FILOSERBO SARA’ LEI!

Apprendo da alcuni commenti seguiti all’assegnazione dell’ultimo premio Nobel per la letteratura, che essere filoserbi è disdicevole, al limite dell’essere un paio di scalini al di sotto della complicità nei terribili fatti accaduti durante guerra nella ex Jugoslavia.
Ora, il tutto sarebbe meritevole, al più, di un commento ironico o, forse, di nessun commento: non fosse che, all’interno della pletora di commenti ridicoli e idioti, se ne trovano altri più pacati e qualificati e, perciò stesso, più insidiosi. Dei primi, non merita di essere detto nulla, lo dico a titolo personale: si arriva a una certa età in cui si trova che ci sia di meglio e di più urgente di cui occuparsi rispetto alle stupidaggini scritte dagli analfabeti; ci pensi chi benefici di maggiore tempo di vita e di energia, la vita è fatta anche di questo e ha i propri tempi. Quanto ai secondi, bisogna dirlo con forza: la disonestà intellettuale è il loro fango di battaglia e farebbe mestiere astenersi: giusto per misurare la distanza.
Se non che, se le idee e le opinioni vanno rispettate, ciò deve essere sottoposto a condizione che loro il rispetto lo meritino, trattandosi di una strada a doppia corsia. Vorrei astenermi, come detto, dallo scendere su un terreno che, viscido com’è, richiede utensileria adatta, ciò di cui non dispongo: detta altrimenti, chiunque estrapoli, a proprio uso e consumo, frasi e concetti da un contesto più ampio e articolato, per giungere a coloro che piluccano qui e là dichiarazioni, magari prese in momenti di concitazione – non è una scusante: è una spiegazione – per poi utuilizzarle come argomento di un certo livello, ebbene tutti costoro facciano i conti con la propria coscienza, se lo ritengono opportuno. D’altronde, non essendo questo imponibile per legge, per parafrasare il creatore della lingua italiana, l’impulso a esaminare la propria coscienza uno se non ce l’ha, non se lo può dare. Affari suoi.
Se non che, al di là dei giudizi sull’autore, è il termine ‘filoserbo’, inteso come dispregiativo, a essere interessante. E’ necessario dire che si può, a pieno titolo e a buon diritto, sostenere le ragioni del popolo serbo, prendendo le distanze da episodi di vera e propria criminalità di guerra, anzi condannandoli? Direi di sì: è pratica antipatica – l’interlocutore dovrebbe avere la bontà e la capacità culturale di essere LUI a discernere le due cose, ma non si può avere tutto dalla vita – e, però, va fatta, piaccia o meno.
Ora, a parte il fatto che la qualità di uno scrittore è da valutarsi a prescindere dalle sue idee politiche – discutibili entrambe, sia pure sotto diversi profili che vanno tenuti ben distanti e distinti – e quindi evitando con cura di scendere nello scantinato della dialettica, per vedere se questa o quella frase, questa o quella dichiarazione siano o meno compatibili con il consorzio civile in cui uno vive, meritandogli oppure non il premio Nobel, bisognerebbe interrogarsi sul termine. Chi avesse espresso solidarietà col popolo tedesco, vittima tutt’altro che collaterale della tragedia della Seconda Guerra Mondiale – stando bene attento a condannare l’antisemitismo, il suo cieco revanscusmo, il concetto stesso di Reich Millenario, con tutto quanto ne conseguì – sarebbe stato gratificato della qualifica, dispregiativa e vergognosa, di ‘filotedesco’? [Gunther Grass a 15 anni vestì per qualche mese la divisa delle SS, il che, anche considerando il suo comportamento successivo, non lo escluse dalla lizza per il Nobel, che poi meritatamente gli fu assegnato] O non fu John Maynard Keynes a mettere in guardia, inascoltato – e ne abbiamo visto le terribili conseguenze, di questa sordità di chi non volle sentir – dal sottoporre i tedeschi, dopo la Prima Guerra Mondiale, a inutili e avvilenti umiliazioni? Filotedesco anche il grande pensatore britannico? La lunghissima serie di presidenti Usa, sistematici declamatori della grandezza del proprio popolo (pochissimi di costoro, peraltro, hanno avuto la compiacenza di spendere due parole di scuse per il massacro dei veri nativi americani), potrebbero vedersi oggetto dell’epiteto ‘filoamericano’?
Qui non si tratta di fare a gara a chi si è sporcato mani e coscienza più dell’altro, né di fare la conta dei morti (pratica da maneggiare con grande cautela; nasconde sempre tranelli qui e là): semplicemente di mantenere un minimo sindacale di senso della misura. Chi ritenga che gli orrori perpetrati dalle truppe irregolari cetniche serbe – notoriamente fascisti, esaltatori del saluto pollice-indice-medio, vale a dire dio-patria-re, dunque quanto di più distante dall’idea di socialismo nella ex Jugoslavia – o dagli scherani agli ordini del generali Mladic o, ancora la politica antialbanese condotta da Milosevic (l’attuale dirigenza kosovara che oggi se ne lamenta, conta al suo interno personaggi molto più che sospetti di avere avuto ruoli apicali nei traffici di armi e droga nei Balcani, per cui la lascerei perdere), anche solo lontanamente paragonabili alla Soluzione Finale nazista, si toglie dal dialogo storico-politico per ritagliarsi un più che meritato angolo in un qualsiasi tabarin dove le idiozie vanno un tanto al chilo – sia detto per inciso: medesima considerazione meriterebbe chiunque sostenesse il paragone fra il massacro degli indiani d’America e la Shoa: ancora una volta, non per il numero, bensì per la sottesa, differente dottrina politica che ne ha funto da propulsore.
Ignoro cosa faccia, come si comporti e quali idee esprima Peter Handke nella sua vita privata: siamo grandicelli a sufficienza per sapere e ricordare quante e quali illuminate figure di artisti fossero tali solo nella vita pubblica, per lasciare il posto a veri e propri uomini di merda in quella privata. Handke ha espresso solidarietà a Slobodan Milosevic non per la politica attuata, bensì in ragione di quello che lui ritiene essere stato un trattamento pesantemente differenziato – in peggio – dalla Corte di Giustizia della Comunità Europea, a paragone di altri comportamenti tenuti da rappresentanti politici croati e bosniaci. Io non lo so: non ho letto gli atti del processo cui è stato sottoposto. Osservo però come nel carcere de l’Aja sia ospitata una percentuale di imputati/condannati serbi enormemente maggiore di quella di politici e militari di altre, opposte fazioni: se la convinzione alquanto comune secondo la quale, in definitiva, le colpe sono sempre al 50% è stupida e di comodo, direi che una differenza percentuale dell’80% rispetto a un 20% è, per lo meno, alquanto sospetta di una certa differenza di trattamento.
Personalmente, mi annovero fra coloro che possono definirsi vicini alle sofferenze cui è sottoposto (non da oggi e neanche da ieri) il popolo serbo: del resto, fu l’allora ministro degli Esteri Lamberto Dini, non esattamente un arrabbiato bolscevico, a definire umilianti per Belgrado gli accordi di Dayton. I filoserbi sono fra noi?

Cesare Stradaioli