LA BESTIA DA AFFAMARE

Uno degli slogan che più caratterizzarono la parabola politica di Ronald Reagan, fu quello che esortava ad ‘affamare la bestia’: là dove, l’animale feroce – non semplice animale, ma proprio bestia nella sua accezione più vorace e spietata – era lo Stato e affamarlo significava ridurre le tasse, ridurre le spese sociali al fine di mantenerlo in vita quel poco e sufficiente che bastasse per farne un simulacro di arbitro, ché la figura dello Stato come arbitro della società e delle relazioni economiche, così cara al pensiero liberista (e anche liberale: non provino neanche, questi ultimi, a girarsi dall’altra parte, facendo finta di nulla), già di per sé poco più che simbolica, era ritenuta dagli ispiratori del nuovo corso degli anni’ 80, fin troppo invasiva.
Non più cane da guardia: da compagnia, tutt’al più.
Si trattava della rappresentazione in termini brutali e necessariamente riduttivi di un pensiero economico, comunemente attribuito a Milton Friedman e ai cosiddetti Chicago Boys, che ancora oggi condiziona la vita e il futuro (oltre ad averne avvelenato il passato) di miliardi di esseri umani. La sloganistica, alimentata da studi tanto sofisticati quanto del tutto privi di ogni traccia di empatia, era necessaria al consenso elettorale e va detto che il successo fu forse al di là delle aspettative, se è vero come è vero che della messa all’angolo dello Stato si siano invaghiti, per poi a loro volta metterla in pratica, non pochi e non poco illustri nomi di una certa sinistra, principalmente europea e – non ci facciamo mancare mai niente – ovviamente italiana.
Abbiamo il concetto di ‘nemesi’, intrinseco nel nostro essere culturalmente europei, giudaico-cristiani ma, prima di ciò, greci: dovremmo essere in grado di riconoscerla, quando si appalesa e non vederla oggi sarebbe indice non solo di cecità, fisica e morale, ma di vera e propria stupidità, neanche troppo (anzi, per nulla) funzionale. Di più: provare a esserla noi stessi, verso un pensiero che una vera bestia l’ha creata sul serio.
C’è, in realtà, una bestia da affamare, esiste: vive in mezzo a noi. Vive di noi, delle nostre vite, del nostro futuro e perfino dei nostri sogni e va privata del necessario per vivere e riprodursi. E’ il capitalismo che imprime il proprio marchio assoluto sull’esistenza di ciascuno di noi. E’ dotato di svariate teste e a ognuna di queste dovrà essere negato il cibo di cui si nutrono.
Il consumismo sfrenato e idiota; la pubblicità che riempie perfino i momenti del sonno REM, che condiziona modi di vivere e di orientarsi nella società: droga potente e orribile, talmente compulsiva che la si può vedere, in questi giorni, luminosa e splendente per le strade vuote di New York, a mandare i suoi messaggi a nessuno eppure li deve mandare; il bisogno fasullo e indotto di cose inutili e financo di quelle utili che, però, abbiamo già in quantità e – molte di queste – in sovrabbondanza già da tempo; la finanza predatoria, che ha esautorato il vero potere reale di singoli Stati, orientandone le decisioni senza avere alcun serio interlocutore e oppositore, che specula sul prezzo dei cereali e sulle disgrazie; la frantumazione sociale, che ha portato l’IO a sostituire il NOI in qualsiasi manifestazione di vita e riduce al niente la consapevolezza dell’individuo; il potere delle lobby delle armi, che artatamente viene descritto come esclusivo di quella terra di eterni adolescenti armati e pericolosi e invece fiorisce con enormi profitti proprio qui in Europa, a due passi dalla casa di ciascuno.
Non saprei dire se una decrescita possa essere felice, come qualcuno va ripetendo, attirandosi le ironie di altri – peraltro non sempre immeritate: le basi culturali e più strettamente scientifiche di un tale assunto paiono poverissime e però c’è gente che non ha alcun diritto di sollevare critiche in proposito. Ma questa crescita, quella che viviamo da quando è nato chiunque abbia il caso di leggere queste righe, sicuramente non lo è più – per molti non lo è mai stata – e spetta a noi fare in modo che venga più coniugata a misura dell’essere umano e non di un algoritmo che decide chi ne possa beneficiare e chi deve rassegnarsi a rimanere sott’acqua.
Questa è la bestia che deve essere ridotta alla fame. Lotterà con le unghie e con i denti per riprendersi ogni grammo di cibo che le verrà negato, combatterà con ogni mezzo, incluso e per primo il blandire le nostre volontà sostenuta da mass media inverecondi e da tempo comprati e venduti; è infida perché si è inserita nell’animo di ognuno di noi, abituati come siamo a vivere di rendita alle spalle delle sofferenze e delle risorse di altri esseri umani. Ma, soprattutto – e qui sta la sua vera debolezza – è profondamente umana, perché è fatta da esseri umani e come ogni essere umano e vivente, come può essere costruita, può essere ridimensionata, ferita. E se può essere ferita, come diceva quello, può anche essere uccisa.
L’occasione è qui, ora. Quanti di noi – tanti non ci sono più – hanno voluto, desiderato, agognato per tutta la vita, un’occasione, rimpiangendo e recriminando che non ce ne fosse mai stata offerta una? Ce l’abbiamo davanti e spetta solo a noi decidere se e cosa farne. E’ l’occasione per un cambiamento: lo dobbiamo a noi stessi e a tutti coloro che non sanno neanche di poterlo desiderare e beneficiarne.
Il presente è il prologo: poche volte nella storia dell’umanità, lo è stato come lo è adesso.

Cesare Stradaioli