L’ANALISI: DOV’E’?

Manca l’analisi.
Era una frase tipica degli anni ’70: significava, grosso modo, tutto e anche niente. Nell’intento più onesto, rappresentava una critica all’avventurismo e allo spontaneismo: in quello un po’ più subdolo, era uno schiaffo in faccia, un giudizio definitivo e assertivo che non ammetteva repliche. Se mancava l’analisi, in breve, non c’era futuro e si procedeva oltre.
Oggi, però, l’analisi manca sul serio e la cosa riveste una certa importanza. Lascerei perdere l’indigesta macedonia di interventi a proposito del programma fondativo dell’attuale governo M5S-Lega, nonché la formidabile rappresentazione, a reti unificate e ad alzo zero della potenza di fuoco del pensiero unico; chi scrive non ha ricordi di una stampa così allineata e coperta sulla crisi di governo nata dalle elezioni del 4 marzo, come si sia poi dipanata e infine risolta. Neppure ai tempi più oscuri dei TG Rai in bianco e nero, col predominio informativo saldamente tenuto in pugno dalla parte più retriva e reazionaria della DC c’era un’informazione così miserabilmente prona e in ginocchio, urlante e sottomessa allo stesso tempo. 
L’analisi che manca è quella relativa a un fenomeno che ha portato al governo figure che rappresentano il peggio del dolore e della sofferenza, di una popolazione, la sua ignoranza e la sue grettezza, strappate a viva forza da una politica di sinistra talmente suicida da essere fortemente sospetta di collusione, quanto meno nei nomi dei suoi rappresentanti più eminenti. Da sempre, l’elettorato italiano è stato piuttosto parco di grandi cambiamenti di rotta e la massa dei voti, in un modo o nell’altro, veniva ogni tanto rimescolata e in qualche modo parzialmente redistribuita; perfino all’apice della sua forza elettorale, il PCI non andò oltre il 33 e qualcosa per cento e, per chi non lo ricorda o non lo visse, quella forza godeva dell’energia del sindacato, della mobilitazione di enormi masse di lavoratori e di innumerevoli intellettuali, quali registi, scrittori, attori, opinionisti. Malgrado tutto ciò, quello fu il massimo che l’elettorato italiano produsse, in termini di spostamenti percentuali. Più o meno, anche se con un sistema elettorale diverso, la medesima percentuale ottenuta dal M5S.
Ora, nove anni fa, questa formazione politica non esisteva; più di tre anni or sono, quando Matteo Salvini ne prese la guida politica, la allora Lega Nord stava rischiando di scomparire, navigando (male) a vista intorno al 3-4%. Al momento attuale, vale a dire tre mesi dopo i rispettivi successo elettorali, questi due gruppi politici sono accreditati, stando alle previsioni politiche e sondaggistiche, di una percentuale che se fosse comune andrebbe ben oltre il 50% dei voti.
Qualcono si è fatto qualche domanda intelligente e di sinistra? O magari sono di sinistra? O, stiamo evidentemente parafrasando Nanni Moretti, almeno una qualche domanda? Per esempio, sul come sia stato possibile che una formazione politica senza reti televisive né testate giornalistiche sia riuscita a creare e soprattutto consolidare una tale percentuale di consensi da risultare non solo la prima in Italia come numero di votanti, ma anche in grado di contare su una forza contrattuale inimmaginabile anche solo cinque anni fa mentre, dall’altro lato, un partito politico dichiaratamente razzista e nordista, abbia ottenuto un tale livello di consensi decisamente trasversali, anche se il Nord rimane il suo bacino elettorale principale.
Qualcuno si è chiesto perché un partito come la Lega venga votato da incazzosi e gretti individui che pensano solo al proprio tornaconto personale, razzisti dentro e facilmente accalappiabili dalla propaganda e dal risentimento verso il diverso e lo straniero e anche da degne e rispettabili persone, che fino a qualche anno fa mai si sarebbero sognate di rifiutare aiuto umanitario a gente che scappa dalla guerra e dalla fame, in cerca di un futuro? O che un ex movimento, guidato da un gruppo di baldanzosi imbecillotti venga votato da altrettanti imbecillotti come loro, oltre a un numero variabile di pistoleri della tastiera, buoni solo a spandere odio e balle spaziali in rete e, allo stesso tempo, da gente genuinamente di sinistra che solo in parte li vota augurandosi onestamente che un simile voto di protesta porti a un definitivo repulisti all’interno della sinistra?
Cos’hanno in comune persone che, da iscritti alla CGIL votano Lega e quelle bande di urlanti belluini che straparlano di appartenenza celtica e boiate varie sul dio Po e l’esistenza stessa di una regione che non esisteva prima che qualcuno, trentanni fa, le desse un nome? E cosa accomuna fra loro teste pensanti e lucide, dotate anche di una certa esperienza di vita (o, forse, proprio per quello) ed emeriti idioti che vaneggiano di economia senza saperne un’acca o, nelle versioni più esilaranti, si dicono favorevoli ai vaccini ‘ma non di massa’?
Paura del futuro? Mancanza di lavoro? Mancanza di prospettive future per sé e per i figli? Totale sfiducia nelle istituzioni e nella politica, con avanzamento talmente pericoloso in questa direzione da far temere di essere arrivati a un punto di non ritorno? Povertà, economica e culturale? Regressione utilitaristica? Ribellismo senza costrutto?
Non sono costoro, a mancare di analisi politica: non è a loro che spetta. E’ la sinistra a essere gravemente carente sotto questo punto di vista, avendo abbandonato da tempo ogni contatto con quello che una volta si chiamava popolo, cittadinanza e che adesso è diventato (e non per colpa sua) una massa allo stesso tempo informe e omogenea di rabbia spurgata in ogni momento della giornata di vita. Come è stato possibile un simile travaso di voti – e l’immediato futuro non dice niente di buono e di meglio -? Osservate, per cortesia, senza faziosità e senza pregiudizi di sorta, cos’è stata negli ultimi 20 anni la politica concreta (non gli splendidi voli pindarici in pubblico o le corpose riflessioni in privato), attuata da quelli che si definivano, con un’autoreferenza che è finita nel marcio del doppiogiochismo, ‘di sinistra’. Il cosiddetto ‘Job’s Act’ nasce dalle ceneri idologiche dei contratti di formazione e lavoro, altro e più elegante nome da dare al caporalato, introdotti dal centrosinistra al governo nel fine secolo XX; la legge razzista chiamata ‘Bossi-Fini’ è nata dall’ispirazione (e dalla struttura giuridica) della ‘Turco-Napolitano’, che purtroppo non richiamava Totò. Questo per dirne due e basta.
Checché ne pensi il mite e prode Mattarella, per il quali sono state spese lodi perfino imbarazzanti nella loro paraculaggine e nel loro vuoto culturale (si sono autodefiniti difensori della Costituzione gli stessi infami che nel 2016 volevano stravolgerla e riscriverla a favore del duo canoro Renzi-Berlusconi, l’essere dotati di faccia di merda non è più cosa di cui vergognarsi…), l’Italia non è coesa: non è mai stata tanto divisa. Divisa in due: un’Italia di brave persone che o non votano o votano il residuale e che subiscono rassegnatamente questa ondata; e un’Italia ‘mista’, composta da altre brave di persone e da puttane di ogni sesso, magnificamente e mai così esattamente definite: LORO. E questa seconda Italia esprime nelle urne e non nel mugugno la propria insoddisfazione e la ricerca di un riferimento politico.
Una ventina d’anni or sono, poco meno, Filippo Ottone preconizzava fra il serio e il faceto (e quando li mischiava, era serissimo) l’andata al governo del Bar Sport. Purtroppo, come spesso gli capitava, ci aveva preso anche quella volta. Sono arrivati al governo e non hanno fatto un colpo di stato. E tutto per una tragica per quanto colpevole mancanza di analisi.
Cesare Stradaioli