QUESTO REFERENDUM NON S’AVEVA DA FARE

Voterò NO al referendum sulla riforma costituzionale, ma avrei preferito che non si tenesse. Il ricorso alla consultazione referendaria è argomento, di fatto e di diritto, alquanto scivoloso e zeppo di insidie. Tutti ricordiamo la per nulla celata avversione del PCI nei confronti del referendum, così come è nella memoria di chi abbia un po’ più di quarant’anni lo scontro senza esclusione di colpi – in tutti i sensi – fra i radicali, da sempre forti propugnatori della chiamata referendaria e i vertici (e non solo i vertici) dell’allora più forte partito comunista dell’ovest Europa.

Andrebbe rivisitata, l’ostilità verso questa forma di democrazia diretta, così come andrebbe meglio capito il perché i padri costituenti avessero posto non poche limitazioni alla sua indizione e al suo accesso: in fin dei conti, le stesse ragioni per le quali era stato disposto il ridimensionamento dell’esecutivo e il rafforzamento della prassi legislativa e cioè una barriera contro il populista di turno, il tribuno del momento, contro in definitiva un troppo ‘facile’ accesso al potere e, dunque, alla manipolazione del consenso popolare.

Deve essere ricordato che, ovviamente, non tutte le questioni che furono sottoposte a referendum nel nostro Paese – oltre a quelle che non superarono i vari sbarramenti tecnici – hanno avuto la medesima complessità o richiedono la stessa competenza minima. Tematiche quali il divorzio o l’aborto toccano immediatamente non solo le più intime corde dei cittadini, ma sono di agevole comprensione e consentono una valutazione personale di un considerevole livello, quanto meno in una notevole percentuale degli aventi diritto al voto. Già la questione del finanziamento pubblico dei partiti, a mio giudizio, presentava grossi ostacoli di comprensione e, perciò, consapevole valutazione personale; quanto al referendum – lo sciagurato, referendum – sul sistema proporzionale, i disastri che ne sono seguiti sono figli diretti di una disinformazione che, a dire la verità, poca fatica ha fatto nel condizionarne l’esito. Se una materia è di agevole comprensione, è chiaro che l’opera di disinformazione deve esser più attiva, più pervasiva, laddove quando si tratta di questioni più strettamente connesse alla tecnica (legislativa ed elettorale, in questo caso), basta poco per disinformare, per condizionare pesantemente l’elettore/votante. E mai si ricorda una stampa allineata all’esecutivo quale quella dei nostri giorni, neanche nei più bui anni democristiani: neppure Fanfani o De Gasperi avevano giornali e reti televisive così asservite come li ha Renzi.

Ora, è stato detto da più voci che la questione relativa alla permanenza o meno della Gran Bretagna nella UE non avrebbe dovuto essere oggetto di consultazione referendaria; a parte il fatto che ci sono serissimi dubbi che tale perplessità sarebbe stata manifestata se avesse vinto il ‘remain‘, anche coloro – come il sottoscritto – che hanno accolto in maniera meno isterica e più ponderata l’esito contrario che ne è sortito, devono dare atto del fatto che sì, in effetti si trattasse di materia delicata. Per quanto, però, la permanenza in un sistema economico, o la sua uscita, si manifestano in svariati modi nella vita di tutti i giorni, a cominciare dal bilancio di ogni singola famiglia o attività lavorativa, per arrivare a questioni più complicate di sovranità e di autodeterminazione: con il che, va detto che il referendum britannico poteva anche non essere tenuto, ma che vi sia stato non costituisce un vulnus di particolare gravità.

Tutt’altro discorso va fatto in merito al referendum che si terrà in Italia sulla riforma costituzionale e su quella elettorale. Si tratta di questioni strettamente connesse alla tecnica legislativa e a principi di altissimo ordine costituzionale: mi sia concesso esprimere la più forte perplessità in merito al fatto che queste tematiche siano effettivamente comprese da chi è ammesso al voto. Credo anche che sia necessario fare mente a quanto soleva ripetere Adorno a proposito della libertà di voto: che non è la libertà di votare A, votare B o votare C, quanto piuttosto e soprattutto SAPERE che cosa è A, cosa è B e cosa è C. Lo sanno, i cittadini italiani che saranno chiamati, se lo vorranno, a esprimere la loro opinione su due questioni, una – quella elettorale – di grandissima importanza, e l’altra – quella costituzionale – di portata epocale, su cosa decideranno? E come, decideranno? Qual è il grado di consapevolezza e di conoscenza e di riflessione, non dico di tutto il corpo elettorale, ma almeno di una sua apprezzabile percentuale? Io credo che sia piuttosto basso e, pertanto, facilmente guidabile dall’esecutivo renziano e dai poteri mediatici che lo sostengono.

Io credo che il referendum sia una trappola, nella quale sono cadute come direbbe Shakespeare, con armi e bagagli, eminenti e stimate personalità del mondo giuridico, della cultura, della società civile. Il mio timore è che l’esito referendario – che con tutta probabilità vedrà la vittoria del Sì con una percentuale intorno al 65% – costituirà in realtà un referendum sulla figura di Matteo Renzi e su TUTTO il suo operato, passato, presente e futuro, nonché naturalmente di coloro che stanno dietro questa figura di giovane futurista in ritardo di un secolo che, in altri tempi, avremmo definito pittoresca e caricaturale (agli albori delle loro carriere politiche fu detto e scritto lo stesso di Mussolini e Berlusconi, ogni tanto andrebbe ricordato agli alzatori di spalle e sopracciglia in servizio permanente effettivo).

D’altronde, chiedo pazienza, ma con sconforto rilevo che a pochissimi sia sembrato strano (e dunque fortemente sospetto di fregatura) che la medesima figura politica che si era strenuamente battuta per avere una riforma costituzionale, avesse poi essa stessa proposto una consultazione referendaria. Qualcuno ha ricordato il caso di De Gaulle, che fece una cosa analoga in merito al Senato: iniziativa che, nelle previsioni, avrebbe dovuto risolversi a suo favore  e che, per contro, gli fu fatale. Varrebbe la pena di riflettere con distacco sulla brillante intuizione teorica delle prime Brigate Rosse in merito al cosiddetto neogollismo e le derive autoritarie e antidemocratiche che ne potevano seguire – poi prevalsero le armi da fuoco ed è andata come è andata: non di meno, le analisi avevano fondamento. Ma a parte ciò, sembra evidente il disegno renziano: senza alcuna ragione politica (le riforme sono state approvate dal Parlamento – e qui DEVE essere chiara e forte la critica nei confronti della cosiddetta minoranza del PD – per quanto a colpi di fiducia, sicché detta riforma, dal punto di vista formale era del tutto regolare, a parte il fatto gravissimo che fu votata da un Parlamento dichiarato illegittimo dalla Corte Costituzionale, ma questo è un altro discorso), il presidente del Consiglio sottopone al parere popolare una riforma.

Se questo non è un modo per surrettiziamente chiedere e ottenere il consenso sulla propria figura, certo gli somiglia assai.

Non si doveva arrivare al referendum; gli oppositori a questa porcheria costituzionale ed elettorale, dentro e fuori il Parlamento, dovevano spendersi meglio e soprattutto PRIMA che diventassero legge dello Stato. Ma tant’è. Il referendum ci sarà e con tutta probabilità lo vincerà Matteo Renzi. Tuttavia, si può sempre provare a fare in modo che le cose vadano in maniera diversa e contraria al sua mantra preferito (lo era anche di Margaret Thatcher) che non c’è alternativa. Per dirla con Gianni Clerici, anche se stai giocando contro il numero 1 al mondo, tu butta la pallina oltre la rete: non è detto che torni indietro. Perciò, su questo sito nei prossimi giorni apparirà una serie di articoli che proveranno a mettere in risalto gli aspetti negativi di questa riforma, provando a diffondere un po’ di controinformazione da questa postazione intitolata a un uomo che sarebbe andato letteralmente di porta in porta, per farlo.

Anche lui, buttando la pallina oltre la rete, come ha fatto per tutta la sua vita politica e sindacale.

Cesare Stradaioli