SIMILITUDINI

E’ necessario parlare la stessa lingua, per capirsi. Per comprendere convergenze e divergenze, altrimenti il tutto si risolve in un battibecco capace di un frastuono simile a milioni di piume che si scontrano fra loro. Bisogna, però, che coloro i quali in buona fede e onestà politica sostengono Presidente del Consiglio, la piantino di qualificare i suoi detrattori tutti allo stesso modo, come visionari, gufi, vecchi arnesi, dinosauri della politica, nostalgici di chissà che cosa. E, per converso, bisogna che i detrattori stessi siano più precisi e definiti nelle loro critiche. Più che altro, bisognerebbe che i sostenitori di Renzi facessero credito di intelligenza politica e di senso della memoria, a coloro che lo usano come paragone di tristi figure del passato, recente e non.

E’ evidente che Renzi non possa essere assimilato a Berlusconi. Differiscono età, capacità imprenditoriale, legami pressoché certi con la mafia (anche se un giorno o l’altro dovremo sapere se e in che misura egli sia più o meno condizionato dalla massoneria toscana), sconfinate proprietà editoriali e sportive, oltre a una corte politico-affaristica di primissimo livello. Per non parlare del diverso contesto socio-politico. Detto questo, però, non è proprio possibile non sottolineare come, se l’apparenza, la visibilità mediatica, il formidabile potere degli annunci, l’asservimento quasi unanime di quasi tutta la stampa, la capacità affabulatoria, la assoluta mancanza di qualcuno che si alzi in piedi a sbugiardare la sistematica raffica di stupidaggini, disonestà, imprecisioni, presenzialismo, se tutto ciò nella società odierna popolata da un numero indefinito di persone che inseguono cartoni animati sullo smartphone e affetta da una endemica carenza di lettura di libri e articoli di stampa (i titoli vanno via come il pane e infatti se ne fa largo abuso), ha – come senz’altro ha – un peso determinante, allora chi ritenga di sostenere un politico che ne fa abbondantissimo uso, arrivando a occupare larghi settori della società italiana, non deve poi adontarsi per il paragone.

Renzi dice cose in buona parte diverse da quelle che diceva Berlusconi: più che altro nella forma, dal momento che per certi versi la sostanza è simile, ma non facciamo i difficili. Quello che gli viene contestato, che gli DEVE essere contestato, è il modo in cui parla, si esprime, rintuzza le critiche, irride gli avversari; è lo spregiudicato uso della propria persona, messa regolarmente in gioco, evocando la faccia che ci mette in ogni legge promulgata in maniera del tutto assimilabile al giuramento più volte fatto da Berlusconi sui propri figli; è l’ostentazione stessa del proprio corpo, inteso in senso strettamente fisico, tesa al sorriso, all’aspetto decisionista (come si dice “che pensi mì” in dialetto aretino?), al dinamismo più accennato che praticato, a evidenziare una somiglianza fra i due che ha del palese.

Non è consentito utilizzare l’annuncio – l’elenco berlusconiano degli annunci strombazzati su cose mai realizzate è sterminato, mentre quello renziano è più contenuto ma, perbacco, diamogli tempo: l’ex cavaliere ha pur sempre governato per 9 anni, Renzi per meno di un quarto – porsi al centro della scena oscurando quasi tutti, scagliarsi sempre e solo contro i sindacati, strizzare l’occhio alla Confindustria con l’ammicco del “fra di noi ci siamo capiti“, promuovere una legge sul lavoro di puro stampo thatcheriano, operare tagli lineari degni del Tremonti di una volta (quello odierno pare folgorato sulla via di Damasco, ma io una mano sulla Colt la terrei comunque: la fiducia va meritata e qualcuno, a causa del suo passato, se la deve anche strameritare), farsi vedere ogni volta che c’è una celebrazione, un trionfo sportivo, una ricorrenza e regolarmente appropriarsene (ultimamente mancava che Renzi si mettesse a petto nudo a mietere il grano o una barchetta di carta in testa a smazzare cemento con la cazzuola), utilizzare un linguaggio futurista di dispregio per tutto quello che è contrario, propagare la vulgata per la quale sembra che prima di lui il mondo non esistesse e se esisteva faceva schifo, dare dei lavativi a destra e a manca, insistere fino allo sfinimento sul “non c’è alternativa“, concetto che rappresenta quanto di più antipolitico si possa immaginare, martellare la scuola, la Costituzione, la ricerca scientifica e, infine, tacere regolarmente sulla criminalità organizzata e sul suo ruolo definitivamente di primo piano nella politica e nell’economia del nostro Paese, senza aspettarsi che prima o poi qualcuno faccia un paragone con Berlusconi.

Così, come i sostenitori di Renzi ci faranno la cortesia di non ritenerci tutti babbei e di darci il credito di essere perfettamente consapevoli – siamo mediamente in gran parte più in là negli anni e, stiano tranquilli lui e i suoi sostenitori, abbiamo letto qualche tonnellata di saggi storici più di loro – di NON trovarci in epoca fascista, di non essere nel 1922; ma ci ascoltino senza manifestare fastidio, quando ricordiamo loro che l’ascesa al potere di Mussolini non fu un colpo di stato come si può immaginare in un Paese del Terzo Mondo (l’Italia, a dire il vero, economicamente lo era, fortunatamente dal punto di vista del retaggio culturale era all’avanguardia), dove basta che un pugno di caporioni occupino il Palazzo e tutto cambia e che, per contro, fu preceduta da una sistematica erosione non tanto e non solo dei diritti politici, quanto piuttosto e soprattutto del dissenso, che allora veniva sì zittito con il manganello e l’olio di ricino, ma oggi in maniera molto più ‘democratica’ e accettabile, con il silenzio, l’accettazione di QUALSIASI notizia che riguardi corruttela, spoliazione dei diritti dei lavoratori, distruzione di scuola pubblica, paesaggio e cultura, da parte di un’opinione pubblica ormai mitridatizzata. L’allineamento dei mezzi di comunicazione (che, bisogna dirlo, ha dell’impressionante: neanche sotto la DC fanfaniana), provvede a pitturare ogni crepa del sistema sociale, ogni attacco, ogni passo indietro con la vulgata “massì, cosa vuoi che sia, che esagerazione, ma ti perdi dietro alle parole, siete i soliti catastrofisti, siete disfattisti“, determinando così una sinistra similitudine, anche sintattica, con le pallide e distaccate parole di una nazione che stava per subire l’iniziativa di un ceto politico e di potere in procinto di prendersi il Paese, sull’onda del disastro umano ed economico che stava patendo – derivante oggi dalla spaventosa crisi causata dalla bolla finanziaria del 2007, ieri dalla Prima Guerra Mondiale.

Pezzo per pezzo, passo dopo passo, alzata di spalle dopo alzata di spalle: così si consumò il trionfo del Fascismo; quietamente, in una lunga e indolore discesa, mentre venivano messi a tacere gli oppositori e le loro stesse eliminazioni – fisiche o culturale – tramite il bavaglio alla stampa. Oggi non si può mettere il bavaglio alla stampa, ma il bello è che neppure serve: anzi, ai mezzi di informazione viene dato sempre più spazio, sempre più di frequente si avverte uno spostamento di imitazioni a livello di comportamenti e soprattutto di linguaggio, dalla pubblicità alle notizie stesse (l’esempio più osceno, in mezzo a tante altre oscenità, si diede qualche anno fa: Umberto Bossi utilizzò il termine ‘quadra’, che come sostantivo in italiano non vuol dire un bel niente e, neanche il tempo che ne sparisse l’eco, commentatori televisivi e notisti della carta stampata presero a utilizzare quell’orrendo termine, facendone un neologismo). E ancora: il frastuono, l’allarmismo, la paura del diverso, del migrante, del rimanere senza lavoro, del non avere futuro, né i cinquantenni e neppure i giovani, l’avvilimento, lo scoramento, sbandierati, ripetuti, bombardati e ribombardati, coprono lo scivolamento verso un regime di quieta e ovattata uniformità. Del resto, l’idea stessa del Partito Nazione, oltre a ricordarci che moriremo democristiani, perché la DC è viva e lotta alacremente contro di noi, non può non evocare a chiunque abbia una qualche lettura di storia e di dottrine politiche, l’idea del Partito Fascista, con le sue corporazioni e, sì, con la sua particolare idea di Destra sociale – treni in orario, colonie per i bambini, la creazione dell’IRI (fu fatta per provvedere al salvataggio di alcune banche: ricorda per caso qualcosa?) e la sua natura etica e tendente a ricomprendere tutto il pensiero nazionale.

Tutto questo non può che portare a degli accostamenti, al di là dell’epoca storica. Si dirà: poca roba, le similitudini e i paragoni lasciano il tempo che trovano, al cospetto della concreta attuazione della politica. E’ vero, ma fino a un certo punto. Perché in un Paese che vive uno spaventoso analfabetismo di ritorno, un abbrutimento culturale prima che economico (al quale abbrutimento dei costumi hanno contribuito TUTTI, da Berlusconi fino ai corifei renziani – in prima fila le donne, in una preoccupante nemesi), l’immagine purtroppo è tutto, la superficie è tutto, l’approssimazione è tutto, lo svacco è tutto, il pressappochismo è tutto, mentre milioni di persone non hanno neanche tempo per mettersi a piangere per le loro condizioni socio-economiche e figuriamoci se hanno forza e attenzione da dedicare all’analisi politica del renzismo al di là e oltre le facciate, che il Presidente del Consiglio butta a piena mani, già di prima mattina con i suoi tweet da quinta elementare, fino alle sistematiche inondazioni televisive. E questo uso dell’immagine, specie a noi italiani, a chi può far pensare? E soprattutto: il segretario di un partito di governo, al vertice del quale siede anche come Presidente del Consiglio dei Ministri e tutti i suoi sostenitori, invece di prendersela quando sentono dire che Renzi si comporta come e peggio di Berlusconi, dovrebbero provare a fare una seria autocritica.

C’è un problema: l’autocoscienza è pratica severa, che richiede onestà e indipendenza, personale e politica.

Cesare Stradaioli