IL LIBRO DEL MESE DI LUGLIO – Consigliato dagli Amici di Filippo

Il sistema normativo, ogni singola prescrizione e l’insieme che ne risulta, non può e non deve contenere unicamente prescrizioni di comportamento ma deve avere in sé una specie di alone simbolico che concorre alla cultura e alla formazione di un Paese. Là dove la coesione sociale è forte e/o storicamente consolidata, permane una sorta di armonia fra quanto esista naturalmente nel sostrato comportamentale di un consorzio civile e quanto debba continuamente essere vigilato tramite prescrizione+punizione.
Discorso tutt’affatto diverso va fatto tutte le volte in cui il Paese presenti nel proprio tessuto connettivo larghe smagliature, strappi, deroghe morali e una diffusa per quanto sotterranea area di anarchismo, inteso non già come consapevole (condivisibile o meno, poco importa) ribellione al sopruso, quanto piuttosto come neanche tanto celato farsi le regole a proprio piacimento, in totale dispregio delle regole o vincoli della civile convivenza fra cittadini e non sudditi, detentori di diritti e doveri.
E’ in tali contesti che si verifica una reazione automatica, pavloviana, a fatti di cronaca che pongano in rilievo sofferenze private o pubbliche: la proposta di legge, quasi sempre veicolo di sanzioni sempre più severe, che paiono fatte apposta per rinchiudere il problema (il singolo problema volta per volta) in una specie di sarcofago che, novello capro espiatorio delle società contemporanee, in luogo dell’allontanamento dal villaggio, comporta il chiudere vicenda, sofferenze, ingiustizie e reazione sociale in un involucro sigillato, con lo specifico fine di esorcizzare il male.
Già a fine Ottocento, il giurista Francesco Carrara parlava di ‘nomorrea penale’, a proposito della ipertrofia legalistica che, periodicamente, veniva prodotta sull’onda del verificarsi di crimini dei tipi più vari, ma indicativi di una società in ebollizione, in perenne sisma sociale. Non molti decenni dopo, un giurista del medesimo livello – di quelli che gli atenei di giurisprudenza di tutto il mondo occidentale invidiano al nostro Paese – Franco Cordero usava la definizione di ‘elefantiasi normativa’, con riferimento non solo alla normativa penale ma in genere a quella complessiva.
L’enfasi, il sovrapporsi di norme, la sovrabbondanza di prescrizioni, nascondono, secondo l’Autore, due aspetti sui quali riflettere. Da un lato una specie di rancore sociale manifestato con l’eccesso normativo, diretta emanazione di un pensiero semplificatore che pretende – senza peraltro il riscontro di alcun risultato statistico; a titolo di esempio valido sempre: negli ultimi 40 anni, il ritorno della pena di morte negli USA non ha comportato affatto la diminuzione dei crimini gravi, ma esattamente l’opposto – di risolvere il problema delle violazioni di legge, inasprendo vieppiù le pene, focalizzandosi sempre sugli effetti (il reato) e raramente sulle cause (condizioni socioeconomiche, fra le altre); dall’altro, il sistematico, endemico, quasi inguaribile tratto dell’italianità che più che consapevolezza della necessità del rispetto delle norme per aversi una vera civile convivenza, il semplice pretendere obbedienza. La minaccia della proibizione, insomma, in luogo di una presa di coscienza e consapevolezza.
Avete presente gli annunci che mettono in guardia dal superare la linea gialla o dall’attraversare i binari mentre si aspetta il treno? In una società evoluta, composta da individui ragionevolmente consapevoli, dovrebbero avvertire che il superamento di quella linea o di quei binari è pericoloso; viceversa, nel nostro Paese appare indispensabile dire che è vietato. Il che, oltre a tutto, è una palese inversione nella logica delle cose: che un cittadino si faccia seriamente male, o che perda la vita nell’impatto col treno, è LOGICAMENTE e intrinsecamente, per l’appunto, un pericolo e non già (e prima che) una proibizione.
Tutto questo non è solo trattare i cittadini da bambini o, nella migliore delle ipotesi, da sudditi, ma è diretta conseguenza – qualcuno potrebbe, per contro, vederlo come un presupposto – di una mancata comprensione delle vicende umane: che, pare assodato dalla ormai ultraventennale retorica che atterrisce il cittadino per poi placarlo con norme severissime (almeno fino al prossimo stupro o al prossimo sbarco ‘illegale’ o alla prossima vittima della nuova, criminogena difesa che di legittimo non ha quasi più nulla) e che bolla come buonismo ogni tentativo che vada oltre la sanzione, per cercare di comprendere da dove e come e perché nasca un comportamento che va contro la legge.

Cesare Stradaioli

Gabrio Forti – LA CURA DELLE NORME – Vita e Pensiero editori – pagg. 221, €16.