INQUILINI ABUSIVI

Insisto sulla necessità di un linguaggio comune. Poiché ci troviamo a vivere in un periodo sociale in cui è necessario continuamente spiegare, specificare, precisare – se dico che non sono d’accordo con te, non significa che io nutra dei dubbi sulla tua onestà intellettuale o sulla moralità tua e del ramo femminile della tua famiglia, né che io ritenga che la tua formazione culturale sia deficitaria, né che tu viva una forma di schizofrenia che ti porta a predicare bene in pubblico e a razzolare male in privato, né che tu sia sul libro paga di questo o quel potere forte, né infine che sia opportuno che tu cambi lavoro, anzi, già che ci siamo che tu rimanga in silenzio e che ti astenga in futuro all’esprimere opinioni che sono invariabilmente sbagliate se non ridicole – dico subito che avere un linguaggio comune non può in alcun modo significare automaticamente concordanza, in tutto, in parte o per nulla, di idee .

Bisogna intendersi sulle parole e sui termini che vengono usati, altrimenti dovremo rassegnarci a un futuro fatto non tanto da sistematica guerra ideologica, quanto piuttosto da un confuso scontro di termini sotto forma di armi che non possono ferire, né dalle quali si può esserlo, poiché non vengono reciprocamente riconosciute come tali. Cioè a dire, usare e ascoltare giudizi che godono di legittimità solo se provengono da fonti da noi stessi riconosciute.

Ora, la vulgata comune di molti sostenitori interni ed esterni del governo Renzi, è che l’opposizione del PD ritenga il segretario-presidente del consiglio una sorta di usurpatore; una volta messo sul tavolo un simile assunto (che ovviamente viene dato per vero, senza neppure scomodarsi di chiederne conto agli interessati, magari per avere una conferma di questa percezione o forse una clamorosa smentita), il passo successivo è fare notare come la carica di segretario sia stata frutto delle primarie e non di un colpo di mano e che il mandato presidenziale a formare un esecutivo ne sia stata logica conseguenza politica. Nessuna usurpazione, dunque; si rassegnino, la sinistra PD e tutti coloro che non condividono la sua politica e i suoi metodi: salvo complicazioni, il mandato di Renzi a governare durerà fino alla fine fisiologica della legislatura corrente.

Non posso – né, soprattutto, voglio, prendere le difese della cosiddetta sinistra parlamentare del PD; sulla quale pesano enormi responsabilità politiche gravissime per il comportamento tenuto, quanto meno dal 2012 in poi (anno dell’inserimento in Costituzione del pareggio di bilancio, forse l’iniziativa politica più nefasta dal dopoguerra), fino all’atteggiamento ridicolo se non fosse gravissimo che la spinge a subordinare il Sì al referendum a che venga cambiata la legge elettorale; è gravissimo, questo atteggiamento, perché se si ritiene che la riforma costituzionale sia sbagliata, si voti contro a prescindere, dato che non diventa migliore se solo si cancella il cosiddetto “Italicum” e, allo stesso modo, se si pensa di votare Sì, è necessario essere convinti della sua giustezza e utilità, con il che modificare o meno il sistema elettorale è questione tutt’affatto diversa.

Detto ciò, e non avendo in dotazione la formidabile memoria cartacea, virtuale e mentale di Marco Travaglio, sono sicuro di ricordare piuttosto bene – e come me, tantissime altre persone – quante volte e su quante tematiche Matteo Renzi si sia espresso in una certa maniera, dalla prima sua campagna per le primarie, dalla quale uscì sconfitto da Pierluigi Bersani, fino ai primi mesi di governo quale presidente del consiglio, per poi dire, fare e comportarsi in maniera del tutto diversa, opposta e aspramente conflittuale – quando non arrogante e maleducata – nei confronti di coloro che gli ricordavano quanto sostenuto in precedenza. L’articolo 18, il lavoro, la scuola, la trasparenza politica, la necessità di rinnovamento, una chiusura senza se e senza ma agli apparentamenti politici trasversali, una severa critica al ricorso bulimico alla fiducia da parte dei precedenti esecutivi, soprattutto quelli berlusconiani, dialogo a tutto campo con le parti sociali, la lotta alla corruzione, l’ambiente, la tutela della cultura, la rivendicazione della sovranità nazionale nell’ambito europeo e via dicendo.

Si dice che solo i cretini non cambino mai opinione; di sicuro lo fanno quasi tutti i mascalzoni e poi è sempre una questione da regolarsi con la propria coscienza, disponendone di una ancora in grado di funzionare. Resta il fatto che sappiamo tutti benissimo com’è andata a finire, tanto per dirne solo qualcuno, con l’articolo 18 che non si tocca, col dialogo con le parti sociali, che al momento continua a registrare amorosi sensi con Confindustria e cannonate ad alzo zero verso il sindacato (la CGIL, in modo particolare), col rinnovamento che ha visto totale appoggio a Ignazio Marino per lasciarlo poco dopo in balia di un pestaggio politico mai visto né sentito prima, mentre il presidente del consiglio guardava dall’altra parte come se si stesse trattando della giunta dell’ultima delle comunità montane e non dell’amministrazione della capitale dello Stato, con un governo che ha fatto ricorso al voto di fiducia in percentuale doppia rispetto a quelli di centrodestra e ci si può fermare qui.

Cambiare idea si può e in certi casi si deve: ma quando si rivestono cariche istituzionali, la volta che si cambia idea si deve anche avere la forza, il coraggio e l’onestà politica di farsi da parte: se uno si spende mettendoci la faccia, come ama ripetere Renzi, cercando in tutti i modi di convincere gli elettori di questo e di quello e se poi su questo e quello si cambia opinione, se poi si va in direzione ostinata e contraria (e sbruffona, da dannunzianesimo fuori tempo massimo) e si ha la consapevolezza e la trasparenza intellettuale che se gli elettori avessero saputo allora ciò che adesso si pensa di questo e di quello, non avrebbero dato il loro sostegno, ebbene l’uomo politico degno dell’aggettivo fa un passo indietro; lascio la poltrona e proverò a essere utile al partito in tanti altri modi. Si usa fare così, in certi Paesi che di frequente – e, spesso, ad minchiam, per citare il compianto professor Scoglio – vengono citati come esempio di maturità politica.

Altrimenti, sì, si diventa usurpatori; non per come si è stati scelti, ma per il modo in cui si oltrepassa in maniera spudorata il limite del compromesso – al quale, nella vita reale, molti programmi politici devono adattarsi e il M5S comincia a saperne qualcosa – per tracimare verso tutt’altra parte, con tutt’altri alleati, in favore di tutt’altre istanze politiche e sociali.

Si diventa abusivi, se le parole hanno e devono ancora avere un terreno comune nel quale capirsi e utilizzarle – abuso: uso illecito di qualcosa, Zingarelli, Vocabolario della Lingua Italiana.

Matteo Renzi esercita il proprio doppio ruolo di segretario del PD e di presidente del consiglio in modo illecito, dal momento che la direzione politica del partito e del governo è da tempo indirizzata in maniera radicalmente diversa da quelli che erano i suoi programmi come candidato segretario e i suoi obbiettivi quando divenne capo dell’esecutivo. Pertanto, è da qualificarsi abusivo e questo, s badi bene, al netto delle fanfaronate, delle bugie, degli atteggiamenti da Gianburrasca, dei motteggi offensivi – cose che, sempre nei Paesi di cui sopra, non sono accettate.

In merito a tutto ciò, non sono per nulla interessato alle opinioni dei rappresentanti politici del PD, dentro e fuori il Parlamento, favorevoli a Renzi o suoi oppositori: troverei molto più utile e politicamente costruttivo sapere cosa ne pensano la base, gli elettori, tutti coloro che da Sinistra – anche moderata – ritengono di avere il PD come punto di riferimento. Perché l’aria che tira, al di là delle sfibranti dispute su Renzi e la sua corte dei miracoli e a partire dal ritorno di Vasco Errani alla vita politica attiva, è quella di un imminente regolamento dei conti, che considero potenzialmente più deflagrante dell’esito referendario, vincenti o perdenti i NO: fin dai tempi del PCI, le menti politicamente più avanzate nascevano e spesso si formavano altrove, ma quando il braccio di ferro si fa in Emilia Romagna, le conseguenze riguardano tutta la Sinistra, tutto il Paese. Tutti noi. Anche per questo, è necessario un linguaggio comune.

Cesare Stradaioli