UN BEL DOMANI…

Una delle poche cose certe nella situazione che coinvolge Israele, l’Autorità Palestinese e fanatismi contrapposti, insopportabile sia dal punto di vista umano sia da quello politico, è che Benjamin Netanyahu se ne andrà. Il suo nome è indelebilmente legato non solo a una politica sanguinaria, del tutto indifferente ai diritti umani di altri che non siano cittadini israeliani, totalmente prona alle strategie delle fasce più razziste, estremiste e religiose, ma anche di comportamenti eticamente riprovevoli, per usare un eufemismo.
E’ noto da almeno un decennio come l’unica, ma decisiva qualità di questo insignificante ometto (non si ricorda un solo suo discorso che avesse un respiro politicamente appena percettibile, ad li là del giudizio morale sui contenuti), sia stata quella di essere fratello di un tenente colonnello delle forze speciali, considerato un eroe per essere caduto nel 1976 durante l’operazione di liberazione di ostaggi prigionieri in un aereo dirottato a Entebbe. E questo è quanto.
Ma non credano, i solerti sostenitori di Israele in servizio permenente effettivo – il che significa complicità nell’esistenza Gaza come gigantesco campo profughi, nel massacro di civili come ritorsione, nella distruzione delle scuole di ogni grado (e poi si lagnano che i palestinesi non abbiano una classe dirigente all’altezza: de dove dovrebbero studiare, per corrispondenza?) e in tutte le altre porcherie commesse – di cavarsela avendo individuato nel babau cattivone Netanyahu, ormai disprezzato e sputtanato pressoché ovunque nella comunità internazionale, l’unica ragione di quello che sta succedendo. La politica israeliana ha radici lunghissime, complicità radicate ovunque; il tentativo di fare ricadere tutta la responsabilità della tragedia palestinese (incluso il fatto di avere Hamas come referente) su un premier che fino a prova contraria non è al potere grazie a un colpo di stato bensì dopo regolari e ripetute elezioni (le centinaia di migliaia di manifestanti suoi oppositori, dove sono quando ci sono le urne aperte?) e su una cricca di razzisti fanatici religiosi che sostengono i coloni fascisti, appare come la solita, vecchia e ritrita arma di distrazione di massa.
Da sempre Israele gode di finanziamenti a fondo perduto, sia militari sia medici, di una solidarietà in larghissima parte comprensibilmente basata sull’infinito senso di colpa europeo per la Shoah e di una sostanziale impunità per qualsiasi atto politico o militare compiuto; non riconosce alcun tribunale internazionale, delle risoluzioni ONU fa l’uso che Totò consigliava al colonnello inglese a proposito del fatto di avere carta bianca e, tanto quanto l’Iraq di Saddam, nega agli ispettori delle Nazioni Unite l’accesso e il controllo del suo arsenasle nucleare. Il ritiro a vita privata – e, forse, in qualche carcere per corruzione – di Natanyahu non risolverà un bel niente: gli succederà un altro leader del tutto sottomesso a ben altri poteri, conscio – se ha appena un po’ di giudizio – di essere il prossimo capro espiatorio in pectore, e tutto cambierà affinché nulla cambi: almeno fino a quando, auspicabilmente con le buone, Israele non verrà ricondotta o ci andrà di propria iniziativa, a più miti consigli. Diritti, come tutti gli Stati sovrani: e doveri, allo stesso modo. Niente di più e niente di meno.

Cesare Stradaioli