LA SECONDA A SINISTRA

E’ nota la storiella di quel signore che, in prossimità di un incrocio, accosta l’auto vedendo un tizio sul marciapiede, abbassa il finestrino e gli chiede: Scusi, è questa la seconda a sinistra?
Anche sotto il profilo storico e sociologico che stiamo vivendo, ha suscitato vivaci reazioni quanto è trapelato dall’incidente probatorio (che dovrebbe essere coperto da segreto di indagine, dato che sempre in corso di indagine siamo) relativo al procedimento a carico di due carabinieri accusati di violenza sessuale nei confronti di due cittadine statunitensi. Particolare sdegno, e pressoché unanime, è seguito alla notizia che il difensore degli imputati (sarebbero ancora indagati) avrebbe proposto a una delle querelanti oltre cento domande – centodue, dicono i bene informati – delle quali il giudice ne avrebbe ammessa la metà. La risposta a caldo del difensore è stata lapidaria: il mio assistito rischia dieci anni di galera, cento domande non mi sembrano troppe.
Fin qui, tutto bene. Avrei preferito che il difensore si fosse comportato come mi comporterei io e cioè alla stampa solo nome e numero di matricola, ma tant’è, ognuno si regola con la propria coscienza e con il proprio codice deontologico. Tuttavia, poiché da più voci si sono levate serie accuse nei confronti degli avvocati dei due militi, vorrei brevemente dire quanto segue.
Vorrei, anzitutto, chiedere a chiunque manifestasse anche solo perplessità sull’operato dei difensori dei due carabinieri – e, in genere, di ogni persona accusata di reati di una certa gravità e odiosità – se il patrimonio conoscitivo di chiunque esprima quelle perplessità (perché, piccolo o grande che sia, è pur sempre un patrimonio conoscitivo che ci consente di avere un’opinione) derivi da altre fonti che non siano i mass media. I quali, come è noto agli stessi giornalisti, non di rado sono imprecisi e qualche volta anche mendaci o in errore. Mi si creda sulla parola e sulla mia modesta conoscenza della procedura penale, nonché di cittadino che legge giornali da quando aveva cinque anni: se negli articoli che trattano di malasanità o di vaccini o di tutela dell’ambiente o di quello che volete, comparisse solo la metà delle fanfaluche che si leggono e si ascoltano in punto di processi penali, sarebbe già disinformazione grave. Ad ogni modo, la domanda di cui sopra, quasi sempre, è retorica: tutti noi che sentiamo parlare di processi come quello di Firenze, sappiamo solo quello che leggiamo e che ascoltiamo dai media; a parte qualcuno che possa avere confidenze di prima mano da avvocati, magistrati, personale di cancelleria, parti private eccetera.
L’interrogatorio di un processo complicatissimo può essere breve; e quello di un processo apparentemente semplice può svilupparsi in una o più udienze. Come si fa a giudicare l’attività di un professionista, senza conoscere i presupposti fattuali e logici di una indagine? Ora, io NON conosco gli atti di quel processo. Nessuno di coloro che ne parla lo conosce, neppure i giornalisti più accreditati – e uso un eufemismo – nei palazzi di giustizia: e quando dico ‘conoscere’, intendo avere un sapere di uno spessore tale da poter comprendere anche le domande e le strategie processuali più bizzarre. Comprendere, attenzione: non giustificare o consentire, cosa che fa parte del ruolo del giudice. Pertanto, poiché pressoché l’intera popolazione italiana, neonati compresi, NON conosce gli atti di quel processo, fermo restando il diritto di chiunque di esprimersi (basta che qualcuno non se ne approfitti: e capita di continuo), pensare di avere il diritto e la legittimazione di esprimere un’opinione su cosa fanno e come si comportano gli avvocati di questo o quell’imputato, basandosi UNICAMENTE su pezzi di frasi estrapolate dal contesto di un interrogatorio, che si colloca nell’ambito di un’udienza, compresa in un procedimento con svariate parti e voci, verosimilmente costituito da centinaia se non migliaia di pagine, all’interno delle quali possono trovarsi circostanze le più svariate, utili, inutili, conferenti, inconferenti – ora come ora: magari a fine indagine diventano utilissime o per niente – il tutto regolato da una procedura che presenta mille sfaccettature non sempre tutte comprensibili a chi non è del mestiere anche se può leggere gli atti, assomiglia tanto alla situazione del tizio sul marciapiede della storiella di cui sopra, che si sente chiedere quel tipo di informazione e ritenga di poter dare una risposta ragionevole, basata su una conoscenza che lo sia altrettanto.

Cesare Stradaioli