esempio, pagato dai contribuenti per fare il senatore, trascorrere innumerevoli giornate in tribunale, sottratte per l’appunto al proprio impegno di lavoro parlamentare, in collegio col senatore avvocato Piero Longo (idem) a difendere Silvio Berlusconi, all’epoca pure lui pagato per fare il parlamentare. NON hanno partecipato al voto, per esempio, il senatore del Pd Esposito – quello che ha accettato dall’allora sindaco di Roma Ignazio Marino l’incarico di l’assessore ai trasporti, per poi 45 giorni dopo partecipare all’accoltellamento politico di chi l’aveva indicato come persona adatta per quel delicato compito.

E dove si trovava, il senatore Esposito (a proposito: un Pro-TAV della prima ora, pienamente allineato con l’ex Presidente della Repubblica che non nomino e l’ex Procuratore di Torino, Gian Carlo Caselli, secondo entrambi i quali, i contestatori del TAV sono TUTTI, per definizione, terroristi)? In missione parlamentare? Impegnato in un importante convegno internazionale? A casa con il mal di pancia? No: si trovava impegnato in un dibattito televisivo.

E dove si trovava la senatrice Camilla Fabbri? A un’assemblea di Confindustria.

Era proprio necessario che il senatore Esposito fosse in televisione (dove, peraltro ci va spesso, a differenza per l’appunto di quanto fa Ghedini in Senato: gli uscieri di Palazzo Madama avranno preteso l’esibizione del tesserino, non riconoscendolo), invece che a votare? Non poteva andarci un’altra volta?

E la senatrice Fabbri, doveva proprio andarci, a questa assemblea? Non poteva PRIMA partecipare al voto e POI andare all’assemblea? O viceversa? E se ci è andata – come è ipotizzabile e, perdonate, anche auspicabile (cos’altro ci va a fare un senatore, a un’assemblea privata?) – solo per portare i saluti del parlamento o poco più, non ci poteva mandare un suo segretario? Dopo tutto, avrebbe giustificato in maniera apprezzabile la propria assenza.

Il voto segreto non è il problema. Il problema è la coscienza del singolo parlamentare. Il problema è: come possiamo, noi cittadini, essere certi della capacità, dello spirito di servizio, della serietà del compito che assume ogni singolo candidato, dal momento in cui sono state smantellate le scuole di partito e da quando chiunque – per il solo fatto di essere incensurato, il che non può mai essere sufficiente – è in grado di diventare parlamentare, con tutte le responsabilità, istituzionali, personali, di coscienza, che ciò implica, senza un minimo di esperienza pubblica, di studio, di formazione? Pretendiamo, ovviamente, che un medico, un insegnate, un avvocato siano dotati di laurea: da uno che partecipa niente di meno che alla decisione sui destini non di un singolo paziente o cliente o studente o anche solo diecimila di loro, ma su quello di milioni di cittadini da oggi al futuro, per le più svariate e alle volte fondamentali questioni, non si pretende altro che onestà e incensuratezza.

Troppo poco: non basta. E si vede – non si vedesse… ma si vede, parafrasando un celebre tormentone comico, che qui vira in tragico.

Cesare Stradaioli