LA NAVE DEI FOLLI VA…

Proviamo a ricapitolare.
In tutta Europa e in alcune regioni in modo più preoccupante che altrove, spira un vento che potrebbe essere definito di destra, se della destra avesse un minimo di dignità: non ce l’ha; poiché, però, governare è roba da sporcarsi le mani e la coscienza, al momento attuale e alla bisogna bastano e avanzano opache figure senza spessore e senza retroterra culturale. E’ un vento portatore di ignoranza, intolleranza, reflui delle peggiori schiume umane: un vento fascista, insomma.
Il nostro Paese non ne è esente – non può: per natura e a causa di invincibili sedimenti di un passato di arretratezza umana e culturale. I risultati di questa o quella consultazione elettorale possono avere importanza, fino a un certo punto: da molti anni al tavolo delle elezioni siede il convitato di pietra che si ammanta della spaventosa (o salvifica: dipende dai punti di vista e da come la si analizza) percentuale di cittadini che non votano, sicché le analisi del voto restano sempre necessariamente precarie e incomplete. Costoro non votano per svariate ragioni, anche se la principale rimane la disillusione: e siccome il vento di cui sopra gonfia le vele della peggiore reazione, è evidente che le formazioni politiche che da quella parte si ispirano – neo fascisti, pseudo fascisti, vorrei ma non posso fascisti, potrei ma non voglio fascisti e, ultimi ma non ultimi, anzi la grande maggioranza, quelli che, rifacendoci all’appellativo siciliano con cui vengono definiti, con malcelato disprezzo, coloro che non sono mafiosi ma neppure contro la mafia, potremmo chiamare ‘terzi’, cioè né fascisti né antifascisti – hanno fatto da tempo il pieno: l’astensione punisce la sinistra. Meritatamente, aggiungo.
Che altro?
Esiste poi lo stralunato dibattito intorno al treno ad alta velocità e l’assordante fragore di piume provocato da discussioni che del confronto civile, tecnico e politico non hanno pressoché nulla, per lo più a causa dei sostenitori di un’opera che ingolosisce la criminalità organizzata prima di chiunque altro.
Le città, le periferie, allo stesso modo dei rapporti personali, diretti o mediati dai mezzi di comunicazione, rappresentano situazioni letteralmente imbevute di violenza: nei discorsi, nelle narrazioni e, infine, nella pratica. Ne fanno le spese, fra gli altri e come esempio più tristemente emblematico, i rappresentanti di quella che dovrebbe essere – e spesso è – una delle parti migliori della società, vale a dire gli insegnanti, lasciati soli da governi irresponsabili (tutti, quelli degli ultimi decenni) e da ministri pro tempore che si sono dimostrati indegni sotto il profilo umano e culturale.
La totale delegittimazione del corpo insegnante e del suo stesso significato rappresenta una delle cause che hanno portato larghe fasce di popolazione (e non tutte prive di titoli di studio) a un livello di ignoranza, di analfabetismo di ritorno e di vera e propria incapacità di analizzare un testo di difficoltà medio-bassa, oltre che di immaginare e mettere in forma scritta concetti dotati di senso e di struttura acettabili, che trent’anni or sono sarebbe sembrato fantascienza.
Manca il lavoro: dove c’è, non di rado manca la dignità che dovrebbe accompagnarlo e buon lavoro a chi provi a menzionare, in proposito, il dettato costituzionale. Del resto, è da chiedersi seriamente su quale lavoro si fondi la Repubblica, se del lavoro cresce la temporaneità, al pari con la disuccupazione. L’Italia deve, ormai da diversi anni, fare i conti con qualcosa che non è solo l’austerità; non solo la riduzione dei consumi – che, in sé, non sarebbe neppure una connotazione negativa; non solo un più ragionevole – e più contenuto – livello di vita. Bensì con una generalizzata situazione sociale che se qualcuno non è d’accordo a chiamarla povertà, allora è necessario sedersi attorno a un tavolo e giungere a un punto comune per definire cosa sia la povertà, se non sono ‘poveri’ 9 milioni di persone su 60 che non hanno di che nutrirsi a sufficienza e non possono permettersi cure mediche appena di base.
Il nostro Paese vive, pressoché DA SOLO la situazione derivante da un vero e proprio movimento epocale che deve essere chiamato col proprio nome e cioè migrazione, dato che l’emigrazione è, in genere, cosa alquanto diversa, ridotta e riduttiva; il tutto, benché non ci venga fatto mancare per un solo giorno il mantra secondo il quale siamo europei, con tutta la limatura ideologica che vi è sottesa. Nel frattempo, è lo Stato italiano a sopportare i costi finanziari e umani di questa migrazione: una volta accolti, rifocillati, dato loro quel minimo sindacale di livello umano che ci si aspetta da un paese civile, i laureati, coloro che hanno studiato (che hanno competenze, secondo uno dei tanti termini orrendamente correnti), verranno calorosamente accolti dalla Germania e dal relativo Commonwealth di centro e nord Europa; gli altri abbiate la compiacenza di tenerli voi italiani, la nostra parte è già stata fatta… Fossimo sulla Settimana Enigmistica, sarebbe da mettere due vignette; in una, un mercato ortofrutticolo, nell’altra quello dei migranti e scrivere: TROVA LE DIFFERENZE – se ne sei capace …
L’ambiente crolla; oppure è avvelenato; oppure non è in sicurezza; oppure tutte e tre le cose insieme.
E per carità di patria, lasciamo stare la politica estera: sia quella che (non) pratica l’Italia, sia quell’ammasso di nefandezze che si vedono un po’ ovunque.

Madamine, il catalogo è questo ed è largamente incompleto. Eppure.
Eppure, di cosa si occupano stampa e rappresentanti politici, inclusi – il che è ancora peggio – quelli della cosiddetta sinistra? Ma delle ripetute sconfitte elettorali del Movimento Cinque Stelle, naturalmente. QUELLA pare essere la notizia, la questione più importante, fra tutte, su cui occupare il tempo proprio e quello altrui, mentre la nave dei folli procede  motori spenti.
In realtà, c’è poco da scherzare. Un partito serio, davvero riformato – come pretende di essere il PD – può anche gioire delle sconfitte altrui: non è molto elegante, come cantava Gino Paoli (e qualche volta bestemmiano anche, costoro, specie quando parlano di economia e società), però in qualche modo rientra nella dinamica della politica. Il che andrebbe anche bene se, oltre all’esistenza di uno straccio di proposta politica di sinistra (degna di entrambe le definizioni), dal crollo – o presunto tale – del M5S derivasse un beneficio elettorale che desse un po’ di colore all’esangue percentuale che questa strana bestia politica che ancora si ispira alla sinistra, bene o male vanta. Il che non pare essere avvenuto.
No. Gongolano, lieti che il Movimento creato da Beppe Grillo perda pezzi, consenso elettorale e – fra pochi mesi, con verosimili nuove elezioni politiche – anche la maggioranza che detiene in Parlamento. Che questo avvenga a tutto vantaggio della Lega e non della sinistra (che, pure, ha generosamente dispensato voti di protesta – parte dei disillusi di cui sopra – al M5S, ritenendosi, perciò, creditrice di una specie di partita di giro di rientro), pare non preoccuparli più che poco. Probabile che siano ancora convinti che con Salvini e i suoi si possa venire a patti, sia a livello locale sia a livello nazionale: non si rendono ancora conto – e quando ci sarà il risveglio da questo dolce torpore oppiaceo, la sberla del 3 marzo 2018, a paragone, sarà valutabile come una leggera scrollatina che si dà al compagno di viaggio in treno che russa accanto – che costoro non hanno in mente alcuna trattativa.
Non dovremmo averla neanche noi: con i fascisti del terzo Millenno non si tratta. Non era cosa neppure con i fascisti del ’22 che, pure, una qualche testa dotata di grande spessore culturale l’avevano, figuriamoci se si possa (e si debba!) farlo con quelli che ci troviamo a fianco nello scompartimento, cento anni dopo.

Cesare Stradaioli