Siamo pronti ad ascoltare

Diversi anni or sono, durante una delle interminabili pause giudiziarie che allignano nella giornata tipo di un qualsiasi palazzo di giustizia, mi trovavo a conversare con un insegnante palestinese con passaporto israeliano, che avevo conosciuto in quanto era anche interprete di varie lingue per il Tribunale. Prendendo bonariamente in giro le rispettive radici culturali (eravamo due laici estremamente scettici sul concetto di religione, pure se lui osservava il Ramadan – fa molto bene al fisico, dovreste provarlo anche voi, ripeteva), alla mia battuta relativa alla promessa delle settanta ragazze che attendono il martire islamico di turno, lui rispondeva: “E voi cristiani, che credete che il vostro dio sia nato da donna vergine?”

All’indomani del massacro di Nizza, credo che sia giunto il momento – non più procrastinabile – di esigere dai cittadini e soprattutto dai rappresentanti di culto islamici, una presa di posizione, come si dice nella vulgata abusata, senza ‘se’ e senza ‘ma’.

L’esempio dello scambio di battute con un cittadino – anche italiano, stavo scordando di ricordarlo, tanto lo consideravo e lo considero scontato e invece non lo è per nulla – dette per scherzare sulla religione, vuole significare quello che dovrebbe essere generale e cioè un sostanziale disinteresse QUI E ORA per questa o quella regola, questo o quel principio, questa o quella promessa per l’aldilà che connotano molte delle espressioni religiose, le principali sostanzialmente. Se a qualcuno piace credere nel paradiso e nell’inferno, o ritiene che la pratica della castità o dell’astemia siano benefiche, oppure ancora che un bel domani rivedrà le persone care scomparse prematuramente (memorabile, non trovo altri aggettivi, Aldo Busi quando ricorda l’episodio della sua amata madre la quale, dopo avere aperto la porta di casa a una coppia di testimoni di Geova, e avendo udito uno dei due dire di stare serena, che un giorno avrebbe nuovamente incontrato il marito – per nulla rimpianto, né come coniuge né come padre – aveva risposto, sbattendo loro la porta in faccia “Ci mancherebbe altro!”) o che a qualcun altro vada di seguire determinati dettami prescritti dal proprio credo, ebbene penso che potremmo e dovremmo lasciare il tutto circoscritto alla coscienza del singolo.

Ma. Quando la cosa degenera, partendo dal divieto alle donne di fare questo o quest’altro, dagli obblighi (e correlative proibizioni) in merito al vestiario e ai centimetri di pelle da esibire, fino a giungere all’uccisione di civili in nome della fedeltà o infedeltà alle parole di questo dio o di quest’altro profeta, allora i discorsi e il nostro approccio devono essere radicali. E questa radicalità pretende delle prese di posizione.

Si dirà – è già stato detto – che il singolo musulmano o il singolo rappresentante religioso islamico non rispondono di azioni quale quella di ieri in Francia: dal punto di vista penale non v’è dubbio. Il punto è altrove. La fede in una divinità, tanto quanto quella in una squadra di calcio o l’identificazione in un gruppo politico, crea appartenenza e in questo senso, se è sbagliato (oltre che idiota) accomunare tutti i credenti alle nefandezze commesse da qualcuno di loro – che, poi, accertata la sostanziale ignoranza in materia religiosa di qualche assassino sopravvissuto al massacro, anche sul concetto di ‘credente’ andrebbe messo qualche trattino sulle ‘t’ – è altrettanto inaccettabile che il singolo musulmano ignori o finga di ignorare ciò che viene quotidianamente commesso in nome dell’islam o di Maometto, dalle violenze consumate in casa, in su e che pretenda di non avere niente da dire in proposito.

Ugualmente inaccettabile, per dire, era giustamente considerato il fatto che un cittadino bianco sudafricano all’epoca dell’apartheid avesse chiesto di essere lasciato in pace a proposito della discriminazione razziale praticata nel suo Stato di appartenenza, idem per un cittadino tedesco all’indomani della Seconda Guerra Mondiale, o che i cristiani pretendessero di non avere nulla da chiedersi o da emendare a proposito di tutti i massacri perpetrati in nome di dio e sarebbe ora inaccettabile che un cittadino americano si adontasse se gli venisse chiesto di dire qualcosa sui massacri che avvengono a casa sua, in omaggio al principio della libera circolazione delle armi. In altre parole, una presa di posizione è necessaria, sotto tutti i punti di vista. Lo è a chi la chiede, per capire fin dove arrivino la comprensione e la presa di distanze da parte di chi viene accomunato, in ragione della medesima religione (asseritamente) professata da chi si macchia di reati: uso il termine specifico, in quanto obbligare una figlia o una moglie a vestirsi in un certo modo costituisce, come minimo, reato di violenza privata e personalmente non transigo sul fatto che l’obbligo del burqua vada insanabilmente contro le norme di ordine pubblico della Repubblica Italiana; ma una presa di posizione è necessaria anche per colui al quale essa viene chiesta: a meno che a questo o quel cittadino, di qualsiasi nazionalità, ma facciamo che sia italiano o, visto quanto accaduto ieri, francese, non importi nulla che la fede religiosa che ha il diritto di professare liberamente e con tutela da parte dello Stato, venga sporcata da gesti criminali giustificati da (ri)letture ignoranti o interessate di una pagina o un’altra di un testo religioso al quale il singolo credente fa riferimento.

A parte il fatto che, in questo secondo caso, se non importa al singolo credente, importa A ME, siamo parte della stessa società, che lui dica una cosa invece di un’altra o, semplicemente stia zitto – e rivendico il diritto di chiederglielo – l’ipotesi di una rilettura interessata di determinati passi di una religione si è fatta, nel tempo, ben più di un’ipotesi. Solo la più profonda ingenuità può portare a ritenere che l’ondata di attentati che contraddistingue il nostro tempo presente sia unicamente da attribuirsi a un pugno di poveri disgraziati. Non sono altro che disgraziati, infatti, dei giovani che tolgono la vita altrui e la propria in nome di precetti e disposizioni che vengono loro impartiti da altri: i quali, a loro volta, fanno parte di una micidiale e miserabile filiera che prende le mosse da luoghi e persone che sono ben noti a chi pratichi di professione lo spionaggio e l’intelligence – e che non pretenda stupidity da noi, beninteso. Ma questo, come direbbe qualcun altro, è discorso diverso e – mi duole per Gino Strada, persona che ammiro senza remore – di puro carattere militare. Nel frattempo, e magari anche in previsione di scenari futuri con simili sembianze (non guerra fra religioni ma una religione in guerra), è tempo che i musulmani che non credono sia buona cosa portare la morte in nome della Jihad, che non ritengono opportuno imporre (o vietare) alle donne qualsiasi QUALSIASI forma di vestito, trucco, atteggiamento, approccio culturale e che, pertanto, siano consci e consapevoli che le leggi dello Stato male si conciliano con il relativismo e che, infine, vadano rispettate tanto quanto le rispettano tutti coloro che non credono in alcuna religione o, comunque, una religione diversa dalla loro, si facciano sentire.

Ma non da quelli che non sono musulmani. Non dai connazionali delle vittime della follia religiosa. Quanto meno, non solo da loro: si facciano sentire fra di loro, si facciano sentire da coloro i quali propalano concetti quali, ad esempio, il fatto che il Corano sia stato direttamente dettato dalla divinità in persona (che, diciamocelo fuori dai denti, se un cattolico integralista venisse a dirci che la Bibbia l’ha scritta dio e che è vero che Gedeone fermò il sole, come minimo si prenderebbe una badilata di letame in faccia), che si inventano pene quali la lapidazione per gli adulteri (pare che non sia vero, vedi un po’), che quello che sanno intorno all’islam lo sanno per sentito dire. Si alzino in piedi, alzino la loro voce, perché a dirla tutta io non so che farmene delle manifestazioni di solidarietà con le vittime, che provengano dal Presidente della Repubblica, dal Papa o da un qualsiasi Imam: dove ci sono vittime ci sono assassini e dove ci sono assassini, c’è qualcuno che li arma (anche noi europei) e quel qualcuno che li arma ha precisi intenti e precise strategie e io, come tanti altri, non solo non dispongo che di due guance, ma non intendo offrire neppure la prima, figuriamoci la seconda e sia detto questo, forte e chiaro, in nome di tre principi, intorno ai quali non esiste mediazione di alcun genere: libertà, uguaglianza, fraternità.

In linea generale, non è obbligatorio che questi principi piacciano a tutti e che li si condivida: all’interno dell’entità statuale dove vivo io, lo è, eccome.

Cesare Stradaioli