COME PASSA IL TEMPO, QUANDO CI SI DIVERTE

Due mesi oggi e sembrerebbe ieri, se non ci fosse la conta dei morti civili come prima cosa e, in seconda battuta, la ripetuta uccisione della ragionevolezza e della razionalità, ingredienti essenziali della vita in genere e di questo particolare segmento di esistenza per chiunque.
Al netto delle opinioni di ciascuno su quanto sta accadendo fra Russia e Ucraina – riassumibili sostanzialmente in due: è una guerra di aggressione cui legittimamente risponde la comunità internazionale (sotto il nom de plume NATO); è un’operazione bellica in opposizione all’accerchiamento che l’Unione Sovietica prima e la Russia odierna poi si vedono opporre fin dal 1917 – ritengo che quanto meno un concetto si sia fatto definitivamente largo nel pensiero di abbia un minimo di volontà di capire la situazione, anche e soprattutto al fine di giungere a un accettabile compromesso, alimento essenziale nella diplomazia: il Diritto Internazionale è un sistema di accordi e trattati appena un po’ meno fittizio dei fondali utilizzati nei film western.
Bisogna dire che non si tratta di una grande scoperta e neppure tanto recente; ne avevamo il sentore fin dagli studi universitari. Va precisato che, nella specie, si tratta di Diritto Internazionale (inteso come Pubblico), al cui fianco in seconda fila stava il Diritto Internazionale Privato (l’aggettivo compariva esplicitamente nei titoli in copertina). Ogni singola facoltà di Giurisprudenza adottava l’autore che più riteneva opportuno ma, in genere, là dove il testo di Diritto Internazionale spiccava per ponderosità ed eleganza dell’edizione, quello di Diritto Internazionale Privato più spesso si presentava quasi come una copia anastatica di qualche negozio di battitura e rilegatura tesi tipico di ogni sede universitaria, molto più contenuto e schematico.
Il che ci insospettiva – eravamo degli irriducibili san Tommaso e non avevamo poi tutti i torti a esserlo. In modo particolare, suscitava attenzione e alzate di sopracciglio quella tonitruante esposizione di nobilissimi principi, di altisonanti proclami e parole d’ordine di lodevolissima umanità e cooperazione transnazionale, che autoreferenzialmente si davano per accettate e praticate ovunque, salvo poi scoprire pressoché ogni sera da un qualsiasi TG che le cose non stessero proprio così. Più sottotraccia, quasi in sordina, l’esame di Diritto Internazionali Privato dettava linee di politica commerciale alquanto più semplici, comprensibili e – più importante – di immediata attuazione e verifica.
Detta in modo più semplice, era Hans Kelsen che ci perseguitava (lo fa o lo dovrebbe fare anche ai giorni nostri), ripetendoci a ogni pagina come l’entità statuale per dirsi tale e per vivere come tale, deve disporre oltre che di un territorio e di una popolazione che lo abiti, di un sistema giuridico e giudiziario in grado di dettare sia norme sia le relative sanzioni per chi le violi. Le quali sanzioni – stava lì il nocciolo della questione – o sono effettive o non sono: e se non sono effettive, quello Stato è solo una finzione, un fantaccino sorretto unicamente dalla convenienza economica. Ed eccoci arrivati al punto.
Ancora oggi nelle più prestigiose o più scalcagnate università si tengono dotti ed eleganti convegni nel corso dei quali si magnifica la nobiltà della diplomazia e gli ‘enormi passi in avanti’ (refrain insistito e, perciò stesso, privo di vero significato reale) dei rapporti fra le nazioni, mentre di solito manca un serio e compiuto esame di quanto siano efficaci le sanzioni che le autorità internazionali, a cominciare dalle Nazioni Unite, sono chiamate a irrogare. C’è da capire il silenzio degli oratori, dato che – sempre Kelsen dietro l’angolo – l’efficacia di quelle sanzioni è vicinissima allo zero, cioè allo stesso livello della loro effettività e dell’autorevolezza di chi le dispone.
Si potrebbe dire, parafrasando il noto detto, che mentre il Diritto Pubblico si sta ancora mettendo le scarpe, quello Privato ha già fatto quattro giri di pista; è così, ma non basta l’analisi in superficie, poiché in definitiva qualsiasi struttura giuridica è, per evidenti e primarie ragioni, un fatto umano e in quanto tale, a differenza dei fenomeni metereologici, dipende dalla volontà umana. E se i due corridori si trovano in posizioni diverse le ragioni ci sono. Se negli anni ’70 un qualsiasi gruppo di studenti universitari come ce n’erano a centinaia, aveva forti dubbi sulla reale valenza dell’ONU (o della FAO o dell’OMS, ognuno valuti come creda), già allora doveva essere capito che al di là delle facciate, dei fondali da film, non ci fosse quasi nulla. Le centinaia di guerre, spesso per conto terzi, che si sono succedute nel mondo dal 1945 (all’anima bella che vi sussurra quanto siamo fortunati che non si siano mai verificate nella nostra bella Europa, provate a ricordare che ce n’è stata una circa trent’anni fa a meno di 300 chilometri in linea d’aria da dove questo articolo viene scritto), ne sono palese e tragica dimostrazione. Il Diritto Internazionale è un corpo morto, una famiglia di nobili decaduti, imbellettati e con le pezze al culo che vivono in una lussuosa magione il pagamento delle cui spese di mantenimento è la principale occupazione nonché di gran lunga la prima voce del bilancio; il Presidente Mao usava il termine ‘Tigre di carta’, ma nel caso della congrega che siede al Palazzo di Vetro, il termine ‘micione’ sarebbe più appropriato. Nel frattempo, il Diritto Internazionale Privato corre a perdifiato nella sterminata pianura che la sinistra di quasi tutto il mondo gli ha spalancato davanti: trattati di cooperazione internazionale, forniture di energia, di know how, di ricerca medica, di tecniche belliche, di libero scambio (il NAFTA fu un vero giulebbe per i narcos sudamericani: leggi Don Winslow). Quanto alle sanzioni che il mercato irroga, quelle sì sono puntuali, efficaci, effettive e funzionano come meglio non potrebbero.
Ed è quello stesso sistema internazionale privato che sta suggerendo anche agli esaltati di Downing Street e della Casa Bianca: guardate che quelli là sono abituati alle restrizioni – lo diceva anche un falco come Zbigniew Brzezinski – mentre i nostri (i vostri) non sono in grado di affrontare un milione di metri cubi di gas in meno; state attenti con le sanzioni. Tant’è che, proprio parlando di effettività, non sarà poco indicativo che sia quel coro sfiatato delle varie cancellerie a tuonare di sanzioni a destra e a sinistra: come sempre, la politica le spara grosse, tanto poi c’è l’economia a mettere le cose (confini russi e condizionatori a pieno regime) a posto.

Cesare Stradaioli