STROSZEK A VERCELLI

Il visionario Werner Herzog fece i conti anche con il Neorealismo (o con la ‘Neue Sachlichkeit’, che come ‘Nuova Oggettività’ culturalmente forse più gli appartiene: i nomi e le definizioni contano), quando portò sullo schermo, più di quarant’anni fa, una vicenda umana tragicamente simile a quella che si trova nelle cronache di questi giorni.
Un uomo qualunque, di cui sappiamo molto poco se non qualcosa sulla sua introversìa al limite dell’autismo, che non parla quasi mai e che appare costantemente stupito dal mondo che gli vive attorno e che lo trascina di qua e di là, esce di prigione ma non trova uno sbocco nella Germania del secondo dopoguerra in cui vive ai limiti della degenza e della decenza. Come niente, in un attimo si trova catapultato nella cosiddetta ‘terra delle opportunità’ – i miti sono duri a morire: e contro i miti non bastano le cifre, che definiscono gli USA come il Paese a economia di mercato da sempre con la più bassa percentuale di ascesa sociale – dove potrà (ri)farsi una vita. In breve, quel mondo disumano e assordante, pieno di colori accecanti, di false promesse, di parole urlate e musica sconclusionata e fastidiosa, gli si rivolta contro e, non potendolo rimandare da dove è venuto (mancano le risorse), lo emargina e gli manifesta la propria ostilità sotto forma della dipendenza dalla birra, che lo porterà a togliersi la vita in un sordido e miserabile luna park.
Quanto leggiamo sul tremendo fatto di sangue accaduto in Piemonte ricalca in maniera angosciosa la trama del film “La ballata di Stroszek”; soprattutto nel constatare che, al di là della considerazione che vede la morte di una persona – suicida, il protagonista del film: assassinata, la madre adottiva – la qualifica di ‘tremendo’ del fatto riguarda il motivo, il perché, il da cosa nasca il tutto. Un cittadino originario del Cameroun vede la propria vita cambiare nel momento in cui, giunto in Italia, viene successivamente adottato. La sua vita non cambia solo dal punto di vista del mettere insieme colazione pranzo e cena, possibilmente sotto un tetto in compagnia di persone che gli vogliono bene al punto da compiere quel nobilissimo gesto che, di solito, si sostanzia nell’adozione – e in questo caso, non si trattava di adottare un bel bambino biondo con gli occhi azzurri, bensì un ragazzo se non già un giovane adulto, con tutte le problematiche ulteriori che ben si possono immaginare. Cambia anche perché lui stesso, verosimilmente memore del bene ricevuto, decide di farne in prima persona e si attiva nella nostra società, che ora è diventata anche sua, nel fondare e dirigere una associazione che si occupa di integrazione.
Tutto bene? Neanche un po': perché, allo stesso modo in cui l’enigmatico Stroszek precipita nel tunnel della dipendenza dall’alcol, l’adottato cade nella rete delle scommesse e del gioco d’azzardo, ben presto ammalandosi di ludopatia. Il bisogno di denaro, che deve al contempo soddisfare la compulsione al gioco e saldare i debiti che ne conseguono, lo porta a uccidere la madre adottiva, che gli negava quanto chiesto.
E’ una storia che abbiamo già sentito e, possono ben dirlo anche coloro che non conoscono il cinema di Werner Herzog, è un film che abbiamo già visto: il tossicodipendente, l’alcolizzato che rubano in casa, che pietiscono denaro fino alla prostituzione, che malmenano i genitori e i conoscenti e infine li uccidono – per rabbia, per avere quello che vogliono, semplicemente perché quella vita che gli nega il denaro è un ostacolo al bisogno di togliersi per qualche momento i serpenti dalla testa e allora la si deve spegnere. Avevamo aggiunto, alla casistica del nostro Paese, anche i disgraziati che si ammazzano per debiti (e sono disgraziati a tal punto da non tenere conto di chi lasciano e in quali condizioni, morali e materiali): per non farci mancare nulla, finalmente anche la ludopatia.
L’avevamo detto. Lo diremo. Lo ripeteremo. Da antiproibizionista qual è sempre stato, chi scrive insiste a dire che il gioco deve essere proibito; che deve essere eliminato lo sconcio della pubblicità per qualsiasi tipo di gioco d’azzardo, di scommessa; che devono essere chiuse le sale slot e dai locali pubblici devono essere bandite le macchinette cosiddette ‘mangiasoldi’ (e già il nome dovrebbe essere d’avviso: possiamo immaginare una bottiglia che contiene una bevanda alcolica in libera vendita, con scritto sopra “distrugge il fegato”?); che devono essere oscurati i siti che pubblicizzano e incrementano le scommesse. Prontissima la risposta all’altrettanto pronta e più che legittima obiezione: ma come, sei antiproibizionista perché sai – e lo vai ripetendo – che laddove si proibisce qualcosa, la sua qualità peggiora, provocando più danni di quando non era legale e arricchendo la criminalità organizzata e vorresti proibire il gioco d’azzardo?
Se è per questo, proibirei anche cinodromi e ippodromi.
Il motivo per cui ritengo, oltre che doverosa, assolutamente praticabile la proibizione del gioco, che siano scommesse, azzardo, quello che volete, sta nel fatto che procurarsi illegalmente alcol, stupefacenti o prodotti farmaceutici proibiti, è piuttosto semplice: certo che esisterà sempre il maniaco che, pur di scommettere, punterà denaro con qualche amico anche sulla corsa di due scarafaggi catturati alla bisogna e messi a gareggiare nel retro del garage di casa! Ma voglio proprio vederli, gli scommettitori illegali, a organizzare ricevitorie e puntate (con relativo pagamento), negli stessi luoghi immondi in cui, molto più facilmente, si vendono l’eroina o il crack, emarginati e additati al pubblico ludibrio allo stesso modo degli spacciatori; voglio proprio vedere quanto durerebbe l’estensione del gioco d’azzardo, non potendo essere praticato comodamente seduti davanti a uno schermo o anche semplicemente al calduccio (o al fresco dell’aria condizionata) di un locale accogliente. Lo ritengo impraticabile: la proibizione ridurrebbe al minimo dei suddetti folli degli scarafaggi la percentuale di cittadini che dilapidano la propria e l’altrui vita.
Quanto al possibile guadagno derivato dalla proibizione del gioco e delle scommesse – che è conseguenza indiscutibile del divieto di fare o assumere alcunché – e in merito alla considerazione per la quale il divieto del gioco, contrariamente, porta a introiti molto minori, ci si può limitare a citare le sacrosante parole dell’amministratore delegato di “William Hill”, una delle più grandi catene di gioco e scommesse, dette qualche anno fa riferendosi alla legalizzazione delle scommesse sul calcio, intervenuta in Gran Bretagna a inizio degli anni ’60: “E’ come se ci avessero autorizzato a stampare carta moneta per conto nostro.”
Penso che ogni commento sia superfluo.
Per contro, è richiesto – con una certa urgenza, anche – un serio dibattito: prima che ci pensi la Lega.
Oltre che gesto umanitario, sarebbe anche sana e lungimirante strategia politica.

Cesare Stradaioli