PROCURATORE, FACCIAMO A CAPIRCI

Il sistema processuale penale italiano prevede l’obbligatorietà dell’azione penale. Detto in parole semplici, al termine di un’indagine, il sostituto procuratore che le coordina, se non ritiene di chiederne l’archiviazione al gudice competente, deve procedere penalmente, rinviando direttamente a giudizio o chiedendo allo stesso giudice di cui sopra che fissi un’udienza preliminare. Da quel momento, il cittadino sottoposto a indagini diventa imputato.

Prodromo di questa situazione, cioè dell’apertura di un procedimento e relative indagini è una notizia di reato; in qualsiasi modo l’autorità giudiziaria – le Procure – vengano a conoscenza di un’ipotesi di reato (querele, rapporti di carabinieri o polizia, referti medici eccetera), costituisce dovere d’ufficio procedere per l’appunto all’iscrizione a notizie di reato, con tanto di cognome e nome ovvero nei confronti di ignoti.

E’ uno dei modi, fra i più significativi, in cui si sostanzia la fondamentale indipendenza della Magistratura quale potere statale e, più nello specifico, l’indipendenza delle Procure rispetto al potere esecutivo, cioè al Ministro della Giustizia, cioè al governo in carica.

E’ notizia di ieri, il Procuratore Capo di Roma, dottor Pignatone, magistrato di grande esperienza nella lotta alla criminalità organizzata soprattutto in Sicilia, ha emanato una circolare rivolta ai suoi sostituti, nella quale si sottolinea la necessità di una attenzione maggiore nella iscrizione a notizie di reato – volgarmente, quando un cittadino diventa sottoposto a indagini. A parte le ovvie ragioni di serietà e di necessità di analisi delle notizie che giungono (le denunce anonime, a titolo di esempio), sostiene il Procuratore che detta urgenza è dettata dalla necessità costituita dal fatto che, ormai al giorno d’oggi, una iscrizione a notizie di reato, è diventato quasi un’anticipo di condanna, uno stimma per liberarsi dal quale occorre attendere un lungo tempo, una spada di damocle che condiziona tanto il privato cittadino quanto, soprattutto, un rappresentante istituzionale che ne sia soggetto e che rischi di vedere compromessa, se non la sua carriera politica, l’attività e questa o quella iniziativa che aveva in animo di intrapendere, magari in ossequio alle promesse elettorali fatte.

Letta così, pare un’iniziativa ragionevole. Parrebbe; in effetti, dall’entrata in vigore dell’attuale codice di procedura penale, 1989, si sente ripetere continuamente, in modo particolare negli ultimi vent’anni, come l’avviso di garanzia non significhi essere imputati, che essere imputati non significa essere condannati, che vige onusta di gloria sempiterna la splendida presunzione di innocenza, fino a condanna definitiva. La quale, considerati i tempi della giustizia, rischia di essere una presunzione consegnata alla perenne attesa.

Purtroppo, le cose non stanno – più – così, posto che lo siano mai state. Questa continua ripetizione è andata di pari passo con uno sviluppo mostruoso della i vasività della cronaca giudiziaria e dell’uso che ne viene sempre maggiormente fatto. Peraltro, osservazione del tutto personale, quando sento qualcuno ripetere con insistenza un determinato concetto, mi viene sempre il dubbio che la ripetizione nasconda un’opinione in parte o del tutto difforme, che deve essere rintuzzata proprio dalla ripetizione stessa, che nessuno si faccia strane idee, però, insomma… Un po’ come lo shakesperiano Antonio che, durante l’orazione funebre in onore di Cesare, più volte ripete come Bruto sia uomo d’onore ed è nota, in proposito, l’opinione che hanno degli uccisori delle Idi di Marzo l’illustre oratore e in genere i libri di storia.

Temo, però, che il Procuratore di Roma – e con lui coloro che hanno subito salutato la circolare come atto dovuto e condivisibile – abbia preso un grosso abbaglio. Pare, infatti, innegabile che la mutazione dell’avviso di garanzia da atto giudiziario possibilmente segreto (anche allo stesso iscritto), ammantato da tutte le garanzie possibili e immaginabili eccetera, a condanna preventiva agli occhi dell’opinione pubblica, sia da ascriversi non già alla struttura e al senso stesso del codice di procedura penale, quanto piuttosto a uno svilimento e incattivimento della cronaca giudiziaria e, più in generale, dell’uso sturmentale che viene fatto dell’informazione. Il tutto alimentato – aggiungo, necessariamente – dalle famose e cosiddette ‘fughe di notizie’, che in quanto tali prevedono e presuppongono come attori necessari e sufficienti un soggetto che, contravvenendo a propri specifici doveri e impegni di pubblico ufficiale, divulghi l’iscrizione a notizie di reato di Tizio e un altro che questa divulgazione la utilizzi, in luogo di ricusarne il ricevimento.

Insomma, se oggi e non da oggi in Italia essere indagati presupponga una condanna anticipata, condizioni la vita politica, sia addirittura inserito in un codice di partito o di movimento politico come elemento ostativo a una candidatura o alla sue permanenza in carica di questo o quel rappresentante istituzionale, tutto ciò lo si deve all’incattivimento della politica, al degrado istituzionale e della professionalità della stampa, nel solco di un’abdicazione a doveri, principi e moralità di condotta che certo non possono essere attribuiti al sistema penale.

Se mai, da questo traggono brandelli di carne con i quali alimentare una generalizzata e sistematica sfiducia nelle istituzioni di qualsiasi genere (le quali non è che si ammazzino di fatica per contrastare questa sfiducia), che si tratti del Presidente della Repubblica, passando per un politico o un amministratore, proseguendo con l’amministratore di condominio per finire con l’arbitro che decide le sorti della mia squadra del cuore.

In tutto questo, Procuratore Pignatone, cosa c’entra il sistema procedurale? Il richiamo ai suoi sostituti che – ne sono certo – sarà fatto proprio da molti suoi colleghi, con tripudio della stampa, che così potrà maggiormente attingere a informazioni non più coperte dal segreto di indagine, non rischia oltre a tutto che, sottotraccia, zitti zitti, con il salvacondotto del classico ‘spunto di indagine’, vere e proprie attività investigative vengano svolte preventivamente, magari nel nobile intento di verificare la fondatezza di una notizia di reato, prima di iscriverla?

Proviamo a capirci, signor Procuratore: lo faccia lei, anzi, che la sua circolare sta occupando nelle pagine dei giornali e nei titoli in video più spazio e discussione di quanto non potrebbe una fuga di notizie su una iscrizione a notizie di reato.

Cesare Stradaioli