PARENTI AGITATI

In Italia si può tranquillamente scherzare – e fare anche di peggio – con i santi e, di conseguenza, anche col Papa, ma i fanti vanno lasciati in pace e con il termine si intende l’Arma dei Carabinieri. Perché solo ad avvicinarsi ai Carabinieri si rischia grosso.

Non è più il tempo delle barzellette sull’appuntato e il maresciallo e delle gare a chi fosse più scemo o ignorante: girano storie un tantino più serie. Molti anni fa, uno dei coinvolti nella retata del 7 Aprile, Mario Dalmaviva, mise a mo’ di prologo di un suo libro quella che a buona ragione potrebbe essere definita una considerazione di alta lungimiranza politica, talmente aneddotica da finire con l’essere discretamente realistica, rivoltagli (così pare) dal solito maresciallo che si trovava a fronteggiare un servizio d’ordine durante una manifestazione degli anni ’70 e che – cito a memoria – suonava più meno così: “Sì, sì, voi manifestate, manifestate pure; tanto, se vincono i vostri, a noi ci tolgono la fiamma e ci mettono la falce e martello e continuiamo a mazzolarvi lo stesso.”

Bisogna dirlo, non siamo poi così distanti dalle battute fra De Sica e Sophia Loren, ma il punto è che quando in qualsiasi cosa c’entrano i Carabinieri, il tutto diventa sfumato, poco chiaro, anfibio. Più spesso, diventa un pretesto per regolare certi conti o sviare l’attenzione. In questo senso pare collocarsi una seria e articolata inchiesta che passa in questi giorni su ‘Repubblica’, con firma prestigiosa. Sfiderei chiunque a farsi un’idea, non dico precisa (non è possibile), ma quanto meno a grandi linee chiara, della vicenda CONSIP e di se, come e perché alcuni appartenenti all’Arma avrebbero in qualche maniera indirizzato e/o sviato delle indagini verso l’allora Presidente del Consiglio, Renzi, coinvolgendo il di lui padre: figura notoriamente, non proprio cristallina: piuttosto discussa, anzi e non a causa dei Carabinieri.

Non vorrei entrare nel merito di un’inchiesta giornalistica su un’indagine giudiziaria: me la cavo agevolmente dicendo di non conoscere gli atti; il che dovrebbe consigliare di fare altrettanto, grosso modo a tutti coloro che se ne occupano, a parte qualcuno. Ma il punto è un altro.

Diciamo che è vero che tale ufficiale dei Carabinieri abbia, colposamente o dolosamente non è il caso adesso, scambiato i nomi: non era il noto faccendiere Romeo a parlare con il signor Tiziano Renzi, bensì un ex parlamentare, se non ricordo male già parte di una compagine governativa, Italo Bocchino. Il quale è, ma tu guarda le coincidenze, consulente del signor Romeo, figura preoccupante nel sottobosco politico e imprenditoriale romano.

Dato che il titolo odierno dell’inchiesta parla di un triplo gioco attorno a Renzi figlio e che, a quanto pare di capire, l’impostazione (non solo di ‘Repubblica, sia detto per inciso) della stragrande maggioranza della stampa nazionale è che qualcuno stesse cercando di infamare Renzi figlio tirando in mezzo Renzi padre, vorrei fare la seguente osservazione.

Può anche darsi. In un passato non troppo lontano e che molti tendono a dimenticare, pezzi dell’apparato statale, inclusi i Carabinieri, hanno agito sottotraccia, ai limiti della legalità e anche oltre e sappiamo bene perché, in quale direzione, tramite quali esecutori politici italiani e agli ordini di chi: non raccontiamoci le favole della buonanotte; ritengo, per dire, che ai tempi fossero rimasti solo Alberto Ronchey e pochi altri a credere sinceramente che la CIA nulla avesse a che fare col golpe di Pinochet in Cile. Per cui, in Italia, non si può in alcun modo escludere che qualcuno volesse attaccare politicamente Renzi, usando la figura del genitore.

Ora, mio padre era un uomo di destra. Rigido, scarsamente portato al dialogo, ma profondamente onesto. Incensurato e, a differenza di Renzi padre, mai sottoposto ad alcuna indagine – men che meno archiviato per bancarotta fraudolenta. Se io, che non ho mai ricoperto alcuna carica pubblica, ma che comunque per quello che può valere, molti anni fa, avanti il Presidente del Tribunale di Padova ho prestato impegno di lealtà, onore e professionalità nel mio lavoro di avvocato per il quale ci metto la faccia anche in pubblico, avessi saputo che mio padre pensionato usava andarsene tre volte a settimana a Roma per parlare con Tizio o Caio, coinvolti o meno in malaffari di qualsivoglia sorta, col massimo affetto di figlio riconciliato col padre dopo anni di conflitto, gli avrei chiesto cosa diavolo andasse a fare a Roma e come gli fosse venuto in mente di parlare con simili personaggi, a nome di chi e perché. Dopo di che, quale che fosse stata la risposta, gli avrei – sempre con affetto – ingiunto di smetterla di frequentare simili personaggi, che con certa gente non si sa mai. Avrei detto lo stesso anche se fosse andato a scommettere sui cavalli, si capisce.

Questo avrei fatto io e come me, nella medesima situazione, moltissime persone dotate di un certo senso civico.

Matteo Renzi, in tutto questo guazzabuglio, pare che non sia mai stato iscritto a notizie di reato e me ne compiaccio. Il che non gli toglie il diritto di pretendere chiarezza in questa indagine che tocca un suo affetto più caro. Abbiamo, però, anche noi cittadini il sacrosanto diritto di pretendere che una figura pubblica, prima di esigere chiarezza fuori casa, mostrasse un minimo sindacale di decenza e di senso delle istituzioni, facendola a casa propria, anche per evitare futuri, sgradevolissimi equivoci. Tenere la guardia alta, insegnano nelle scuole di pugilato: poi, magari, ti attaccano sotto altri fronti, ma meno lati deboli presenti, più credibile sei.

Tengano a bada i cani sciolti al loro interno, le forze dell’ordine, specie se delegate a indagini dalle Procure: tengano a bada i parenti irruenti e inappropriati, i politici che chiedono la fiducia dei cittadini, dovendo essere loro, dal punto di vista della logica, i primi a farlo. Che mettere le mani (e le attenzioni) avanti, può essere talvolta inutile ma, certamente, dannoso non lo è mai.

Cesare Stradaioli