NON PRENDETEVELA CON CHI OBIETTA

Da strenuo sostenitore della separazione dei significati – e non delle carriere – Franco Cordero tornava spesso su un argomento che gli stava particolarmente a cuore: un conto sono le leggi, altro sono i destinatari di questa o quella norma; guai a confondere chi deve seguire un determinato dettame con coloro che l’hanno approntato, approvato e introdotto nell’ordinamento. In questo senso, la diatriba ideale con Alessandro Manzoni, a proposito della peste a Milano di cui tratta “La colonna infame”, nel quale scritto il padre degli sposi promessi attacca frontalmente giudici ed esecutori delle torture cui erano sottoposti pressoché tutti coloro che avessero la sventura di essere indagati, è emblematica; sbaglia lo scrittore, sosteneva il giuspenalista: chi applica la legge e chi ne mette in pratica l’aspetto punitivo, afflittivo – del corpo o della libertà – non può essere chiamato a rispondere al medesimo titolo rispetto a coloro i quali quella legge e quella particolare disposizione e quella sanzione hanno riversato nel sistema legislativo.
Argomento scivoloso come pochi, anche se a ben guardare una catena di responsabilità pur sempre esiste e ha nomi e ruoli da mantenere rigorosamente ben definiti. Certo, il soldato tedesco che rastrella ebrei per sottoporli alla ritorsione dovuta a un attentato può e dovrebbe tenere la schiena dritta e rifiutarsi di obbedire a un ordine disumano: sono, in primo luogo, affari suoi e della sua coscienza; ma, in secondo luogo e soprattutto, è l’ordine in sé a essere orribile e allo stesso modo lo sono quelli che lo impartiscono e, in ultima analisi, è orribile il pensiero che ha portato al conflitto e alla situazione che vede lotta di liberazione contro oppressori.
Un cittadino italiano che eserciti la professione medica ha il diritto di obiettare, tutte le volte in cui viene richiesto di praticare un’interruzione di gravidanza: glielo garantisce la legge stessa; non siamo in presenza di arbitrarie prese di posizione, esercitate in un vuoto legislativo. Si può discutere in eterno sul momento in cui una vita inizia il proprio percorso biologico ed è un dato di fatto che in non pochi fra coloro che ritengono un passo in avanti di civiltà il principio ispiratore della legge 194 – chi scrive si colloca fra costoro – si trovino non del tutto fermamente decisi sul momento di inizio vita.
Tuttavia – e pure questo è un dato di fatto in quanto legge dello Stato – se un medico ha il diritto di obiettare, ciò avviene per il semplice motivo che la legge che introduce l’interruzione di gravidanza non è altro che l’ennesimo e purtroppo non ultimo esempio di compromesso, in un Paese diviso (ma sarebbe forse più corretto usare il termine lacerato) fra un movimento di pensiero e politica avanzato e i retaggi ancora ben saldi e presenti di una cultura che non riesce ad affrancarsi dal potere religioso, forte e profondamente incistato nel tessuto sociale.
In fin dei conti, la legge 194 è lo specchio del Paese in cui viviamo, macchiato a mo’ di leopardo da isole di illegalità talmente numerose ancora oggi, tali da lasciare incerti nel considerare quali siano le parentesi e quale sia il percorso principale, se l’osservanza delle leggi o il suo opposto.
Quanto alla legge in sé, dal punto di vista strettamente tecnico, si tratta di un qualcosa di abnorme, non essendo consentito dalla nostra civiltà giuridica e dalla Costituzione che il singolo medico rifiuti l’assistenza sanitaria per ragioni di opinione (un credo religioso è, in sintesi, una somma di opinioni) in merito alle idee politiche del paziente o sul suo orientamento sessuale o l’etnia. Ove si fosse in presenza di una simile legge, sarebbe del tutto evidente l’assurdità giuridica – ma anche in punto di logicità della stessa – insita nel rimettere a valutazioni del tutto personali e concettualmente non soggette a confronto, essendo per l’appunto ogni discussione in termini di idee politiche e sessuali equiparabile, per dirla con Franco Fortini, al bastonare l’aria circostante.
Sarebbe necessario cambiare al più presto la normativa, nel punto in cui solleva il singolo, ipotetico obiettore, dal secondo obbligo cui è sottoposto come cittadino (il primo è quello di rispettare le leggi dello Stato), che sorge nel momento in cui indossa un camice, vale a dire di curare chiunque gli venga affidato. Liberissimo egli, se crede, di aderire a un movimento di opinione affinché un domani il Parlamento liberamente voti l’abrogazione della 194 ovvero di lasciare la professione medica: ce ne sono tante altre in giro, ugualmente rispettabili e soprattutto rispettose del consorzio civile.
Prendersela con questo o quel medico obiettore o col crescente numero di sanitari che esercitano un diritto conferito loro dalla legge è sciocco, cieco e rischia di riportare il Paese al giorno prima dell’entrata in vigore di una legge tanto civile quanto appesantita dal compromesso.

Cesare Stradaioli