Per riavviare l’elaborazione di una riforma del sistema di istruzione

 

Una premessa ed una avvertenza.

L’ultimo periodo in cui la sinistra produsse progetti di riforma complessivi e concreti ( tradotti in d.d.l.) fu alla fine degli anni ’60 e all’inizio degli anni ’70 nel secolo passato. Dopo iniziò una storia di proposte e provvedimenti parziali che generò un gigantesco patchwork e risposte agli interventi del centro destra anch’esse parziali. Il simbolo dell’era post riformatrice è stato sicuramente la realizzazione dell’ autonomia scolastica, anche se in realtà ci sono stati interventi significativi quali la sostituzione del maestro unico con insegnanti di aree disciplinari nella scuola elementare, norma cancellata dal centro destra.

Nell’era riformatrice l’elaborazione era ispirata a concetti quali : Cambiare l’asse culturale gentiliano, impedire la selezione e la canalizzazione precoce, dare ai giovani la capacità di “leggere” la società reale, rendere possibile l’istruzione degli adulti. Già allora si sottolineava l’importanza di una più solida formazione di base anche per consentire ai giovani una duttilità di fondo che consentisse loro di inserirsi in un mercato del lavoro in rapido e continuo cambiamento. Già allora si pensava che, in un paese privo di materie prime e di fonti energetiche, si dovesse puntare sulla risorsa della formazione e della ricerca onde competere nel mercato mondiale principalmente con l’innovazione  e la qualità dei prodotti.

Concretamente si realizzò la rapida diffusione, anche grazie al calo demografico, delle scuole a tempo pieno, delle 150 ore e della sperimentazione didattica e strutturale. Nacquero gli organismi di gestione sociale della scuola. Tutti i disegni di legge allora presentati ipotizzavano una “liceaizzazione” spinta della scuola secondaria superiore con una fortissima riduzione degli indirizzi.

In questa ultra sintetica premessa si deve sottolineare che la discussione e l’iniziativa erano sorrette dall’esistenza e dallo sviluppo di movimenti organizzati e di associazioni portatori, chi più e chi meno, di proposte generali. Non a caso in quel periodo nacque la CGIL scuola, a dispetto dell’orientamento del PCI e del PSI, rompendo con il quasi monopolio dei sindacati autonomi ad orientamento corporativo.

A me sembra sia giunto il momento di riprendere ad elaborare collettivamente una proposta generale che spazi lungo tutto l’arco della vita dei cittadini e che faccia i conti con le profonde mutazioni avvenute nella società.

Propongo di ricostruire collettivamente, e non solo tra gli addetti ai lavori, una linea generale di riforma del sistema di istruzione che non si limiti ad una discussione teorica ma si sforzi di elaborare misure concrete anche partendo da una revisione critica ed autocritica.

A tal fine inizio da appunti assolutamente non esaustivi che di volta in volta ho preso esaminando le proposte parziali avanzate da sinistra contro le misure prese dai governi tecnici e di centro destra. Per chiarezza esplicito che, pur non ritenendo il ministro Luigi Berlinguer colui che aprì la strada agli interventi regressivi, certamente non mi sento orfano della sua opera di ministro della pubblica istruzione.

Dato che non sono in grado di affrontare tutte le tematiche che andrebbero esaminate e dato che non ho intenzione di produrmi in complicate motivazioni, scriverò dei semplici spunti, alcuni più sviluppati ed altri meno. Il tema dell’aumento delle risorse non è affrontato come problema singolo perché è implicito  all’interno dei singoli punti. Gli unici aspetti che si possono evidenziare riguardano la necessità di un piano straordinario di edilizia scolastica per mettere a norma gli edifici e per ampliare la dotazione di laboratori e l’abolizione dell’IVA per qualsiasi cosa che riguardi l’istruzione, dalla costruzione delle scuole ai libri scolastici e d alle forniture.

Il tempo della scuola : Le modifiche necessarie.

  1. Rendere obbligatorio l’ultimo anno della scuola materna mi sembra più rispondente alle fasi delle capacità di apprendimento. E’ ovvio che all’obbligatorietà deve rispondere una espansione delle scuole materne statali e una maggiore coordinazione tra esse e la scuola elementare.
  2. La scuola secondaria superiore si dovrebbe articolare in un quadriennio al termine del quale viene rilasciato il diploma di maturità e prosegue poi o in un anno preparatorio per l’università o in bienni/ trienni di specializzazioni professionali. Le conseguenze sono : a) maturità a 18 anni ( termine dell’obbligo scolastico) come in tutti i paesi europei. b) Scelta più consapevole dell’indirizzo universitario e abbattimento del periodo medio per conseguire la laurea ( notevoli risparmi) attraverso il calo drastico della selezione nei primi due anni. Nell’anno preparatorio vengono insegnate al massimo le 4 materie fondamentali dell’ indirizzo di laurea. c) Con una riduzione degli indirizzi nei primi 4 anni delle superiori, nei bienni/ trienni post diploma si realizzerebbe una migliore preparazione professionale ed una condizione importante dovrà consistere nella sinergia di programmi, attrezzature e uso di personale con la formazione professionale di competenza regionale. Questi anni possono essere l’alternativa di qualità della maggior parte dei corsi di laurea triennale.
  3. Si deve rivisitare la formazione degli adulti in generale, non solo le 150 ore, analizzando i dati sul raggiungimento dell’obbligo scolastico nella e tenendo conto della presenza dei cittadini immigrati. L’attuale legge che prevede l’inserimento nella secondaria superiore dei giovani stranieri sulla base dell’età anagrafica, apparentemente molto democratica, deve essere rivista per tener conto dei diversi percorsi scolastici e per individuare forme di sostegno all’inserimento.

Il tempo nella scuola : Le modifiche indispensabili.

  1. Tutta la scuola dell’obbligo ( fino ai 18 anni) è di norma a tempo pieno. Il tempo pieno è indispensabile per realizzare una scuola che concretamente sappia compensare le differenze culturali, sappia elevare lo standard nella formazione di base anche alla luce dei nuovi compiti derivanti dalla crescente presenza di nuovi cittadini di cui si debbono conservare le culture di provenienza. Il tempo pieno è altresì indispensabile per assicurare una formazione culturale completa inserendo elementi attualmente molto trascurati quali, ad esempio, l’educazione civile, elementi di economia, tutto il settore delle discipline artistiche e le attività sportive.
  2. Il tempo pieno non deve consistere nella duplicazione degli attuali quadri orari e quindi degli organici, come è avvenuto spesso nel passato quando si istituivano classi a t.p. basandosi sui docenti in soprannumero, per non rafforzare l’attuale asse culturale e per assolvere ai nuovi compiti come in parte descritti al punto precedente.
  3. Il tempo pieno si deve articolare in forme diverse a seconda dei cicli scolastici e anche delle comprovate esigenze individuali, senza diventare una sorta di ipermercato di materie e discipline. All’interno di questa flessibilità nella programmazione del tempo pieno possono trovare spazio le scelte delle famiglie e degli studenti.
  4. Le famiglie e gli studenti che rifiutino in tutto od in parte il tempo pieno devono fare apposita domanda per essere esentati. La scuola, nel solo caso di recupero di carenze, può imporre la frequenza totale o parziale del tempo pieno.
  5. All’interno del modello di tempo pieno si deve realizzare una migliore accoglienza degli studenti di nuova cittadinanza anche assicurando loro l’insegnamento della lingua e della storia dei loro paesi di origine ( è ovvio ed auspicabile che anche studenti di origini italiane possano frequentare questi corsi). Per concretizzare questi interventi, diminuendone fortemente i costi, si possono realizzare accordi culturali bilaterali con i paesi di origine, similmente agli accordi che lo Stato italiano ha fatto con i paesi con forte presenza di cittadini italiani emigrati.
  6. Nel tempo pieno deve essere risolto il problema dell’insegnamento della dottrina religiosa in caso di non abolizione. L’ iscrizione deve essere positiva e quindi richiesta specificatamente ed inoltre le attività sostitutive delle ore di religione devono essere obbligatorie e partecipare alla valutazione degli studenti.
  7. Nel tempo pieno si può realizzare un più vasto insegnamento delle materie artistiche e sportive anche attraverso la realizzazione di attività collettive delle scuole ( spettacoli teatrali, cori, orchestre, organizzazioni di mostre, squadre per attività sportive). Inoltre si può realizzare una meno sporadica attività di integrazione culturale riguardante aspetti della società in evoluzione e aspetti della vita pratica ( ad es. conoscenza delle regole ed opportunità del mercato del lavoro, orientamento scolastico, etc.).

La formazione iniziale, l’assunzione e la formazione ricorrente degli insegnanti.

Mi sono iscritto nel 1972 alla CGIL scuola quando l’80 % del personale era non di ruolo, come si diceva allora. Per 40 anni ci si è esercitati con soluzioni diverse e con lotte anche molto dure. Basti pensare che facemmo i picchetti per impedire lo svolgimento di un concorso a 23.000 cattedre in nome del diritto alla precedenza dei precari. Al terzo giorno di blocco la polizia intervenne in alcune sedi e ci salvò dall’ira dei concorrenti che volevano fare il concorso. Se oggi siamo ancora con decine e decine di migliaia di precari vuole semplicemente dire che nessuna soluzione è andata a buon fine e che quindi si deve ridiscutere tutto l’insieme.

Uso il metodo di proporre un’ipotesi concreta di soluzione a regime con l’avvertenza che le mediazioni rispetto alla caotica situazione dei precari sono comunque praticabili all’interno di una politica riformatrice vera del sistema di istruzione.

  1. Deve cessare la situazione che impone l’assunzione anche per periodi prolungati di personale docente non abilitato.Si deve partire dalla constatazione pratica che la scuola è un servizio che non ammette interruzione e quindi deve esistere un numero di aspiranti docenti abilitati ben superiore alle previsioni costruite solo sul numero di posti vacanti da ricoprire. La conseguenza pratica consiste nel fatto che le singole sedi universitarie non possono stabilire autonomamente il numero chiuso per l’accesso all’abilitazione, ma deve essere deciso centralmente il numero dei docenti abilitati che servono alla scuola pubblica e a quella privata tenendo conto anche dell’inevitabile nomina di personale in sostituzione di quello a qualsiasi titolo assente. Del resto solo questa impostazione consente una forma di selezione vera tra gli aspiranti docenti al contrario di oggi in cui, a fronte di 100 posti da ricoprire, viene indetta una selezione in cui p.es. i respinti sono poi assunti a tempo determinato per garantire l’insegnamento in qualità di supplenti per tempi più o meno lunghi.
  2. La formazione degli insegnanti deve avvenire all’interno di un percorso di laurea di tipo modulare e si deve concludere con un esame di Stato per l’acquisizione dell’abilitazione.A titolo di esempio si può ipotizzare un percorso universitario quinquennale in cui negli ultimi due anni vi siano anche gli insegnamenti per l’acquisizione delle specifiche competenze professionali e il periodo di tirocinio (retribuito come l’apprendistato) presso le scuole. Le conseguenze concrete comportano che centralmente venga definito il curricolo dei corsi da seguire per ogni singola disciplina di insegnamento e che, per rendere credibile ed efficace il tirocinio nelle scuole, debba essere modificata l’organizzazione del lavoro e la formazione di una parte di docenti in modo da non abbandonare, come ora, allo spontaneismo totale questa parte importante della formazione dei futuri docenti.

3.Abolizione dei concorsi per prove e mantenimento solo dei concorsi per titoli.  Se si hanno aspiranti docenti abilitati in numero superiore al fabbisogno immediato, che abbiano acquisito l’abilitazione attraverso un corso quinquennale, con voto di laurea e con un esame di Stato e che possano aver acquisito altri titoli professionali utili ( master, dottorati, specializzazioni, aggiornamenti) dichiarati tali preventivamente e centralmente, che bisogno c’è di attivare concorsi per prove costosi e di dubbia trasparenza? Nei concorsi, anche quelli universitari, deve essere abolito qualsiasi tetto ai punteggi derivanti da esperienze di formazione, ricerca e da pubblicazioni dopo aver ovviamente stabilito le regole di validità di queste esperienze attingendo ad analoghe forme europee. Va da sé che i concorsi per soli titoli debbano prevedere o una data di scadenza oppure debbano essere integrati con nuove domande e con aggiornamento dei punteggi almeno ogni due anni.

  1. La realizzazione di una procedura come descritta nei primi tre punti renderebbe concretamente fattibile la formazione in servizio ( obbligatoria) dei docenti assunti a tempo indeterminato, anche attraverso periodi sabbatici di durata variabile in quanto le strutture universitarie si dovrebbero adeguare alla domanda di formazione richiesta dallo Stato.
  2. Obbligo di assunzione a tempo indeterminato ogni anno del numero di docenti necessari a ricoprire tutti i posti liberi e vacanti.

In pratica il Ministero dovrebbe prevedere ogni 4/5 anni il fabbisogno di personale per sostituire coloro che cessano l’attività, coloro che vengono destinati ad altre attività e/o mansioni e quanti sono necessari per  sostituire il personale assente. La quantità finale dovrà essere aumentata almeno del 20% per individuare i posti da rendere disponibili nei corsi di laurea attraverso cui acquisire l’abilitazione all’insegnamento. In questo modo non si dovrebbe più verificare la nomina di supplenti non abilitati e la selezione per merito sarebbe un dato di fatto e non un’asserzione di principio. In relazione a questi percorsi di laurea si deve prevedere l’istituzione di master, specializzazioni e dottorati.

Come accennavo all’inizio, saranno sicuramente necessarie delle “mediazioni” ( chiamiamola fase transitoria) per passare dalla caotica situazione attuale a quella a regime ipotizzata precedentemente. Richiamo l’attenzione che all’interno di una riforma complessiva del sistema di istruzione che necessariamente sarebbe in alcuni settori di tipo espansivo ( tempo pieno nell’obbligo), le contraddizioni tra lavoratori precari e aspiranti docenti o tra giovani e “anziani” sarebbero fortemente e strutturalmente diminuite senza dover ricorrere, come ora, a complicate ed ingestibili norme da azzeccagarbugli.

 

Il Sistema di valutazione dei risultati scolastici.

Questa tematica, molto delicata, è stata inquinata sin dall’inizio dall’ipotizzato legame tra il sistema di valutazione e l’aumento della retribuzione del personale. In primo luogo si deve sgomberare questo equivoco tanto più che anche nella scuola le retribuzioni, dopo anni di contratti fatti con i tetti programmati di inflazione, di scatti di anzianità bloccati e di rinnovi contrattuali rinviati sine die,  sono diventate le più basse in Europa e dintorni.

Un sistema di valutazione non può basarsi solo su prove da sottoporre agli studenti alla fine dell’anno scolastico ma deve comprendere valutazioni sul contesto in cui sono collocate le unità scolastiche e sui livelli di partenza degli studenti. Tale sistema dovrebbe servire per dotare di  strumenti aggiuntivi  le scuole che operano in situazione di difficoltà e per ricalibrare lo stesso sistema di istruzione.

La gestione sociale della scuola.

E’ tempo ormai di rivedere tutti gli snodi della così detta gestione sociale della scuola dal Consiglio Nazionale ai Consigli di Istituto senza tralasciare l’autonomia delle singole unità scolastiche.

  1. Deve essere istituito un organismo nazionale di gestione della scuola pubblica. Tale organismo deve rappresentare tutte le articolazioni della società e deve avere il potere su delega legislativa di modifiche interne al sistema scolastico tale da permettere aggiustamenti ( materie, programmi, etc.) che ora sono di sola competenza del ministero ed in alcuni casi del parlamento.

2.Rivedere gli organismi della gestione scolastica e l’autonomia delle singole scuole per tornare all’intuizione originaria ovvero permettere alle singole scuole di aderire meglio alla realtà locale.

L’innovazione e la sperimentazione didattica – metodologica e strutturale.

In ogni regione si deve istituire un polo scolastico ad ordinamento speciale comprendente tutti gli ordini e gradi del sistema di istruzione al fine di sperimentare nuove metodologie didattiche, nuovi contenuti, nuove strutture di gestione e nuovi modelli di organizzazione del lavoro. Questi poli dovranno operare  in base a progetti elaborati ed approvati dagli organi di gestione o assegnati da organismi nazionali.

La meritocrazia.

Nel nostro paese solo il 15 per cento delle persone trova lavoro attraverso le agenzie pubbliche o private. La maggior parte trova lavoro grazie alle conoscenze e non grazie alla conoscenza. Le raccomandazioni, il nepotismo, la lottizzazione politica di tutte le pieghe della società civile, il clientelismo, le cooptazioni,il voto di scambio e il peso abnorme degli ordini professionali lasciano poco spazio alle assunzioni sulla base del merito e comunque della trasparenza. Il messaggio pratico e concreto che arriva ai giovani è micidiale: Studiare con serietà e sacrificio è quasi del tutto inutile. Negli ultimi anni questo messaggio si è potenziato a dismisura e basterebbe indicare quali esempi un consigliere regionale o un vice ministro. L’aspetto surreale consiste nel fatto che la banda di nani, ballerine e ladroni che ha governato per gli ultimi venti anni si è fatta paladina della meritocrazia che, secondo la loro cultura da happy hour o da bar dello sport, si contrappone all’era del lassismo sessantottino e comunista portatore dell’egualitarismo e della lotta alla selezione.

Noi combattevamo contro la selezione basata sull’appartenenza alle classi sociali e volevamo, come vogliamo ora, creare condizioni di pari opportunità tra appartenenti a classi sociali diverse, tra generi diversi e così via. Costruite le condizioni di pari opportunità noi siamo per la selezione basata sul merito e quindi per lo smantellamento di tutti i privilegi. Che la situazione sia ormai degenerata lo dicono le cronache quando parlano di interventi delle forze dell’ordine nelle sedi dei concorsi e quando dagli scandali politici emergono le lottizzazioni dei posti negli ospedali, l’abnorme numero di “consulenti” assunti nelle pubbliche istituzioni egli stretti  gradi di parentela tra molti docenti che si raggiungono in alcune facoltà universitarie.

E’ dunque urgente ridefinire le competenze tra istituzioni e le forme per l’esercizio reale del diritto allo studio nella scuola dell’obbligo tornando alla sua gratuità e nei casi di redditi bassi al sostegno delle famiglie. Si deve inoltre definire un vasto piano di borse di studio e di servizi per quei giovani che intendano proseguire oltre l’obbligo la loro formazione. Tale piano deve essere necessariamente, almeno in parte, definito a livello comunitario e deve riguardare sia la formazione per il lavoro attualmente di competenza degli enti locali e sia i percorsi di laurea.

Università e ricerca.

Propongo di organizzare rapidamente un seminario nazionale con la presenza di personale dell’università, di studenti, di ricercatori, di docenti e ricercatori italiani che lavorano all’estero. Ovviamente tale riunione deve vedere la presenza di persone estranee al mondo dell’ università ed in particolare di esperti del mercato del lavoro, di docenti della scuola e del mondo lavoro e della cultura. Il fine di tale seminario dovrà consistere nell’elaborazione di proposte, eventualmente anche divergenti, per una riforma completa ed organica in modo da riconsiderare scelte quali i numeri chiusi, la diffusione delle sedi universitarie, l’autonomia delle singole sedi, la revisione dei doveri legati alla docenza e alla ricerca, la riforma del lavoro nelle università e negli enti di ricerca. la selezione del personale, gli strumenti di valutazione, etc.

 

Riordinare le attività scolastiche e culturali all’estero.

  1. a) Ci dobbiamo basare sul modello degli altri paesi europei  che sono dotati di istituti ( British Council, Goethe Institut, Istituto Cervantes,Centre CulturelFrancais) di diritto pubblico. Significa partire da un idea di autonomia della cultura e quindi eliminare la dipendenza stretta dal Ministero per gli Affari Esteri. Si dovrebbe creare un ente di diritto pubblico che inglobi gli Istituti Italiani di Cultura e che gestisca tutte le forme di presenza scolastica all’estero e/o di finanziamento di istituzioni straniere.
  2. b) Confermare l’accesso a queste attività del personale scolastico con almeno 5 anni di incarico a tempo indeterminato e trasformare la prova di selezione, gravemente svilita dall’ex ministro D’Alema, in una graduatoria ( che non è concorsuale dato che si tratta di operazioni di selezione per mobilità)  per soli titoli da rinnovare ogni tre anni. Dato che la prova serviva, giustamente, ad accertare la conoscenza della lingua straniera, si può delegare questo aspetto agli istituti pubblici, sopra citati, dei paesi europei tramite convenzioni e stabilendo il livello di conoscenza da superare per poter iscriversi nelle graduatorie. In parole povere potrà chiedere l’iscrizione nelle graduatorie solo il personale in possesso della certificazione di conoscenza della/e lingua/e straniere rilasciata dagli enti di cui sopra.
  3. c) Ridefinire i motivi di fondo ( presenza di comunità di origini italiane, interessi culturali ed economici del nostro paese in particolari aree geopolitiche, paesi da cui proviene l’immigrazione in  Italia, etc) sulla cui base si giustifica la presenza scolastica e riconsiderare gli strumenti ( scuole o sezioni bilingui sul modello degli interventi realizzati in alcuni paesi dell’est europeo o del liceo europeo, lettorati, etc.).
  4. d) Riorganizzare il flusso di risorse che passa direttamente dalle regioni alle comunità di emigrati all’estero provenienti dalle medesime regioni. Prevedere un fondo nazionale per indirizzare risorse destinabili a cittadini stranieri di origine non italiana ( es. borse di studio per frequentare corsi di alta formazione professionale in Italia che interessino produzioni industriali, artigianali e agricole italiane.
  5. e) Istituire o agevolare l’istituzione di corsi di italiano, educazione civica e istruzione professionale nei paesi da cui proviene l’immigrazione.

Filippo Ottone