IL LIBRO DEL MESE DI FEBBRAIO 2016 Consigliato dagli amici di Filippo

Il titolo del libro è provocatorio e il suo contenuto non è da meno: liberarci dalle elezioni come lo conosciamo, cioè essere in qualche modo costretti a scegliere un nome, una persona nota ovvero proposta da altre persone note e già esperte della politica e affidarsi al sorteggio, da tenersi all’interno di un bacino di cittadini scelti – ovviamente dotati di determinate caratteristiche, quali per esempio l’incensuratezza.
Come amava ripetere Lenin, i fatti hanno la testa dura e i fatti, rappresentati da dati oggettivi, in questo senso sono inequivocabili: in tutta Europa i cittadini votano sempre meno, sempre più facilmente si orientano verso movimenti e teorie di carattere populista, quando non apertamente neofascista e, più in generale e in maniera quasi irreversibile, non credono più nella classe politica del proprio Paese.
Che fare?, tanto per rimanere in citazione: non scegliere più con il meccanismo elettorale i componenti del Parlamento nazionale, bensì affidarsi al sorteggio per determinare coloro i quali avranno la responsabilità di scrivere e approvare le leggi dello Stato.
Può, la società contemporanea, fare a meno delle elezioni? L’Autore non si limita alla provocazione, dilungandosi in più parti del testo a esaminare pregi e difetti della democrazia partecipativa, dibattito che nei principali atenei occidentali è in corso da tempo, che sembra avere come principale oggetto la crescente sfiducia, da parte del cittadino, non solo verso questo o quel politico, ma più in generale verso le istituzioni, siano esse politiche – centrali e diffuse – scolastiche, amministrative e così via.
La crisi di legittimità delle rappresentanze nazionali è un dato incontrovertibile e – cosa risalente ormai in termini di decenni – le elezioni per come le conosciamo, per come sono strutturate, appaiono incapaci di offrire una soluzione a questa crisi. Probabilmente perché gli stessi rappresentanti politici si comportano come se si trovassero (e, di fatto, sembrano proprio esserlo) assediati all’interno di una cittadella autoreferenziale, là dove la difesa delle mura e di quanto e di chi si trovi al loro interno viene intesa da loro stessi come difesa della democrazia, mentre dall’esterno ciò viene percepito, per l’appunto, come autodifesa di privilegi e potere acquisiti, per nulla disposti a essere condivisi.
Sbagliato, sbagliatissimo, secondo l’Autore, liquidare il populismo come ‘antipolitica': intellettualmente disonesto, più che altro, dal momento che quanto meno nella base da cui viene riscosso il consenso contro la ‘casta’, ciò che viene richiesto non pare tanto l’uomo forte, il potere come decisionismo che rompa gli equilibri e apra crepe nelle ingessature all’interno delle quali senza dubbio la nostra civiltà e la nostra società sono imprigionate, quanto piuttosto nella ricerca della rappresentanza più precisa, più individuabile, più efficace.
Che, poi, da questo bisogno di partecipazione vi sia chi ne tragga profitto personale, magari per riciclarsi nuovamente nella politica che intenderebbe combattere, questo è discorso diverso: certamente, la socialdemocrazia europea, con i suoi mantra quali ‘there is no alternative’, non aiuta, non coglie l’aspetto positivo e partecipativo di queste richieste, non fosse altro perché un politico deve sempre pensare che un’alternativa ci sia, altrimenti per definizione non è un politico, bensì un affarista, un lobbysta o qualcosa d’altro, ma sicuramente non un politico.
Non può non lasciare perplessi l’opzione sorteggio quale alternativa a un metodo di rappresentanza politica che, vale la pena di ripeterlo perché è cosa che sappiamo tutti, che ci diciamo continuamente, molto semplicemente non funziona, non rappresenta, non coinvolge, non soddisfa. Anche perché, in ultima analisi, quel determinato gruppo di cittadini, fra i quali secondo la tesi dell’Autore dovranno essere sorteggiati i prossimi rappresentanti politici e amministrativi, per il solo fatto di rispondere a determinati requisiti dovrà pure essere selezionato da qualcuno, per poi formare la base del sorteggio e così siamo da capo: chi opera questa prima scelta? Chi determina i requisiti e chi decide questo sì e questo no?
L’esperienza del Movimento Cinque Stelle, in questo senso, è emblematica. L’apertura, in senso più ampio possibile, la libertà di accesso a un gruppo di nomi fra i quali la rete sceglie, volta per volta, questo o quel candidato, offre sì la possibilità di concorrere all’onesto e all’individuo sinceramente portato a essere un buon rappresentante e un amministratore quanto meno decente, ma la offre anche al furbo, all’opportunista, al mandatario di gruppi di potere e di interesse economico quasi mai onesto e anzi, per quanto concerne il nostro Paese, spesso risalente alla criminalità organizzata, il quale opportunista senza alcuna selezione, senza più scuole di partito, senza essere tenuto a dimostrare quale sia la propria cifra di personale politica, bastando unicamente la dichiarata onestà e la certificata incensuratezza, accede al voto in rete (o al sorteggio, se vi fosse, le caratteristiche sono pressoché le stesse) con le stesse probabilità di essere scelto di chiunque altro.
Con buona pace del rinnovamento politico.

Cesare Stradaioli

David Van Reybrouck – Contro le elezioni – Serie Bianca Feltrinelli – , pagg. 135, €14