Il grande affabulatore

E’ stato migliore di molti, quasi tutti gli altri. Non un gran che, come complimento, considerato il livello.

Oppure: luci e ombre; si è circondato di persone di livello morale superiore, come Adele Faccio, Mauro Mellini, Franco De Cataldo, ma anche di personaggi a dir poco discutibili, opportunisti ed equivoci, quando non vere e proprie canaglie – cercate voi qualche nome, ce ne sono dappertutto, nel panorama politico nostrano.

Marco Pannella era un italiano medio. Forse medio-alto: chiacchierone, affabulatore, confusionario, dispersivo, disorganico; allo stesso tempo era generoso, disinteressato, colto e soprattutto internazionalista. Di questa ultima qualità gli va dato atto senza riserve.

Ora che la voce di Marco Pannella si è spenta, nel mezzo del frastuono provocato dalle lodi e dagli attestati di stima, mendaci per la più parte, si distingue la solita vulgata intorno alla cultura liberale classica di impronta britannica, ovviamente superiore al pensiero politico italiano, che andrebbe magnificamente combinata con l’imperativo non violento che ha sempre caratterizzato la sessantennale parabola politica del leader radicale: anzi, secondo alcuni geni da retrobottega, sarebbe, come si dice, ‘la morte sua’, uno splendido mix di non violenza ghandiana e di understatement inglese. Che immagine meravigliosa; a costoro andrebbe fatto presente come il pensiero liberale inglese abbia solide e ben radicate fondamenta nell’esercizio sistematico, secolare e disciplinatissimo dell’arte della guerra e della conquista armi alla mano, come possono testimoniare decine di regioni sparse in tutto il mondo, in vari momenti assoggettate al tallone dell’Impero Britannico. Altro che non violenza.

Ma, a parte tutto, a parte certi scivoloni come l’adesione acefala e incondizionata a qualsiasi porcata commessa da Israele a danno dei palestinesi – la cattiva coscienza del cinismo romano è durissima a morire – oggi appare di un’evidenza perfino abbagliante la somiglianza (da valutare tenuto conto del cambiamento – in peggio – dei tempi, dei costumi e degli usi di questo disgraziato Paese) fra il movimento che faceva riferimento a Pannella e al Partito Radicale degli anni ’70 e ’80 e quel coacervo (neanche il PR era ‘sta cosa gran solida e omogenea) di idee e istanze che costituisce il nerbo del M5S. Ora, i soliti pensatori da tre palle a un soldo hanno immediatamente messo le mani avanti, sostenendo (a ragione) le profonde diversità fra Pannella e Grillo. Sempre il solito errore. Sempre il solito vezzo. Sempre vittime della sciagurata personalizzazione della politica, che ha avuto origine con quello stramaledetto referendum promosso da Segni del 1993, che ha portato alla stortura, prima intellettuale che politica, di guardare al leader piuttosto che al bacino elettorale che lo sostiene.

Cioè a dire: che ce ne frega di Beppe Grillo? Beppe Grillo è UNO. Che ce ne frega dei principali esponenti politici del M5S? Essi sono, a dirla tanta, una decina. Quello che conta, che ci DEVE importare, è il come e il perché esiste il M5S: chi e perché ci sta dietro, chi e perché lo vota, come sia stato possibile che nel giro di pochi anni, dal niente, sia sorta una formazione politica e istituzionale che doveva sgonfiarsi nel giro di mezza giornata e che invece conta e continua a contare ragionevolmente su un 25-28% delle preferenze. Che, unico fra tutti i partiti, ancora riesce a operare una qualche forma di mobilitazione delle coscienze. Come faceva il Partito Radicale nel suo massimo fulgore.

Perché non bastano i soldi, per fondare e soprattutto mantenere e fare crescere un partito; Casaleggio di disponibilità finanziarie ne aveva e ancora ne dispongono coloro che proseguiranno nel suo giudizio. Ma ricordiamo che, oltre alle sconfinate risorse finanziarie, Berlusconi cominciò la campagna elettorale nel 1980 con l’andata in onda della prima puntata di “Dallas” – ormai se ne sono resi conto anche i bambini – e da lì in poi si è messa in marcia la sua tremenda macchina da guerra, fatta anche di pubblicità, sport e presentatori pagliacci.

Le similitudini fra l’afflato radicale e quello che muove il M5S sono numerose e attraversano l’intero Paese e non sarà un caso che il declino, ormai quasi irreversibile, del concetto stesso di Partito Radicale, sia pure transnazionale, sia pure divenuto ‘liquido’ anch’esso, sia coinciso con la nascita, improvvisa e furibonda, del partito di Grillo e Casaleggio.

La più curiosa – verrebbe da dire sinistra, perfino avvilente – di queste similitudini è rappresentata dal fatto che oggi i rappresentanti grillini, unitamente ai loro elettori, sono quotidianamente sbeffeggiati e presi (metaforicamente) a sberle dagli esponenti di un partito che pretende di essere l’erede di quell’altro partito, il PCI, che Pannella e i radicali li sbeffeggiava e neanche tanto metaforicamente li prendeva a schiaffi. Stessa intolleranza. Stesso modo squadristico di trattare il dissenso, il parere contrario, il disturbatore del manovratore. Stesso uso dannunziano di dileggiare l’antagonista, specie se presenta radici comuni, perché siamo pur sempre nel Paese che ‘dagli amici mi guardi iddio…’. Stessa cecità, stessa incapacità di capire il disagio, il non essere sempre per forza d’accordo, stessa insofferenza verso chi scuote, magari anche in malo modo e non sempre con le parole e i gesti più confacenti.

Oggi un determinato ceto politico – dirigente, più che politico – è intento ad architettare il Partito della Nazione e spara ad alzo zero contro chi vi si oppone, M5S fra i primi: allo steso modo in cui venivano trattati tutti coloro (Marco Pannella e il Partito Radicale inclusi) che si opponevano con forza al compromesso storico DC-PCI e come possa sfuggire una simile, nefasta similitudine, è mistero che dovrebbe essere spiegato con la cecità ovvero con la complicità. Vedete un po’ voi.

Mi preme sottolineare uno dei grandi temi – questo sì, civilissimo e tremendamente urgente ancora adesso, centomila volte più urgente delle fecondazioni assistite e delle coppie di fatto – assiduamente coltivato da Marco Pannella: la condizione delle carceri italiane e di chi le abita, agenti e personale civile inclusi. Se il dibattito sul Diritto Penitenziario e su tutti i temi attinenti all’universo detentivo ha fatto dei passi in avanti, lo si deve quasi esclusivamente a Marco Pannella e al Partito Radicale – ché la sinistra, in un passato neppure tanto lontano, ha spesso e volentieri trattato l’argomento alla stregua della nettezza urbana.

E su questo mi permetto un piccolo ma significativo ricordo personale: poteva essere verso la fine del 1991.

Mi trovavo, insieme a tanti altri, a presidiare l’esterno dell’aula bunker della Casa Circondariale di Padova, all’interno della quale si teneva uno dei tanti processi correlati al 7 aprile: avevo, personalmente, il dubbio privilegio di poter accedere all’area riservata agli avvocati. Poco prima di entrare, vediamo avvicinarsi l’imponente figura di Marco Pannella, il quale con la solita voce tonante dice: “Sono venuto a vedere questo cesso“, buttando l’occhio sulla attigua, nuovissima Casa di Reclusione. “Beh,” gli risponde con un mezzo sorriso Sandro Scarso, all’epoca una delle figure più rappresentative dell’area culturale dell’Autonomia, “… visto che ci consideri degli stronzi…” “Anche gli stronzi hanno diritto a scontare una pena in maniera umana, in un luogo umano,” ribatte Pannella, dandogli una pacca sulla spalla.

Viviamo in un Paese cinico e profondamente servile. Per quante contraddizioni ne abbiano attraversato la vita politica, per quanto si possa essere stati di opinioni diverse, talvolta profondamente divergenti, con un occhio a quello che è stato e, facendosi forza, anche con uno rivolto al futuro, penso che sia consentito ricordare Marco Pannella, questa volta sì, anche con affetto.

Cesare Stradaioli