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SUL DDL “ZAN”

Al di là delle argomentazioni proposte dall’articolo di Odifreddi, che mi trovano totalmente d’accordo, ecco qualche osservazione sulla asserita necessità di una legislazione quale quella contenuta nel DDL c.d. “Zan”.
Prima, una premessa metodologica: il decreto prevede l’inserimento della discriminazione per sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere o sulla disabilità, all’interno dell’articolo 604bis, che punisce l’istigazione a commettere atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi. Con tutte le varie fattispecie aggravanti, inclusa l’associazione, che vi risparmio in quanto lunghe, noiose e ripetitive. Il senso del 604bis è quello.
Ora, personalmente trovo fuori luogo equiparare atti di discriminazione di carattere sessuale (della disabilità, di cui pure si occupa il ddl Zan, non parla nessuno), a quelli ben più alti e di portata storica notevolmente maggiore: non fosse altro per il fatto che le situazioni, le condizioni la cui discriminazione è punita dall’art. 604bis sono definite, oggettive oltre che soggettive; là dove, per contro, l’identità sessuale viene rimessa alla libera e discrezionale decisione del singolo, con tutte le problematiche di indefinitezza che ciò rappresenta. In caso di approvazione, troverei più che probabile una sanzione da parte della Corte Costituzionale, proprio sul punto.
La particolare tutela dell’art. 604bis trova il fondamento ovviamente nella Costituzione ma anche – e come conseguenza – in quanto accadde nel XX secolo: tanto che sia in Costituzione sia nell’articolo 604bis è stato mantenuto l’aggettivo “razziali”, quando la comunità scientifica da decenni esclude l’esistenza di razze diverse da quella umana, unica al mondo.
Una persona oggetto di discriminazione, sul lavoro, in politica, nell’insegnamento, dove volete, è già tutelata dalle norme di ordine pubblico, del codice civile e dei vari regolamenti del lavoro: in pratica, si può licenziare per giusta causa ma non perché uno è omosessuale o transessuale. NON SI PUO’, la legge attuale non lo consente, punto e basta.

Quanto alle offese, proprie di chi non tollera le opzioni di carattere sessuale, anche qui capiamoci su metodo; due settimane or sono, il Corriere della Sera per due giorni ha fatto una paginata intera (con tatnto di titolo scatola) su un ragazzo, offeso perché vestiva fucsia. Il punto è che la cosiddetta ‘offesa’ consisteva nella seguente frase: “Ma non ti vergogni?” Senza neppure la specificazione del perché avrebbe dovuto vergognarsi.
Questa NON è un’offesa: è un’espressione di pensiero. Non lo sarebbe neppure la frase “Tu sei uno che dovrebbe vergognarsi”, per lo stesso motivo.
Detto ciò, facciamola breve e sintetica: dare del finocchio a uno, dare della sporca lesbica leccafighe a una donna o del ‘mongoloide’ a un cittadino, non è altro che diffamazione (il reato di ingiuria è stato abrogato nel 2016), prevista e punita dall’articolo 595, con possibili varie aggravanti (e sul punto, a differenza della diffamazione su altre questioni, non è ammessa la prova liberatoria; esempio, posso provare che Tizio è un ladro e che avevo ragione a definirlo tale, mentre ovviamente provare che sia omosessuale, non essendo reato, non costituisce motivo di esimente).
Esempio di aggravanti: l’articolo 61 del codice penale prevede le aggravanti; i motivi abbietti o futili (n. 1), avere commesso il fatto con abuso di poteri, violazione di obblighi inerenti a un pubblico servizio (n. 8), l’avere commesso il fatto con abuso di relazioni o autorità domestiche, d’ufficio, di prestazione di opera, di assistenza, di ospitalità o coabitazione (n. 11), l’avere commesso il fatto contro un minore all’interno o nelle adiacenze di istituti di istruzione e formazione (n. 11ter), l’avere commesso il fatto in danno di persone ricoverate presso strutture sanitarie, pubbliche private ovvero socio-educative (n. 11sexies).
Un bel respiro.
Ce n’è per andare ben oltre i due anni di condanna, limite all’interno del quale è prevista la sospensione condizionale della pena – posto che il condannato sia incensurato, altrimenti non c’è verso.

Due cose sul femminicidio e sulla tortura.
A parte il fatto che a me non garberebbe l’introduzione del reato di “legalicidio”, pure in presenza di una lunga e corposa serie di uccisioni di avvocati (anche se, secondo Shakespeare, sarebbe un buon inizio, per qualsiasi cosa), e senza rifare un elenco, come per la tortura, vi invito a leggervi i seguenti articoli del codice penale:
– 575 – omicidio
– 576 e 577 – aggravanti speciali
– 582 – lesione personale
– 583 – aggravanti speciali
– 583bis – mutilazioni
– 61 – circostanze aggravanti comuni

 Considerando che le aggravanti possono aumentare la pena base di metà e oltre e che in caso di recidiva (semplice, se hai già commesso un reato; specifica, se il reato era della stessa specie; reiterata, se sei già stato condannato come recidivo; infraquinquennale – per evidenti ragioni) la pena può essere aumentata fino a 2/3, sono sicuro che anche all’attenzione di chi non sia esperto di diritto penale, appaia chiaro come il codice, di per sé, contenga tutte le aggravanti necessarie senza bisogno di introdurre nuove fattispecie.
Un esempio per tutti: i fatti di Genova del 2001.
Molti rimpiangono che all’epoca non vi fosse il reato di tortura; provate a fare i conti con le aggravanti e vedete se non si arriva a 10-12 anni di reclusione, anche senza quella fattispecie che all’epoca non c’era.
Il problema dei fatti di Genova nello specifico è che non fu possibile identificare i criminali in divisa; più in generale, il problema è dei giudici, qualcuno particolarmente restio ad applicare le aggravanti, ma questo è un problema culturale, non di legislazione penale.
A Santa Maria Capua Vetere vi fu tortura? E chi lo dice? Le immagini?
Io vedo esseri umani sottoposti a violenze immotivate, illecite e aggravate dall’abiezione, dai motivi futili e dall’abuso di autorità. Appunto. Non serviva il reato di tortura per arrivare a pene adeguate.
In ipotesi, non ho bisogno di mettere l’etichetta ‘tortura’ a un episodio in cui vengono usati elettrodi, mutilazioni, finto annegamenti o finte fucilazioni o altro: sono tutte lesioni in sé gravissime pluriaggravate dagli stessi fattori oggettivi e soggettivi di cui sopra.
Così come non ci dovrebbe essere bisogno di dare un’identità sessuale a un’uccisione.
Perché l’omicidio di una donna dovrebbe, in sé, essere punito con maggiore gravità di quello di un uomo?
Non può esserlo. Bene. Allora, a che pro la legge speciale? Quando nel codice ci sono già tutte le aggravanti che avrete avuto la pazienza di andare a leggervi?
Forse che una risposta penale più aspra possa avere l’intento di porre un argine, per quanto possibile, a quel vero e proprio fenomeno sociale dell’uccisione di donne, mogli, figlie, sorelle, fidanzate, proprie e altrui?
Una volta tanto, gli Stati Uniti offrono un esempio virtuoso: l’inasprimento delle pene NON basta, in sé, a circoscrivere il crimine che si intende contenere, ANZI tende ad aggravarlo ed estremizzarlo.

Il codice penale italiano, per quanto ancora con il nome Rocco, prevede già adesso tutte le possibili ipotesi di reato-pena.
Ancora un esempio e poi basta; la norma che tutela il segreto epistolare è l’articolo 616, così intitolato; Violazione, sottrazione e soppressione di corrispondenza.
Non c’è bisogno di una norma particolare, pur dopo 90 anni da che il codice è entrato in vigore: anche adesso, un giudice può applicare tale articolo alle violazioni e reati che riguardano il flusso telematico.

Spero di essere stato sufficientemente chiaro e poco noioso.

Le norme sono di non agevole lettura e di faticosa interpretazione: a me, lo dite?

C

 

 

 

2 commenti su “SUL DDL “ZAN”

  1. Grazie mille per il chiarimento, se ho ben capito (beneficio del dubbio) la legge attuale già prevede delle “sanzioni “per chi discrimina in qualunque modo: sia esso di sesso, sia nei confronti di chi presenta deficit fisici o mentali…..quindi si tratta di applicazione della legge ?

    • Diciamo che si tratta di applicare leggi che già esistono e di non sovraccaricare un impianto penale già elefantiaco di suo.
      Diciamo anche che farsi promotori di nuove leggi è spesso un ottimo lasciapassare per carriere politiche e promozioni elettorali.
      C

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