POI ARRIVA UN TENENTE COLONNELLO…

A volte le cose sono leggibili in maniera più semplice di quanto possa sembrare: il 24 febbraio 2022 Vladimir Vladimirovic Putin ha fatto saltare il banco.  Detta in modo meno schematico, si potrebbe anche dire che l’inizio delle operazioni belliche in Ucraina abbia segnato la fine di una specie di esperimento storico, vale a dire il posizionamento della Russia nell’ordine internazionale messo a punto dalle potenze occidentali all’indomani del 1991.
Come sostenevamo, non di guerra si sarebbe trattato e guerra – come pure invasione – non è, alla luce dell’assenza della fondamentale fase uno di qualsiasi conflitto, vale a dire la mancata liquidazione delle infrastrutture attinenti all’energia e alle comunicazioni, essenziale per limitare al massimo reazione e resistenza dell’avversario. A ciò si aggiunga il sistematico, ininterrotto passaggio di gas e petrolio che non solo riforniscono il Paese teatro delle operazioni ma anche quelli che (sbandierate sanzioni a parte) dovrebbero opporsi all’aggressore, oltre al fatto che quest’ultimo continua a versare una specie di dazio di passaggio all’aggredito: ve n’è più che abbastanza per non potersi dare una seria e articolata definizione di guerra. Il che, ovviamente – ma di questi tempi bisogna precisare anche il buongiorno e la buonasera – non può e non deve mettere in secondo piano il fatto che vi siano morti e distruzione e disperazione.
Di colpo qualcuno in Europa e al di là del lago si è reso conto che Mosca non si aggirava più per il mondo con il cappello in mano, in cerca di consenso, favori e sorrisi al fine di avere possibilità di entrare al ballo mascherato delle celebrità dalla porta principale e non da quella dei fornitori, come era stato indicato, anche con un certo (meritato) sussiego ai successori di Gorbacev, che in pochi anni avevano svenduto al miglior offerente strutture industriali e petrolifere, ricchezza e dignità appartenenti a un popolo culturalmente e storicamente legato all’Europa. C’erano stati, certo, alcuni segnali che avrebbero dovuto suonare se non come campanelli d’allarme, quanto meno come fattori indicativi del fatto che qualcosa non stesse più andando come s’era rimasti d’accordo che andasse. Suoni ai sordi e segnali ai ciechi.
In verità, qualcuno ne aveva pur scritto: ‘Putin sta lavorando per dividere l’Unione Europea’, è stato per un certo tempo una specie di mantra. Più che legittimo non solo pensarlo, perfino doveroso constatarlo; se non che, detto ciò prevalse un certo stupore: Mosca non ha i nostri stessi obbiettivi. Oppure: Mosca non sta facendo niente, anzi, per favorire l’omogeneità europea basata su un’unione che, imposizione a forza di una moneta fittizia a parte, ben poco aveva del concetto di coesione.
Perché dovrebbe, era stata la risposta di qualche interlocutore, dal momento che è per lo meno dal 1917 che l’Occidente assedia Mosca: economicamente, politicamente e a livello di una propaganda feroce, instancabile, ossessiva. A dirne una per tutte: il campione del liberalismo nonché celebrato statista degli equilibri(smi) mondiali Winston Churchill, non avrebbe sparso lacrime sull’Unione Sovietica invasa e conquistata dalle truppe del Terzo Reich, né qualcuno l’avrebbe fatto a Washington. Come se non bastasse, sulla scorta di dotte dissertazioni sulla ‘necessità storica’ che una potenza – gli Usa e solo loro: era la narrazione – faccia il possibile e oltre per mantenersi il proprio potere, prima di tutto verso gli alleati e, in seconda battuta verso il mondo intero, una volta risollevato il capo e raddrizzata la schiena dall’umiliante postura, fisica, economica e politica imposta dalla banda di mascalzoni capitanata da El’cin, la Federazione Russa ha fatto quello che una più o meno ritrovata potenza deve fare: riprendersi un ruolo nella politica internazionale. Cosa che non può essere mantenuta senza prima di tutto avere i propri confini adeguatamente presidiati e tutelati. Con i migliori saluti all’arrogante e stolto (poiché ignorante) assioma di Francis Fukuyama a proposito della lorodicente ‘fine della Storia’, meritevole della sistemazione in soffitta unitamente a tutti i formidabili geni da tre palle a un soldo, fedeli corifei che non vedevano l’ora di co-intestarsi una frase che avrebbe dovuto marcare una svolta epocale; ridotta oggi, tutt’al più, a una pietra emiliana di de curtisiana memoria. Piaccia o non piaccia – al momento attuale è considerazione del tutto priva di rilevanza – si profila il ritorno a un equilibrio di potenze mondiali: forse con due protagonisti, non essendo escluso che il tutto diventi un triello, di leoniana memoria. Il che porta a due riflessioni.
E’ un dato, almeno in prospettiva, da valutarsi in via esclusivamente negativa? Non è detto; di sicuro la riduzione ad unum dell’equlibrio mondiale ha inevitabilmente portato alla sfrenata corsa di un capitalismo senza più regole né remore verso un insieme di sconcezze economiche e umane altrimenti noto come globalizzazione: un riequilibrio di forze, eventualmente allargato a est, peggio non potrà essere. Verosimilmente, meglio.
Ma più in là, più nel profondo, una seconda riflessione si impone: democrazia rappresentativa, partecipazione politica, Europa Unita, solidarietà sociale, libertà a tutto tondo per merci e valori finanziari – un po’ meno verso le persone: l’arrivo di profughi dall’Ucraina sottolinea ancora una volta il netto e feroce divario nel trattamento e ospitalità fra esseri umani che fuggono dai combattimenti e altri esseri umani che fuggono dai combattimenti – cineserie assortite a livello diplomatico, un’Organizzazione delle Nazioni Unite ridotta (non da oggi, per il vero) a una scatola da scarpe vuota, una disinvolta corsa ognuno per conto proprio purché non si sfiori neanche con un petalo di rosa il livello di vita dei cittadini europei, tutto questo è andato definitivamente in crisi; in compagnia di quell’altra bella favola della buonanotte comunemente conosciuta come libertà di stampa e di espressione.
Un variegato minestrone di ideologie sparse, una propaganda rozza e priva del minimo sindacale di senso del ridicolo, percolati assortiti di politica centrifugata ed elargita tramite un flusso ininterrotto di spot pubblicitari, tonitruanti dichiarazioni su un qualcosa a qualsiasi costo – sempre a carico degli stessi, peraltro – arrembaggi fatti brandendo dosi di vaccini, vergognose partite di giro fatte di spostamenti e scostamenti di bilancio la cui comprensione è strettamente riservata a pochi, là dove le relative conseguenze vanno direttamente sulla pelle di tutti gli altri: tutto questo è diventato un motore che batte in testa, con un unico, indistinto rumore di fondo, costituito da una stampa berciante, vergognosamente allineata, bavosa e isterica, mossa non solo e non tanto da un irriducibile complesso russofobico e da un anticomunismo fuori tempo massimo che tocca culmini di idiozia e ignoranza beota arrivando ad accostare politicamente l’attuale capo del Cremlino a molti che l’hanno preceduto, quanto da un sacro terrore di non sapere cosa dire, cosa fare, cosa pensare.
Ed è bastato che un oscuro ex funzionario di un sistema di intelligence che neanche esiste più – personaggio che ha il terribile difetto mediatico di non sorridere mai e di non rispondere se interpellato – più che battere il pugno sul tavolo letteralmente lo rovesciasse, lasciando sparsi per terra trattati ridotti a carta straccia, accordi internazionali più utili per il fondo della gabbia del canarino, fiches senza più credito, tris di re e poker serviti sparpagliati e senza più significato, circondati da una canizza di giocatori urlanti, ignari di cosa raccontare alle mogli una volta rientrati a casa a tasche vuote, senza neppure essere stati in grado di dare il fatto suo a quel vicino così fastidioso.

Cesare Stradaioli