“Nun cell’ho cottè…”

Peter Schneider è quello che un tempo si definiva ‘un sincero democratico’.

Il termine, in certi momenti, poteva suonare perfino irridente e, per chi non lo ricordasse, indicava una brava persona, uno rispettoso della democrazia, ragionevolmente antifascista, quel tanto di terzomondismo che non guastava mai. Un po’ di tutto e quanto basta, come dicevano le nostre nonne riguardo alle ricette.

Schneider, peraltro, è uno che ci ha anche messo la faccia, come si dice, quando scrivere libri intitolati “Nemico della Costituzione”, non era proprio una passeggiata di salute e in quella Germania che qualcuno rimpiange – quella del Berufsverbot, tanto per rinfrescare la memoria – poteva significare essere additati a sovversivi. Capitò a Heinrich Boll e perfino a Gunther Grass. Toccò anche a lui.

Proprio in ragione della firma e del personaggio che rappresenta, l’articolo che compare oggi su Repubblica, descrive qualcosa di preoccupante: per quello cui appena accenna e per quello che fa tornare in mente. Schneider prende le distanze dalla sua cancelliera in modo piuttosto evidente e tuttavia non è questo quello che preme osservare.

Da viaggiatore del mondo, e in particolare dell’Italia, egli nota come gli ammonimenti e le considerazioni socioeconomiche di studiosi e premi Nobel come Joseph Stiglitz, Paul Krugman o Thomas Picketty, siano pressoché ignorati nel suo Paese. “Nemmeno risposte di disaccordo, silenzio totale.” Nella migliore delle ipotesi, avvertimenti o argomentazioni del tutto sottovalutati, in un Paese occidentale, dove vige o dovrebbe vigere la libertà di stampa, nel Paese di Goethe e di Hegel, dove la libera circolazione delle idee e lo scambio di opinioni (che in un buona parte di esso, per decenni, sono stati confiscati) hanno o dovrebbero avere un posto preminente nella dinamica sociale.

Invece, stando a Peter Schneider, argomenti così fondamentali per il popolo tedesco, visto il ruolo economico e, di fatto, politico che sta giocando la Germania, temi quali la moneta unica, l’area economica europea, la solidarietà, lo stesso concetto di Europa, sono sconosciuti, neanche discussi se non in termini di bilancio, dare e avere, debiti e crediti. I cittadini tedeschi, in proposito, nulla sanno.

Non l’abbiamo già sentita, in passato, questa storia?

Ora, guai a fare per forza di cose una sorta di automatica equiparazione con il famigerato ‘io non potevo sapere’, riguardo ai campi di sterminio ai quali erano destinati i treni carichi di coloro che poi formarono la conta dell’Olocausto, treni che non viaggiavano di notte e certo non in incognito, o alla lenta e inesorabile discesa agli inferi dell’antisemitismo dei volenterosi carnefici di Hitler, percorsa nell’indifferenza più totale dalla stragrande parte del popolo tedesco, ma d’altra parte non si può rimanere impassibili di fronte a quello che scrive uno che, per l’appunto, è un vero sincero democratico, che non ha avuto timore di prendere per il bavero il proprio governo e il modo di pensare del suo popolo.

I tedeschi non ne sanno niente? Come non sanno che, alla fine del secondo conflitto mondiale, il loro sconfinato debito di guerra è stato azzerato, al fine di consentire la rinascita economica, civile e sociale di un Paese distrutto? Da una guerra – bisogna dirlo – voluta praticamente da tutti i tedeschi? Se lo sono mai chiesto, chi e cosas l’ha reso possibile e perché proprio a loro? Come non sapevano che per decenni la Germania è stata il più Paese europeo più ferocemente inquinatore? Qualcuno di loro, a parte un paio di milioni di Verdi, si sono fatti qualche domanda su intere foreste devastate dalle piogge acide? Come non sanno che il costo finanziario della riunione delle due Germanie è stato pagato da tutta Europa? Se sono dati una spiegazione di come sia stato possibile equiparare, da un giorno all’altro, una valuta forte come il Marco della Germania Ovest e le banconote da Monopoli del Marco della DDR? Come non sanno che da anni, sistematicamente, la Germania viola il trattato secondo il quale ogni Paese dell’UE non può superare il proprio avanzo di bilancio in positivo per quanto riguarda le esportazioni del 6% il che, molto ma molto più in grande, assomiglia al superamento delle quote latte prescritte a ogni Stato dall’Europa?

Il tutto ci porta a una inevitabile conclusione: i tedeschi credono ciecamente nei loro rappresentanti politici. Da sempre, da che esiste il concetto di Nazione Germanica. Cioè a dire: io vi voto e poi fate voi. Che è, più o meno, luna delle immonde conseguenze del sistema maggioritario: io mi esprimo con il voto e poi lasciatemi in pace, fate quello che volete, fate quello per cui vi ho votato e non mi scocciate che ho altro da fare nella vita che occuparmi di politica a tempo pieno: e giù con le percentuali di partecipazione al voto in discesa libera e senza casco.

Non è il caso di prendersela con Angela Merkel o con Wolfgang Scheuble – il quale, opinione raccolta qui e là, malgrado la propria disabilità riesce a suscitare più antipatia che compassione, e ci sarà un motivo: fanno il loro mestiere di democristiani, liberisti accaniti nonché tenaci protestanti per i quali il debito è colpa e prima della solidarietà arrivano i conti in ordine. Non sono loro, né il governatore della Bundesbank né altri, i veri responsabili del tentativo di umiliare la Grecia e la democrazia: sono i cittadini tedeschi, che ragionano come se al mondo ci fossero solo loro (tranne quando si tratta di vendere, nel qual caso si degnano di considerare anche gli altri, ma solo come clienti) e che sembrano ignorare le ragioni altrui e quelle della Storia.

Se la situazione non fosse tragica, si potrebbe anche metterla in battuta – e, magari, non farebbe neanche male – e dire, parafrasando Petrolini, che uno non è che ce l’ha con la Merkel o con Scheuble, quanto piuttosto con i loro elettori che non li buttano de sotto, invece di continuare votarli. Ci sarà un motivo anche per questo.

Cesare Stradaioli