NON CHIAMATELA FOLLIA

Vorrei rivolgere un appello a tutti i direttori di testate, cartacee, on line, audio e video: non scrivete più, quando toccherà a un vostro inviato parlare dell’ennesima donna uccisa da un uomo (ex o attuale compagno) oppure deciderete di andare in prima pagina voi stessi con un editoriale, che si è trattato di un gesto di follia.

Su Repubblica di oggi, in un servizio dove per l’appunto si narra la terribile vicenda di una ragazza assassinata dal proprio fidanzato – due vite rovinate, il che rende doppia la ferita alla società: il diritto penale, per la miseria, è diritto pubblico, non privato! – il cronista prova a dare una spiegazione a quanto è accaduto e dopo avere velocemente menzionato motivi più o meno chiari di ancora familiare o di gelosia, scrive che sarebbe più opportuno parlare di follia.

Non lo fate più, ve ne prego. Perché, al di là di singoli episodi di veri e propri disturbi mentali, nella stragrande maggioranza dei casi, soprattutto quando l’assassino è (o è stato) marito o fidanzato, purtroppo si tratta di motivazioni solide, talvolta rivendicate e – duole dirlo, ma nel nostro Paese il folklore non di rado rapidamente passa dalla farsa alla tragedia e ne cavano pure delle messe in scena teatrali e cinematografiche – consolidate nel tessuto sociale. Attenzione a non confondere il movente con la modalità del gesto; i manuali di criminologia sono concordi da decenni nel dare un peso, se vogliamo relativo, al comportamento omicida dalla terza coltellata in poi, quelle inferte nella foga. Per quanto possa destare ribrezzo (lo scempio di un corpo, quand’anche fosse di un animale, non può lasciare indifferenti), se è la prima coltellata o la prima bastonata o la prima pistolettata a uccidere, quanto più numerose sono le seguenti, tanto meno il soggetto ne ha piena coscienza, perché lo stato di eccitazione che prende determinate persone nell’atto di compiere un gesto cruento trascende in grande parte la concreta volontà di fare del male (cosa materialmente impossibile, se il soggetto è già morto, a seguito della prima lesione). Per dire, è correttamente ritenuto estremamente più grave (sia dalla scienza sia dalla giurisprudenza in punto di pena da irrogare) un solo, singolo gesto consistente nel gettare acido sul viso della vittima, gesto espressamente e inequivocabilmente teso allo sfregio, alla sofferenza, alla permanenza della lesione e, magari anche alla morte, di quanto non so siano, per l’appunto, la terza, la quarta, la ennesima coltellata e così via.

Ma, come detto, un conto sono le modalità: altro è il movente. E in casi quali quello della disgraziata ragazza rapita e uccisa dal cosiddetto ‘fidanzatino’, minorenne come lei (rimane da stabilire se, eventualmente, con l’aiuto del di lui padre), nell’orrendo caleidoscopio di ragioni per le quali un uomo decide di togliere la vita a una donna, troviamo sempre la gelosia, il rifiuto di essere lasciato, il considerare inconcepibile che lei possa autodeterminare la propria vita, la sostanziale incapacità di accettare qualsiasi cosa che vada contro la propria volontà, più spesso di dominio e di prepotenza.

Questa non è follia. Questo è, molto semplicemente, il risultato di trenta anni di bombardamento mediatico, costituito da spettacoli e dibattiti televisivi, pubblicità, video musicali, manga paranazisti, un orribile minestrone di idiozia, sessismo, superomismo straccione, odioso strapotere pubblicitario, arretratezza culturale, pelosa rivendicazione di valori di un tempo (quando i mulini erano bianchi, scriveva Giorgio Bocca, i padri padroni contadini picchiavano la moglie, violentavano le figlie, massacravano di botte figli maschi e animali e si trucidavano tra fratelli per quattro stracci di merda ereditati dal padre, altro fenomeno di disumanità, che a loro solo quello aveva insegnato, mentre l’oscurantismo veniva garantito dalla Chiesa) e tutto un insieme di comportamenti, modelli, imposizioni che hanno perpetuato nei decenni, a dispetto delle conquiste sociali faticosamente conseguite dalle donne, l’idea che dietro il paravento (più spesso un fondale, come nei western all’italiana: dietro la facciata, niente) di un amore vero o presunto o di svariati suoi succedanei, possa giustificarsi qualsiasi gesto, qualsiasi prepotenza, ogni tipo di prevaricazione.

Questi uomini, dai minorenni al quarantenni, per tutta la loro vita, nella NOSTRA società, non su Plutone, hanno assistito a migliaia di ore di schifosa televisione, durante le quali si vedevano politici od opinionisti o emeriti fancazzisti sputacchiarsi addosso, offendersi, darsi sulla voce, urlare il loro vuoto interiore, a centinaia di video criminali in cui le donne, quando va bene fanno tappezzeria se non di peggio, a innumerevoli e osceni spot pubblicitari; insomma, hanno visto, ingoiato e introiettato i comportamenti di un enne numero di puttane di qualsiasi sesso – detto col massimo rispetto per quelle donne che per necessità o per disperazione battono il marciapiede, non fosse altro che per fare una cosa del genere ci vuole coraggio – che per denaro o per semplice ambizione ad apparire, hanno portato indietro di quarant’anni la nostra società civile. 

1981: viene abrogato il delitto d’onore; è da rivendicarlo o è da vergognarsi? Per dirla con Luigi Pintor, quando nel 2017 voi leggete di un ragazzo o di un uomo scolarizzato, nato e cresciuto in una società sufficientemente civile e aperta, che dice di avere tolto la vita alla compagna perché era ‘troppo libera’ e in questo percepite gli echi di medesime rivendicazioni di uomini che per decenni e fino appunto al 1981 hanno goduto di attenuanti nell’avere ucciso la moglie fedifraga (ma, almeno, avevano la giustificazione di essere uomini del loro tempo, nati settanta, ottanta, cento anni prima del povero disgraziato di ragazzo oggi sulle cronache nere), come vi sentite?

Vi sentite bene?  Vi sentite male? Vi sentite male: e parlare di follia è una scappatoia fra le più comode e ottiene un duplice risultato. Da un lato, emargina il capro, unico colpevole del fatto, mela marcia in un cesto di splendide e intonse pink ladies e dall’altro consente di continuare a fare in modo che diecimila, trentamila – che ne so? – balordi, bastardi, infami, zoccole (quelle vere: quelle che non lo fanno per bisogno) ignoranti, pagliacci, teste di cazzo, corrotti, luridi figuri che impregnano e ammorbano i mezzi di comunicazione, continuino a percepire prebende e a tirare ancora un poco più il nostro Paese, indietro verso il Medio Evo.

Per favore, non parlate più di follia. E’ un pessimo servizio alla verità e alla società. 

Cesare Stradaioli