Gentiluomini, gentildonne e prostituzione in saldo

Di nuovo sull’articolo 67 della Carta Costituzionale.

Il quale così recita – repetita iuvant: “OGNI MEMBRO DEL PARLAMENTO RAPPRESENTA LA NAZIONE ED ESERCITA LE SUE FUNZIONI SENZA VINCOLO DI MANDATO.”

Analizzando la frase nel particolare, abbiamo deputati e senatori (la qualifica di questi ultimi è rimessa al referendum di ottobre), che si danno per eletti, in quanto membri del Parlamento; abbiamo il fatto che rappresentino la Nazione in quanto eletti e che la rappresentino nell’esercizio delle loro funzioni.

Il fatto di svolgerle senza vincolo di mandato è un concetto lungamente discusso, anche in ragione di una certa indeterminatezza di cosa si intendesse col termine ‘vincolo’, posto che sul concetto di mandato non vi è mai stato dubbio di sorta. La questione non è di poco conto, dal momento che, a interpretare la lettera dell’articolo 67 nel massimo dell’apertura mentale, si potrebbe arrivare a dire che un parlamentare possa operare nell’ambito delle sue funzioni, seguendo intenti e perseguendo fini del tutto diversi da quelli con i quali ha convinto un certo numero di elettori a dargli la fiducia e mandarlo a Roma – o tenendocelo, trovandosi il tizio già lì.

Il che può essere fatto sostanzialmente in due modi: o remando contro, come si dice, all’interno del partito nelle cui fila è stato eletto, ovvero cambiando partito o gruppo parlamentare. Nel primo modo si rischia l’espulsione dal partito ma non da Parlamento; in realtà, allo scopo di evitare sgradevoli prese di posizione (o di subirle) c’è sempre il voto segreto a tutelare le male/benefatte, anche se poi alla lunga, oppure in occasioni di una certa importanza, prima o poi chi vota contro si viene a sapere chi sia stato. Ora, è ben vero che ufficialmente i 101 che hanno costituito la carica che ha affondato Prodi prima dell’indecente rielezione dell’altrettanto indecente Presidente che preferiamo non nominare, non hanno nome, anche se il loro ispiratore è Presidente del Consiglio da oltre due sciagurati anni: è altrettanto vero che, ufficiosamente, nomi e cognomi sono ben noti nei corridoi di Montecitorio e delle segreterie ma non traspaiono né traspariranno mai, allo stesso modo in cui i segreti del PCUS, sempre all’interno di determinati corridoi, non erano altro che segreti di Pulcinella, se vi è una versione sovietica della maschera partenopea.

Vi è un secondo modo: cambiare casacca. Ed ecco l’importanza dell’articolo 67, strettamente correlata all’esigenza non più procrastinabile della sua riforma. L’aggettivo riferito alla necessità e urgenza è uno dei più abusati, nella terra dei cachi e delle deroghe, pertanto siamo consapevoli di scrivere in merito a bei propositi. I quali, perbacco, in un modo o nell’altro devono pure esserlo.

E’ evidente che l’articolo 67 fu scritto in un’atmosfera da gentlemen’s agreement; sia chiaro, i filibustieri c’erano anche quella volta: non pochi, fra gli estensori di quella meraviglia giuridico-linguistica che è la nostra Costituzione, pochissimi anni dopo dettero corpo alla cosiddetta ‘legge truffa’. Diciamo che di filibustieri ce n’erano meno; diciamo che, nel periodo di gestazione della Costituzione, all’esito di infiniti scontri e diatribe, si giunse a una serie di accordi fra gentiluomini. Sarebbe preferibile parlare di accordi di pace – i quali, notoriamente, difficilmente si fanno fra alleati, essendo concettualmente più logico fare accordi col nemico – ma la sostanza non cambia, solo considerando la distanza intergalattica che, sotto il profilo culturale e politico, si misurava, per dire, fra un Arturo Carlo Jemolo e un Concetto Marchesi. Come che sia, il patto era questo: si entra in Parlamento all’interno di un partito e, se nel corso del tempo si decide di non essere più d’accordo né col partito né con le proprie idee iniziali, ci si dimette, per lasciare il posto al primo dei non eletti, col quale il dimissionario condivideva almeno all’epoca una profonda comunanza di idee e intenti. Ma se si ritiene di non doversi dimettere, ebbene ciò era rimesso alla coscienza del singolo, il quale in tutta onestà ritiene, in diversa collocazione anche sul dove prendere posto, di poter servire lo Stato (quando ancora il termine ‘servitore dello Stato’ non aveva indotto Altan a creare una vignetta all’interno della quale un ‘servitore dello Stato’ si augurava di essere destinatario di lascito testamentario alla morte del padrone, a ricompensa per l’appunto dei suoi servigi), intento che nobilmente andava oltre la diversità partitica.

Ecco, dunque, chiarito cosa significasse essere scevri da vincoli di mandato. Tu, elettore, non hai eletto me, bensì la mia onestà.

Bei tempi. Oggi, mentre il mondo si trova alle prese con attentati e colpi di Stato (staranno mica tornando i mitici anni ’70…), prosegue imperterrito un golpe strisciante, iniziato parecchi anni fa e tutt’ora perdurante sotto l’usbergo di governi diversi (anche qui ci sarebbe da discutere: magari un’altra volta), costituito dal massiccio, costante, impunito cambio di casacca di parlamentari che si contano a centinaia, travaso del quale hanno beneficiato tutti (e due), da Berlusconi a Renzi, e magnificamente acclarato in questi giorni dal transfuga sottosegretario Zanetti, del quale, in tutta onestà – ahi, che parolona – non ci importa un accidente né da dove è andato e dove è andato, né del perché (siamo grandicelli, e anche considerevolmente più vecchi e più esperti di vita di lui e non c’è bisogno che ci facciano un disegnino per sapere le ragioni di questa farsa del cambio di partito).

Non ci sono più i gentiluomini di una volta. Ed è anche e soprattutto colpa – sia chiaro – di chi li manda in Parlamento. Sta di fatto che sarebbe ora di ritoccare la Costituzione, introducendo il vincolo di mandato, ovvero un meccanismo che ponga fine all’osceno balletto, degno di locali per scambisti, di parlamentari che si muovono come truppe cammellate al servizio di questa o quella maggioranza. Sarebbe una modifica che non solo non toccherebbe l’impianto della Costituzione, i suoi gangli vitali, ma interverrebbe dove veramente serve: cos’è più importante? Abolire il bicameralismo perfetto o sapere che non vi saranno più trasfusioni di sangue infetto in Parlamento? Dovendo scegliere – sempre brutto essere messi di fronte a un aut aut, ma la vita è dura per tutti – noi non avremmo dubbi.

Cesare Stradaioli