Le bugie hanno le gambe corte

Ce l’eravamo chiesto in tanti: ma per quale insondabile motivo la polizia o i servizi segreti de Il Cairo avrebbero avuto interesse a sequestrare, torturare e uccidere un cittadino italiano?

A parte il fatto che nei luoghi ritenuti pericolosi di solito ci vanno di mezzo come bersagli preferiti statunitensi e inglesi, i rapporti politici ed economici fra Italia ed Egitto sono solidi e risalenti nel tempo.
Inoltre, l’Egitto di al Sisi è in prima linea nella lotta contro il Daesh – anche con metodi brutali, va detto fuori dai piatti – dunque si tratta di un capo di Stato che l’ultima cosa che vuole è alienarsi le simpatie e gli appoggi politico-militari delle cancellerie occidentali.
Dunque: perché? Questo giovane corrispondente de ‘Il Manifesto’ dava fastidio? Ficcava il naso in posti dove non doveva andare e aveva visto o sentito cose che non doveva vedere o sentire?
Per favore, i metodi delle polizie di tutto il mondo sono gli stessi e sono vecchi come il cucco: si prende il tizio, gli si da una strapazzata e lo si rimanda a casa con il primo volo. E POI, una volta fuori dal territorio, si sparge la voce a mezzo stampa di regime che si trattava di persona “indesiderata”: contemporaneamente, a livello diplomatico, magari sottotraccia, si intrecciano discorsi di vario livello in modo da chiudere il tutto.
Senza impiantare tutto quel casino che sembra sia stato messo su per poi ucciderlo.
 
La notizia di oggi è che Giulio Regeni lavorava (‘preparava rapporti, analisi e consulenze globali‘) per un qualcosa chiamato “Oxford Analytica”, fondata da un signore che si chiama David Young, già collaboratore di Nixon in una task force che aveva il compito di tappare la bocca alle varie ‘gole profonde’ dello scandalo Watergate: nel consiglio di amministrazione di “Oxford Analytica” siedono sinceri democratici quali John Negroponte – già ambasciatore USA nell’Iraq dopo Saddam, vicesegretario di Stato e direttore della National Intelligence – e Colin MacCall, ex capo dell’MI6, servizio di spionaggio britannico.
Bela gènte, come dicono a Genova – mio nonno romagnolo avrebbe detto bròta zènt, cosa vuol dire una semplice catena montuosa fra due regioni confinanti.
Che Regeni lavorasse per questi signori lo afferma lo stesso Young il quale, a domanda se qualche allocco avesse potuto pensare che Regeni fosse una spia, indovinate cosa ha risposto…
 
Non è neanche da dire che nessuno merita di essere torturato, né ucciso senza regolare processo, meno ancora abbandonato come un cane in una discarica. In questo senso, Regeni merita umana pietà per la tragica e iniqua morte alla quale è andato incontro.
Un po’ meno umana pietà, anzi qualche calcio in culo, meriterebbe “Il Manifesto”, che si è preso come collaboratore una spia di un’agenzia di intelligence privata occidentale. Va bene che anche l’infiltrazione, come i metodi della polizia, è vecchia come il mondo.
Però, come diceva quel vietnamita scambiato per cinese: facciamoci sempre riconoscere, noi di sinistra, per coglioneria e dabbenaggine…
Cesare Stradaioli