LA RIFORMA VERGA

C’è un tratto comune, presente in tutte le ultime vicende di cronaca in cui accade che qualcuno – padrone di casa o similare – spari (spesso uccidendo) a qualcun altro – per solito, ladro, rapinatore e quant’altro: si tratta del fatto che, progressivamente e, pare per ora, irreversibilmente, tutto il confronto di opinioni che ne segue – e il termine ‘confronto’ sia indicativo: trascurabili, dal punto di vista costruttivo, sociale e perfino dell’intelligenza, vanno considerati i letamai in cui sguazzano i cosiddetti ‘oliatori’, dilettanti o professionisti – si è spostato dalla persona alle cose, dalla vita agli oggetti, agli interessi materiali.

Per quanto si parli e si discuta intorno alla figura di chi spara, sempre più preponderante diventa il ‘cosa’ tuteli la pistola che uccide, in luogo del ‘chi'; d’altro canto, se della persona uccisa o gravemente debilitata già si parlava poco prima, ora quasi per niente; se non per soffermarsi sul fatto che si trattasse in un criminale, che stava per commettere (se non l’aveva già commesso) un reato. Sul fatto che sia stata tolta una vita, come si dice in gergo, con le chiacchiere siamo a zero: non interessa più nessuno, se non qualche sparuto umanista e il quotidiano dei vescovi; i quali se non altro per un tanto di decoro che serve sempre, una posizione a favore della vita dei già nati (e non solo di quelli che ancora non lo sono) la devono pur prendere. Con impatto sull’opinione pubblica quasi nullo, aggiungo. E noto come anche delle spaventose conseguenze dal punto di vista psichico o dei pesantissimi rimorsi che toccano non pochi degli uccisori (tra i quali molti dicono apertamente che tornando indietro non rifarebbero quello che hanno fatto), non importi nulla a nessuno.

Ora, viene richiamato con una certa frequenza – e, spesso, ad minchiam, come capita con leggi, norme giuridiche e cose del genere – il principio della legittima difesa; segnatamente l’articolo 52 del codice penale, il quale al primo comma recita così: “Non è punibile chi ha commesso il fatto, per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio o altrui contro il pericolo attuale di un’offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all’offesa.” I neretti sono, ovviamente, di chi scrive e sono diretti a focalizzare brevemente l’attenzione.

La violenza usata deve essere indotta dalla necessità, cioè dal fatto che non possa che essere usata in quel momento e che non vi sia altro mezzo per evitare l’offesa, che indubbiamente in caso di furto, rapina, tentata violenza di qualsiasi genere, è concettualmente ingiusta. Tizio spara perché non se ne può fare a meno.

La violenza è consentita quando il pericolo sia attuale: cioè, in quel preciso momento, il bene tutelato sta per essere violato, sottratto, distrutto eccetera. Non dieci minuti fa, non fra dieci minuti.

La violenza può essere usata quanto la difesa sia proporzionata al diritto tutelato. Ovvio che un coltello, in determinate situazioni equivalga a una pistola, sicché chi spara può invocare la proporzionalità anche in quel caso: non altrettanto può dirsi se la vittima della difesa legittima sia disarmata, ovvero se lo sparatore fosse spalleggiato da altre persone, nerborute e aggressive e il criminale fosse da solo. O se l’ucciso venga fucilato alla schiena in quanto, mettendo da parte per un attimo il lato umano, o il diritto è già stato leso oppure non più.

I commi successivi si limitano – si fa per dire – a specificare casi e luoghi ulteriori in cui si possa invocare la proporzionalità. Si tenga presente che, mentre questi due commi sono stati introdotti nel 2006, il primo comma – che difficilmente può essere ritenuto ‘buonista’ o compassionevole verso chi viola la legge introducendosi in casa d’altri per rubare – appartiene integralmente al codice Rocco, scritto e promulgato in piena era fascista: in piena ideologia, fascista. Il codice che orgogliosamente riportò in Italia, PRIMA fra le nazioni al mondo ad abolirla con il codice Zanardelli, la pena di morte.

Dato che sempre più spesso si legge di un ladro colpito alla schiena, c’è qualcosa che non torna: o meglio, ci sarebbe. Perché, purtroppo, invece pare che torni proprio, se seguiamo con attenzione la spaventosa china disumana che ha preso la nostra società, che sostanzialmente si concreta in due fasi: il totale disprezzo per la vita umana, a favore delle cose materiali (nessuno, tranne forse il grande Gino Strada, avrebbe da dire su uno che uccide un attimo prima di essere ucciso: ma, credo, neanche il fondatore di Emergency e certamente non la Chiesa, che prevedeva la pena di morte in Vaticano fino al 1992 – MILLENOVECENTONOVANTADUE) e la sistematica campagna di terrore che porta un numero sempre maggiore di persone ad armarsi, ritenendosi pienamente legittimata non solo a farlo, ma ad usarla, quell’arma. Con le conseguenze che sappiamo, perché come diceva quel romanziere, se in una storia compare una pistola, questa prima o poi sparerà.

[E’ una figura retorica, che sia la pistola a sparare, dato che ovviamente non può sparare senza un dito umano che la azioni; che i solerti sostenitori delle lobby statunitensi delle armi insistano con l’incredibile mantra per il quale non è colpa né della fabbrica né dell’uomo, dato che è l’arma che spara, non è altro che l’ennesima dimostrazione di come gli americani siano inguaribilmente refrattari all’astrazione e a un qualsiasi ragionamento che vada appena più in là del gatto è sul tavolo – oltre a essere ‘la pistola ha sparato‘, una delle più notorie frasi fatte della mafia, fine della digressione.]

Un numero crescente di persone armate porta con sé, inevitabilmente, un altrettanto alto numero di persone incerte, inesperte, psicologicamente non affidabili – se basta un Salvini che sputacchia in televisione, quando tutti sanno che i crimini contro la persona e la proprietà in Italia sono in netto calo: ergo, un maggiore pericolo che ci scappi il morto, ben al di fuori e al di là anche del fascistissimo codice Rocco. E il motivo, in fin dei conti, a parte le idiozie dette e ripetute in perenne campagna elettorale (dette e ripetute da quasi tutti, sia chiaro), è che la vita umana vale sempre meno e sempre di più il denaro, la proprietà, gli oggetti.

Per cui, a questo punto, anche per una questione di etichetta e per sapere con cosa dobbiamo confrontarci, noi che rimaniamo dell’idea che la vita umana valga più di quanto non sia considerata adesso, tanto varrebbe – tenendo a mente Giovanni Verga – riscrivere anche il primo comma dell’articolo 52 del codice penale, più o meno così: “Non è punibile chi eserciti violenza indotto dalla necessità di difendere la roba.”

Ci si lamenta spesso della farraginosità e scarsa chiarezza delle leggi in Italia: questa sarebbe breve, sintetica, chiara e, una volta tanto, inequivoca.

Cesare Stradaioli