CATTIVI PENSIERI INDOTTI

Il sospetto è che ci sia qualcosa di sporco, dietro l’ossessivo richiamo al 7 ottobre, ogni qual volta qualcuno si metta di traverso all’operazione armata (il termine ‘guerra’ ancora una volta è usato a sproposito, non risultando i civili palestinesi essere dotati di armi, leggere o pesanti che siano, né di divise da inquadrarsi in qualche gerarchia militare) che Israele sta portando avanti, pressoché indisturbato, a meno di non voler intendere come disturbo il fragoroso scontro di piume ad alta quota, costituito da marce, proteste, prese di posizione in ordine sparso, note diplomatiche e – sporadicissimi e largamente paludati – articoli di stampa a fronte di decine di migliaia di vittime e un verosimile milione e più di sfollati.
I brutti pensieri generati da questo sospetto non provengono solo dal carattere di ciascuno, poiché l’ambiente esterno, che ovviamente ricomprende anche tutti gli altri esseri umani, ha un ruolo decisivo in tutti coloro che non abbiano optato per una vita rigidamente monastica e solitaria. Si annusa un che di strano, di vagamente stonato nel continuo riferimento al massacro perpetrato da Hamas e ciò si concreta nel fatto che, sia da fonti ufficiali e diplomatiche israeliane, sia da singoli interventi e anche dal compatto movimento mediatico a favore di Tel Aviv sempre e a prescindere, non venga richiamata solo la data – cosa più che comprensibile e legittima – quanto la sistematica conta delle vittime, degli ostaggi ancora in mano ai rapitori e della loro qualità di israeliani, con l’aggiunta dell’aggettivo-sostantivo ebrei.
A voler fare un esempio per chiarire il concetto, non pare che fin dall’immediato dopoguerra, ogni puntuale riferimento alla Lotta di Liberazione e cioè al 25 aprile, oppure allo scellerato intervento in guerra da parte dell’Italia e cioè il 10 giugno, abbia automaticamente portato con sé il numero dei morti, torturati e dispersi fra i partigiani e i soldati italiani: non sembrava necessario, poiché le date e la memoria erano o avrebbero dovuto essere più che sufficienti, tanto quanto era superfluo dare una nazionalità a quegli sventurati.
La conta e la qualifica delle vittime e degli ostaggi del 7 ottobre non può non far sorgere un terribile quanto cattivissimo pensiero, che per ora rimane tale: che un assassinato, che un sequestrato ebreo israeliano valga enormemente di più di un palestinese massacrato, espropriato della propria terra, vittima della pulizia etnica in corso a Gaza.
Abbiamo, per decenni, pazientemente sopportato, come detta il nostro senso di umanità e la coscienza, tutti gli scrutini di antisemitismo che seguivano le volte in cui abbiamo criticato la politica di Israele: è sacrosanto il diritto di avere gli stessi brutti pensieri che hanno mosso chi riteneva opportuno farci quelle offensive domande.
Quelle domande, sempre la stessa, hanno avuto regolare risposta. Farebbe un enorme piacere che qualcuno confutasse il nostro dubbio.

Cesare Stradaioli