IL NOME DELLE COSE

Dare un nome alle cose: fare buon governo delle parole, delle proprie idee e dei giudizi, è pratica di igiene del pensiero. Chiunque esiti manifesta codardia, pochezza, terzietà. 
Può definirsi fascista? Senza dubbio: ne presenta tutti i tratti più significativi. 
Protervo, ignorante, scarsamente aduso al lavoro seriamente produttivo, invoca allo stesso modo nonne e madonne, si paluda di simboli sacri nello medesimo contesto in cui pone in atto – e ne esorta l’emulazione – l’attività umana più lontana dal cristianesimo, la mancanza di pietas: questa, più che la pratica dell’odio in sé, comunque dispensato a piene mani e ganasce, caratterizza la messa in atto del suo pensiero, se tale può essere definito. 
Grida, interrompe, irride, offende chi lo critica, dispensa qualifiche di disfattismo e di identità con le stesse parole, ricorre al giudizio del popolo, non sopporta le regole e i principi di civile convivenza, disprezza i contrappesi nel potere, la magistratura e il sereno confronto, non avendone strumenti adatti per farlo; chiede a più riprese i pieni poteri, senza curarsi del calpestìo dei principi costituzionali, nutre sé stesso e il suo bacino di consenso di indiscriminato qualunquismo verso la politica, ‘sporca’ per definizione, in quanto sporco lui per primo, si presta all’identificazione quale leader e la sua incontinenza toglie spazio e parola ai suoi corifei. 
Si accanisce contro gli stranieri, sfrutta l’indecente termine di ‘clandestino’ – mutuato, peraltro, da leggi che l’hanno preceduto – indicandoli come la principale causa del malessere dei suoi elettori: vecchio canovaccio, come quello che vede il male assoluto nell’Europa e in non meglio precisati (neanche precisabili tout court) centri di potere tesi a danneggiare l’Italia, si serve senza scrupoli di sorta, come braccio armato pur tenendone formalmente le distanza, della peggiore feccia che del fascismo neppure conosce i fondamenti filosofici e politici, riempie pareti, pagine, schermi di valutazioni, borborigmi, deliri spesso destituiti del minimo fondamento di decenza, percorre quasi inevitabilmente la politica dell’uomo solo al comando. Sa lo stomaco che ha l’elettorato a cui si rivolge, come la gallina breriana sa il culo che ha, mangiando i sassi. 
Aveva provato, come altri dittatori prima di lui, a giocare la carta propagandistica del proprio corpo, esibito come melange di virilità e semplicità: non avendone il fisico, gli è andata male e invece di rendersi più umano, anche scherzando sui propri difetti fisici, si vede con la circonferenza ventre del miglior Fantozzi d’annata e allora rovescia il tavolo mediatico provando a sorridere, ma non gli viene bene neppure questo (questione di attitudine: la simpatia, come il coraggio manzoniano, se uno non ce l’ha non se la può dare) e nel fare questo peggiora, per quanto si potesse pensare impossibile, la spaventosa ghigna che si ritrova – e qui si potrebbe discutere se non gli sia addebitabile o, per contro, se sia più giusto aderire al pensiero di Borges, secondo il quale dopo una certa età (e lui l’ha raggiunta) ognuno è responsabile della faccia che porta in giro – col labbro inferiore teso allo spasimo dell’acrimonia e quello superiore a scoprire i denti nella più classica forma di aggressività ferina. 
E’ portatore di un’ideologia di odio, di cattiveria personale di base e di una pratica politica tesa alla diseguaglianza, alla discriminazione e alla segregazione e secondo i più tipici stilemi del ruolo, si fa amici e alleati personaggi politici, nazionali e internazionali,  ripugnanti e corrotti. La sua presenza nella politica è uno scaracchio in faccia alla dignità italiana e quella nel Parlamento in qualità di senatore è un insulto alla memoria di tutti coloro che edificarono questa Repubblica, dando la vita per combattere quelli che dicevano e mettevano in pratica le stesse cose che dice e mette in pratica lui. 
Matteo Salvini è un fascista, in tutto e per tutto: non ci manca nnente, direbbe qualche mio amico catanese e in quanto fascista, è materia di competenza della nettezza urbana.

 

Cesare Stradaioli