LASCIATE STARE ANTIGONE

Fa buon mestiere riferirsi alla legge, una volta ogni tanto: specie in un Paese in cui le teste calde esuberano una media appena accettabile e dove neppure fra coloro che sono demandati a governarlo spiccano quelle fredde.
Esiste una precisa norma di legge che, chiudendo i porti a determinate categorie di imbarcazioni, proibisce, con relativa sanzione penale, chi infranga tale divieto. Lo stato delle cose è questo: chi abbia da porre in discussione il profilo giuridico e morale di una simile statuizione di legge, intraprenda il percorso normativo previsto; qui e ora, a fronte di un’imbarcazione battente bandiera straniera e con un carico umano di persone al momento non autorizzate a entrare nell’area Shengen, discutere a quattr’occhi o in pubblico di questo porta a bastonarsi in testa, altro che a bastonare l’aria, come ammoniva Fortini.
La situazione porta a una prima domanda, con risposta pressoché obbligata: la comandante dell’imbarcazione, entrando nelle acque italiane e tentando di sbarcare, commette e commetterebbe un reato? Ovviamente sì. Se non vogliamo scendere a livelli di certi imprenditori della comunicazione, assurti al potere e responsabili del disastro socioculturale italiano, ai quali va fra l’altro addebitato, tramite anche nutrite truppe cammellate interclassiste, l’avere inculcato in un corpo sociale già individualista e anarcoide di suo, la convinzione (da cui hanno tratto e traggono tutt’ora consenso elettorale e commerciale) per la quale le leggi vanno bene quando fa comodo a me o al mio sodale e/o cognato. In caso contrario, le disattendo. Salvo poi pretendere che le seguano gli altri, sempre secondo comodità.
La comandante dell’imbarcazione si dichiara disposta ad affrontare il rischio (non evitabile: in Italia esiste ancora l’obbligatorietà dell’azione penale e coloro che propugnano una giustizia modello anglo-americano la rimpiangerebbero, quando le procedure dovessero essere avviate solo per calcolo elettorale) di essere indagata ed eventualmente imputata: c’è di che condividere e approvare. Dopo di che, sarebbe seriamente da augurarsi, nei tempi più celeri possibile, il giudizio di fronte a un giudice – che non sarà a Berlino, ma ad Agrigento va bene lo stesso: in Italia ci sono fior fiore di magistrati – avanti il quale, se non sarà egli stesso a sollevare questione di legittimità costituzionale di una legge incivile e indecente, la difesa della donna invocherà, a buonissima ragione, la scriminante dello stato di necessità. Vediamolo, questo arnese giuridico, previsto perfino dal codice Rocco:
Art. 54 codice penale, primo comma; “Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé o altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato, né altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo.”
Ora, è evidente lo stato di necessità: chiunque argomenti a contrario e cioè che esso manchi quando un certo numero di persone, bambini inclusi, si trovino ferme in mezzo al mare, di fatto prigioniere in uno spazio angusto e precario, a rischio malattie – per non parlare dello stato di bisogno insito nel fatto stesso di essere in mare, ciò che obbliga da secoli al salvataggio senza discussioni di sorta, secondo il diritto marittimo, chi si imbatta in persone in tale situazione – dovrebbe avere la compiacenza di spiegare cosa intenda lui, per stato di necessità.
Da ciò, la sussistenza di un pericolo non necessariamente specifico – contagi, patologie connesse a quello stato particolare, perfino gesti di autolesionismo anche estremo – che di sicuro non è stato provocato dalla responsabile della nave; a meno che non si dimostri la sua complicità nel secolare sfruttamento dei Paesi dai quali provengono i profughi, nella politica dittatoriale di questa o quella nazione, ovvero nella gestione dei suddetti lager libici o nel traffico di esseri umani dal cuore dell’Africa al mare e, infine, nell’aver pensato, scritto e praticato una legge idiota, oltre che disumana. Poiché, non pare esservi discussione seria sul punto, questi e non altri sono i fatti che hanno portato 42 persone a soffrire quello che stanno soffrendo adesso e a correre i pericolo che corrono adesso. Con il corollario che il comportamento penalmente rilevante, scriminato dallo stato di necessità, non sia sproporzionato: chiaro che la salvezza di un certo numero di esseri umani non possa passare per l’uccisione di altrettanti di loro; tuttavia, l’entrata nelle acque territoriali e il possibile sbarco paiono penalmente superate dalla scriminante in questione.
E’ chiaro che una sentenza di assoluzione perché il fatto – indiscutibile, nel suo essersi verificato – risulta commesso in presenza di una causa di non punibilità (art. 530, III° codice di procedura penale) avrebbe una eco mediatica di grande portata: accompagnata, però, inevitabilmente da un ennesimo (e altri ne seguirebbero, dopo altre sentenze analoghe) posizionamento di armate scelte della faziosità. Sarebbe solo pastone per i mass media e, lungi dal portare una nota di civiltà, provocherebbe, almeno nel momento storico in cui ci troviamo, ulteriori fratture e scollamenti sociali, a tutto vantaggio di chi fa la faccia cattiva, alzando la voce senza peraltro dire niente di interessante. 
E’ altrettanto chiaro come sia da preferirsi la soluzione prospettata per prima: che arrivi cioè il momento in cui, trovatosi il fascicolo processuale sul tavolo d’udienza, un giudice possa finalmente dubitare della costituzionalità di questa o quell’altra norma o del loro combinato disposto e, interrompendo il processo, mandare gli atti alla Corte delle Leggi affinché faccia giustizia, sanzionandole di contrasto con alcuni principi basilari della Carta Costituzionale.
E lascino stare Antigone, le non poche anime belle del nostro Paese, memori degli studi classici al liceo; una sorella seppellisce il fratello in violazione di legge, rispondendo a un comandamento morale, oltre che all’affetto di sangue. Cose che meritano rispetto, come pure il possibile sacrosanto ribellarsi a una legge ingiusta, ma che alle quali, nel loro carattere squisitamente privato, non possono essere ricondotte situazioni inevitabilmente di interesse pubblico come la nave fantasma dei disperati che staziona nel Mediterraneo, indesiderata da tutti gli Stati europei, trattata alla stregua di un fastidioso questuante e, tuttavia, pesante sulla coscienza di chiunque, non solo delle sorelle.
Pesa sulle coscienze, la nave olandese poiché, contrariamente a comprensibili vicende personali, rappresenta il simbolo di una vicenda come le migrazioni, in passato non risolte da diversi ceti di personale politico di spessore storico e che figuriamoci se possono esserlo da quei quattro ultras da stadio che si trovano al governo oggi, nel nostro Paese.
Stipati, verrebbe da dire, in una Nave dei Folli.

Cesare Stradaioli