IL POTERE CHE CONVIENE A CHI CE L’HA

I poteri dell’amministratore delegato di una società come l’ENI sono paragonabili a quelli di un primo ministro di una nazione non proprio di piccolo taglio. Volendo, si potrebbe dire che un consiglio di amministrazione concreti un esercizio di effettività e governabilità – con il suo sinonimo per gli analfabeti della politica: stabilità – che trova pochi riscontri: se il delegato non si manifesta all’altezza dell’incarico ricevuto, se ne va e ne viene nominato un altro, al netto di ricorsi, campi larghi e cineserie assortite. Quando si dice democrazia diretta.
Ora, le volte in cui Claudio De Scalzi, potente quanto schivo alla notorietà – è lì, il suo potere – prende la parola, di solito succede qualcosa di rilevante, a prescindere dalle opinioni personali di ciascuno. Le quali, però, pur sempre contano. Per cui, se in una delle sue più recenti dichiarazioni, afferma che la cosiddetta transizione ecologica (qualsiasi cosa voglia dire il termine: già transitare implica un consumo di energia, che sia equina o nucleare concettualmente cambia poco) si farà esclusivamente se vi saranno dei profitti, fa un po’ specie udire a sinistra – anche qui: qualsiasi cosa significhi la definizione – espressioni di sorpresa o di malcelato disappunto. Ohibò, lor signori, cosa sono quelle facce? Ha per caso, l’uomo forte dell’ENI, detto qualcosa di nuovo?
Egli è delegato soprattutto a una cosa, depurando il tutto da doppi e tripli sensi: garantire agli azionisti investitori (quelli che l’hanno messo dove sta e che se non è all’altezza eccetera eccetera) un conveniente e costante flusso di dividendi. In altre parole: che ne valga la pena e che non ci siano sorprese a lungo termine. E’ lì per quello: il resto sono svolazzi di contorno. Sicché sentirgli dire che una qualsiasi cosa, dovesse anche consistere nel ridipingere di lilla stile pandoro Bauli le pareti della sede centrale, si può e si deve fare a condizione che generi utili, dovrebbe portare chiunque dotato di un minimo di ingegno a dire: così si fa, l’amministratore delegato!
Così funzionano quegli agglomerati di persone e capitali, conosciuti come società per azioni; quelli che producono automobili, dentifrici, che gestiscono telefonia e traffico su gomma di qualsiasi prodotto, alimentare e non; quelli che investono per guadagnare, non per perderci o per chiudere in pari – avrebbero altre soluzioni; da qualsiasi cosa, dalla compravendita di diamanti, cabinati di lusso e riscossione dei crediti di enti pubblici che saremmo tutti noi e che regaliamo parte per niente irrilevante del ricavato – le imposte, le tasse, le multe, le pene per infrazioni al codice della strada – a persone o società che magari si trovano in Indonesia o che a Parigi hanno solo una sede con un tavolo e un computer. Sono quelli ai quali la Sinistra mondiale ha dato onori e gloria, denari e potere, lasciando che sia qualcun altro a rigovernare la cucina e mettere a posto il salotto.
Sono quelli che hanno convinto i rappresentanti politici di quella cosa di prima che significa qualsiasi cosa, a convincere i propri elettori, i loro referenti, le persone e le associazioni che avrebbero dovuto rappresentare e che per difendere i cui interessi avrebbero dovuto battersi con tutte le loro forze, ad accettare il dogma che prima di tutto le cose devono andare bene a quelli che ci mettono i soldi e, in secondo luogo e probabilmente più grave, la smisurata panzana secondo la quale esistono proposte e realizzazioni concrete che convengono a tutti.
Niente, a questo mondo, conviene a tutti, neppure nel minuscolo orticello che è il nostro Paese – che, nel suo piccolo, conta pur sempre sessanta milioni di abitanti: c’è sempre qualcosa che conviene di più a qualcuno e pochissimo o per niente a tutti gli altri. Rimane, pertanto, la domanda: perché tanto stupore?

Cesare Stradaioli