PAROLE NOTE, COSCIENZE IGNOTE

Gustavo Zagrebelsky si pone domande di un certo rilievo, a proposito di quale lingua si servano i magistrati italiani, riguardo alcune intercettazioni che coinvolgono diversi componenti del Consiglio Superiore della Magistratura. Una volta tanto, la questione non concerne come si esprimano – a voce o nei provvedimenti che redigono – quanto piuttosto perché si servano di parole che comunemente vengono definite ‘parolacce’. Non vernacolo: ché pur sempre merita una certa dignità e considerazione. Parolacce, anche per il modo e il contesto in cui vengono utilizzate: e coloro rispetto ai quali vengono usate. Io, però, avrei qualche altra domanda e non ha a che vedere con l’onestà personale di ognuno di costoro.
Intendo dire questo; per quanto sia necessaria la massima cautela, nelle indagini in genere e nell’esame delle intercettazioni telefoniche e ambientali nello specifico, alcuni consiglieri del CSM, togati e di nomina politica, nell’usare termini strettamente attinenti alla zona ano-genitale, quasi inevitabilmente connessa – nel significato per nulla implicito nei loro discorsi – a situazioni di dominio e sopraffazione, cui corrispondono gesti di sottomissione, avvenuta, auspicata o minacciata, avrebbero per questo meritato di essere indagati. Difficile non pensare, subito, a questioni penalmente rilevanti: offra spiegazioni plausibili, chi pensi a qualcosa di diverso. Non pare davvero che i vari interlocutori intendessero attività di carattere puramente sessuale, fra adulti consenzienti, pienamente lecita e interdetta all’interessamento delle forze dell’ordine.
Il profilo delle loro attività, di quanto detto e fatto, è dunque oggetto di indagini delle quali, come quasi tutto il rimanente della popolazione italiana, esclusi inquirenti, personale di cancelleria e difensori – così almeno si spera – nulla so; se dovesse aversi un seguito in sede di giudizio, questo sarà compito di giudici di vario grado e così via. Spetterà a costoro, se del caso, occuparsi degli eventuali risvolti penali; quanto alle coscienze, è materia che appartiene al singolo accusato. Insisto: ho ben altre domande.
Perplessità, per lo più. Senza rigirarsi più che poco alla ricerca di termini specifici, ritengo che l’essere onesti e integerrimi siano i due requisiti necessari e sufficienti affinché taluno sia legittimato a esercitare il ruolo di magistrato, esigendo e meritando rispetto: della singola persona e del Potere che rappresenta. Però credo che, a parte questo, a chiunque porti una toga curiale, in seconda battuta possano e debbano essere chieste – pretese, direi – la cautela e la capacità di ponderare a sufficienza dove, come, a chi stia parlando e cosa si stia dicendo o ascoltando. Se mi è permessa una considerazione dettata soprattutto da qualche decennio di esercizio della professione legale, posso affermare che l’assistito che incautamente parla al telefono – e di quanto dice viene captato il contenuto – sia una delle iatture peggiori che un difensore possa immaginare. Specie in questi anni, nei quali forse solo i membri di qualche isolata comunità nativa, sparsa o confinata in qualche remoto territorio non raggiunto dai mezzi di comunicazione (e neanche dalla telefonia), ignorano cosa siano le intercettazioni.
Insomma, questi magistrati che minacciano, blandiscono, organizzano, architettano, si spartiscono favori e prebende, condendo il tutto con una variegata macedonia di cazzi rotti, merda da spargere o dalla quale togliersi o mettere taluno, prenderlo o metterlo in culo da o a talaltro e via discorrendo, hanno idea di come stanno parlando, cioè di quale mezzo si stanno servendo? O del fatto che, se sono a quattr’occhi, ci potrebbe essere qualcuno – tramite qualcosa – in ascolto? Magari qualcuno o qualcosa che si trova a pochi metri dal loro ufficio in palazzo di giustizia, mentre concreta un atto di indagine analogo a quelli che loro stessi, in altre situazioni hanno chiesto, autorizzato, convalidato?
Diciamo che, fino a dieci minuti prima di tenere un comportamento penalmente rilevante, attinente a quelle intercettazioni, alcuni di costoro fossero da ritenersi magistrati onesti e integerrimi: incensurati, non perché mai coinvolti, ma perché mai avevano in passato commesso alcunché di illecito. Onesti: integerrimi, come magistrati; ma, cauti? Attenti? Dotati di capacità di ponderare, valutare, nell’esercizio della giustizia? Erano equilibrati, equanimi, distaccati? In grado di percepire, con la prontezza e la lungimiranza necessarie, le insidie che si annidano in un’indagine o nella gestione di un processo? 
A sentirli parlare fra loro al telefono, in un ambiente – un palazzo di giustizia come quello di Roma o altri, oppure in stanze particolari di ministeri – dove se qualcuno dagli Affari Riservati starnutisce, qualcun altro risponde ‘salute’ dalla sala intercettazioni della Procura, si direbbe proprio di no.
Insomma, di che cibo si nutrono questi nostri magistrati, la cui alimentazione non è meno importante di quella di Cesare? Da cosa è composto il loro essere uomini e donne di legge? Il signore che si alza alle 4 del mattino per gestire il banco ortofrutta sotto casa mia, si domanderebbe che testa hanno questi. Prima di compiere gesti che potrebbero portarli alla condanna, come e dove vivevano? Come ragionavano quando entravano in un’aula di giustizia? Che livello di esperienza di vita, dei comportamenti umani, della società avevano, tutte le volte che si alzavano per chiedere una condanna o entravano in camera di consiglio per emettere una sentenza in nome del popolo italiano? Quale metodo di lavoro utilizzavano, dove l’avevano imparato e da chi, quando coordinavano le indagini della Polizia Giudiziaria, o dirigevano gli interrogatori in prima persona? E, sì, cazzo – coloritura vernacolare – quando venivano portati alla loro attenzione nastri o tabulati di intercettazioni telefoniche e ambientali?
Un Potere che legittimamente pretenda rispetto e che eserciti autorevolezza – ché di esercitare autoritarismo, come possiamo constatare, son buoni tutti: o’Malamente, che ha da fare la faccia cattiva, ha da tempo lasciato i palcoscenici della sceneggiata per unirsi al Bar Sport nell’occupare ben altre sedie – non può sottrarsi a queste domande, non importa chi le ponga. Deve anzi dare risposte, prima che gliene venga chiesto conto, non potendo sperare di cavarsela con la condanna di quattro turpiloquenti della mezza porzione alle due di notte. Non è possibile garantire a priori l’onestà del singolo giudice o pubblico ministero: la sua preparazione, vorrei dire umana prima che tecnica, sì. Lo deve essere: se così non fosse, potremmo tranquillamente parlare d’altro.

Cesare Stradaioli