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LO STATO, PRIMA DI TUTTO

Il capo di vestiario denominato ‘burquini’ viene fatto indossare alle donne o viene da esse indossato per un’unica semplice ragione: l’esibizione del corpo femminine non va bene in quanto peccaminoso. Questo, nessun altro, è il motivo per il quale ne viene prescritto l’uso. E’ perfettamente inutile, e perfino disonesto, fare finta che si tratti di altro, che vi siano altre ragioni, altre spiegazioni. Dato che non conosco l’islam al punto da poterne compiutamente discutere, non potendo affermare con certezza che sia un preciso precetto di questa religione, posso limitarmi a dire che lo è, oppure che ne è un’interpretazione: comunque sia, senza tanto menare il torrone, questa è l’unica ragione per la quale in piscina o in spiaggia, ovunque altre compaiono in costume da bagno, alcune donne di religione musulmana portano quell’orrendo capo di vestiario.

Mi è capitato di udire testimonianze di donne non musulmane le quali, recatesi in determinati luoghi di qualche Paese arabo, hanno dovuto (per rispetto, per convenienza, per quello che si vuole) coprirsi integralmente per prendere il sole e fare il bagno: a quanto pare, il prima (sole cocente e caldo insopportabile), il durante (pare di affondare in acqua sotto il peso di un pesantissimo sudario) e il dopo (bollire all’interno di una sorta di opprimente serra appiccicata addosso), sono momenti terrificanti. Poco importa: fosse anche un’esperienza paradisiaca, non cambierebbe il senso della questione. Rimane il fatto che il divieto di esporre il corpo femminile (e, voglio essere chiaro sul punto, la mia indignazione si estende anche alla copertura dei capelli, anch’essi forieri di pensieri peccaminosi – le cristiane della regione mediterranea e quelle europee fino a qualche decennio fa ne sanno qualcosa, non facciamo finta di non saperlo: ovunque, alla fine di guerre finite le donne accusate di collaborazionismo o di avere concesso favori sessuali all’invasore venivano rasate, al solo scopo di annullarne o umiliarne la femminilità, mica per ragioni di profilassi anti pulci), non ha altro nome che segregazione e mancanza di rispetto della donna.

Altro discorso sarebbe, a titolo di esempio, se una comunità intera imponesse al proprio interno che il corpo di tutti, maschi o femmine, adulti o bambini, fosse coperto per ragioni etico-religiose, di igiene, di usanza, di quello che vi pare: sarebbe comunque un concetto di impronta oscurantista, ma almeno varrebbe per tutti. Sappiamo benissimo, però, che a pochi metri da una sventurata insalamata in un abito (nero o scuro, oltre a tutto, tanto per aumentarne la temperatura all’interno), c’è un uomo – padre, marito, compagno, fratello, figlio, nonno, zio – bello spaparanzato al sole con pancia e gambe all’aria (che, quelle sì, magari, da un punto di vista esclusivamente estetico, andrebbero severamente burkinizzate) a grattarsi i gioielli di famiglia fra un bagno e l’altro. Per cui, per cortesia, evitiamo le cineserie e le ipocrisie.

Mi riesce impossibile comprendere, poi, l’accostamento che qui e là viene fatto – anche da donne e la cosa non manca mai di sorprendermi e non dovrebbe più, considerata la non più verde età – con le prime, timide apparizioni del bikini, nel dopoguerra. Non comprendo come si possa solo lontanamente mettere sul medesimo piano un’imposizione e una scelta, a parte la ridicola confusione fra un’aspirazione a liberare, anche psicologicamente, il corpo della donna e quella di rinchiuderlo. Cosa temono, coloro i/le quali avvicinano le due situazioni? Perché lo fanno? Seriamente pensano che ragazze e donne appartenenti a famiglie musulmane praticanti LIBERAMENTE portino il velo o il burkini? Decenni di studi psicanalitici per arrivare a un punto fermo, scientificamente indiscutibile quanto la nascita del sole a est e cioè che i primi cinque anni della vita di ciascuno di noi – salvo rare eccezioni dovute a miracoli o sventure – sono quello che noi saremo, sono uno stigma che ci portiamo dietro, sono un patrimonio dal quale non potremo liberarci mai e invece, di colpo, apprendiamo che TUTTE le donne musulmane sono completamente scevre da imposizioni, educazione, precetti religiosi e, pertanto, sono naturalmente libere di scegliersi l’uomo, il compagno o l’abbigliamento da mare o da piscina?

Perché questa posizione? Perché tanta palese ottusità? Perché tanta resistenza ai principi laici dello Stato? Perché ostinarsi a vedere solo lo sbirro che impone alla donna col burkini di toglierselo e non intravvedere, per contro, la garanzia di rispetto dei principi dello Stato laico che vieta ogni ostentazione religiosa? Mi dispiace sinceramente per quella donna costretta in pubblico a togliersi il burkini, perché indubbiamente PER LEI, quella è un’umiliazione, per non parlare del rischio di prendersi parole (o altro), una volta tornata a casa: ma la legge, i principi dello Stato valgono erga omnes e non possiamo farne ogni volta un caso personale e la sua sofferenza e quella di qualche altro centinaio di donne, saranno o dovrebbero essere la libertà per i prossimi milioni che verranno. Perché non indignarsi, per puro principio di ragionevolezza, contro chi paragona il vestiario di una suora a quello di una musulmana al mare, quando è evidente che la prima appartiene a un ordine religioso il quale (come, per fare un altro esempio, una divisa militare: ovvia e accettata se portata da chi ne ha scelto la vita, mentre è inaccettabile e perfino ridicola se la veste – la ostenta! – un civile) vede il vestiario quale elemento fondamentale anche di riconoscimento e non certo di ostentazione?

Nel frattempo, la Sinistra perde un’altra occasione di essere tale. Davvero, la Sinistra europea sembra persa in un perenne avvitamento che ancora non le ha fatto raggiungere un fondo sul quale adagiarsi e dal quale, magari, ripartire verso la superficie. Incerta, ondivaga, malsicura, pelosa, balbettante, bugiarda, ipocrita, cerchiobottista, liquida come prospettava uno sciagurato figuro quale Veltroni, perfino ignorante, anche in questo campo si appresta a lasciare spazio alla Destra. Dopo avere sbeffeggiato l’ecologia, gravissimo errore storico e ce ne accorgiamo ogni volta che crolla una palazzina o muore qualcuno all’ILVA, dopo aver sostenuto l’industrializzazione a tutti i costi, dopo la governabilità a tutti i costi, dopo le revisioni storiche (per anni le foibe sono state stupidamente negate e così, prima o poi doveva succedere, quando è stato impossibile negarne l’esistenza – per inciso: in zona, la gente si infoiba da qualche secolo, non hanno cominciato i partigiani titini – è stato consentito di riscrivere la storia della resistenza a personaggi come Giampaolo Pansa, perfino dando voce a Storace o Gasparri), dopo mille altre tematiche, anche questa infingarda e supina accettazione del relativismo, che viene immediatamente cavalcata da Lega e xenofobie varie in Europa, costituirà una regressione culturale, perfino antropologica di un ceto politico di sinistra (non merita la maiuscola), senza passato, senza presente e senza futuro.

Cesare Stradaioli

Un commento su “LO STATO, PRIMA DI TUTTO

  1. Bravo Cesare, concordo in pieno. Ho litigato di recente su questoi argomento con una mia ex studentessa che vive a Parigi e sostiene il buon diritto delle femministe islamiche a portare il velo e a farne anzi una bandiera.

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