LE DISTRAZIONI FRA PUBBLICO E PRIVATO

Che il tutto sia da attribuire alla progressiva distruzione della sanità pubblica in favore di quella privata, è un falso problema. Intendo dire questo: poiché la constatazione di quanto evidenti e indiscutibili siano le conseguenze delle impressionanti riduzioni di investimenti umani e finanziari sofferti dalla sanità pubblica, è condivisa pressoché da tutti, a parte una specie di riserva indiana di resistenti giapponesi ultraliberisti, ciò stesso deve indurci a guardare oltre. E’ chiaro come anteporre il profitto al servizio, valga per la sanità tanto quanto per le somministrazioni di acqua o energia elettrica – senza la nazionalizzazione che creò l’Enel avremmo ancora adesso ampie fasce del territorio nazionale sprovviste di questo bene essenziale – e comporti disservizi (pubblici) e altissimi profitti (privati) ed è altrettanto chiaro che quando il sistema sanitario di una nazione nel suo complesso viene aggredito da qualcosa che vada oltre le ‘normali’ conseguenze di una ‘normale’ influenza stagionale, tutto il comparto vada in crisi.
Ma il problema pubblico/privato è falso non solo perché viene sollevato ADESSO a tutto campo – merita cautela ogni convergere uniforme ed eterogeneo: spesso nasconde l’arma di distrazione di massa – ma anche perché quello che sta accadendo e cioè, in poche parole, la totale frammentazione degli interventi di cura e prevenzione della pandemia, manifestatasi in eterogenee e improvvise iniziative del tutto autonome e distinte fra loro, quando mai come nel caso di una patologia a livello nazionale è indispensabile una sola centrale di comando e di azione, non è altro che la conseguenza della delega alle Regioni di un numero elevato, per quanto illogico nel suo quadro complessivo, di competenze e incarichi. 
Un Paese come l’Italia conta un venti Regioni (delle quali cinque a statuto autonomo, oltre all’autonomia delle Provincie di Trento e Bolzano all’interno di una di queste), un centinaio di provincie e oltre ottomila Comuni. Basterebbe questo filotto di numeri per comprendere, all’istante, come per quanti sforzi di sburocratizzazione si facciano; per quanti interventi tesi a velocizzare la macchina pubblica si compiano; per quanti progetti di modernizzazione ci si faccia venire in mente e si mettano perfino a regime, tutto questo non avrà mai uno sviluppo e una logica e sensata razionalizzazione. Per il semplice motivo che non è possibile aversi una uniformità di scelte strategiche e di intervento concreto in un Paese così sminuzzato e frammentato: caratteri che possono portare dovunque tranne che nella direzione dell’unità di intenti. Le Regioni sono un terreno fertile per alimentare personalismi, rivalse, campanilismi; marchi di dannazione che vengono enfatizzati nell’istituto del Comune, un tempo lontano simbolo di crescita culturale ed economica, ora nient’altro che residuo di una funzione storica ormai decaduta e priva di logica; entrambe queste istituzioni tenute in vita al solo scopo di alimentare interessi privati e localismi unicamente dediti al particulare, del tutto sconnesse e fuori fuoco con una minima idea di società civile nel suo complesso e di unità nazionale. 
La Provincia in cui vivo, avente come capoluogo una città di poco più di duecentomila abitanti, conta 110 Comuni. 110 sindaci, 110 consigli comunali e così via. Non mi pare che ci sia molto altro da aggiungere. Qualche decennio fa qualcuno prese seriamente in esame una razionalizzazione della suddivisione territoriale e, ovviamente, fu pensato pressoché all’unisono di abolire l’istituto meno frammentato e più rispondente alla politica contemporanea, vale a dire le Provincie, mantenendo gli altri due. Attenzione: decisione insensata solo in un’ottica di bene comune e progresso civile; del tutto logica in quella corrente, fatta di spartizioni di poltrone e dividenti, pubblici e privati. 
Per questo, l’umiliazione della sanità pubblica in favore di quella privata è un falso problema: fino a quando nel nostro Paese non si muoveranno sforzi e intelligenze per una più razionale – e utile – suddivisione del territorio al di sotto dell’egida statale in un’unica forma, l’Italia rimarrà quello che è sempre stata: una nazione divisa, rancorosa, disarticolata, civile a tratti, funzionante a macchia di leopardo, scontenta ovunque; nella sanità, nella scuola, nell’industria, nell’agricoltura e nel turismo. Improvvisate e pelose autocritiche – più spesso eterocritiche, a ben guardare – sul chi, come quando come e perché la sanità pubblica (come la scuola, del resto) sia stata abbandonata in favore del settore privato, rischia di rimanere la classica consapevolezza da salotto romano, che lascia il tempo che trova quando tutti salutano e tornano a casa, a fare le stesse cose. 
Ben più serio sarebbe rimettere mano sul Titolo Quinto della Costituzione, al fine di dare un assetto amministrativo e politico al Paese, che vada oltre le tradizioni del passato che appesantiscono come bagaglio inutile e dannoso il cammino verso un’Italia diversa. Va da sé che andranno essere esclusi da tale intervento (meglio sarebbe anche dalla vita politica) tutti coloro che, in Parlamento con il loro voto e fuori di esso con le rispettive influenze, contribuirono a quella nefasta riforma.

Cesare Stradaioli