Chi ha avuto ha avuto, chi ha dato ha dato, scurdammoce ‘o passato…

La vicenda del marciatore Alex Schwazer, già medaglia d’oro, poi inquisito e condannato per doping dalla giustizia sportiva è fortemente emblematica della mentalità schizofrenica del popolo italiano.

Scontata la squalifica, il marciatore ha chiesto e – sembra – ottenuto di rientrare nella rosa dei possibili partecipanti alle Olimpiadi in Brasile. La presa di posizione di alcuni atleti, fortemente contrari alla sua riammissione come rappresentante italiano in una così importante competizione sportiva ha suscitato vivacissime risposte.

La personale opinione di chi scrive è che il signor Schwazer ha espiato la squalifica sportiva ed è un libero cittadino, per di più incensurato. Ha sbagliato, ha ammesso (in maniera a volte un po’ pelosa e omertosa, va detto) le proprie responsabilità e la vicenda è chiusa.

La SUA, vicenda, come cittadino Alex Schwazer, è chiusa: quella di possibile rappresentante della nazionale olimpica, dovrebbe esserlo ugualmente. I sostenitori del suo ritorno affermano come sia profondamente ingiusto continuare a fargli pagare quanto ha già pagato, che ognuno ha diritto a rifarsi una vita e – solita, immancabile ciliegina sulla torta – non è il caso di fare i moralisti.

A prescindere dal fatto, sempre eminentemente personale, che essere moralisti dovrebbe costituire un obbligo, sostenere che Schwazer abbia il diritto di non essere trattato come un appestato, ma NON abbia il diritto di essere quello che era, e cioè rappresentante italiano alle Olimpiadi, non lede minimamente la sua dignità di cittadino e il suo diritto di rifarsi una vita senza continuamente sentirsi rifnacciare quello che è stato e cioè disonesto e truffatore, oltre che drogato.

Alex Schwazer ha diritto di essere lasciato in pace. Ha il diritto di non vedersi rimproverato in eterno l’errore che ha commesso. Ha il diritto di essere trattato come un cittadino qualsiasi, dato che anche un condannato (e lui non lo è stato, sotto il profilo penale – avrebbe dovuto esserlo, secondo me, in quanto truffatore, ma la cosa è finita e basta) che ha espiato la sua condanna e ha regolato i propri conti con la giustizia ha il diritto di essere dimenticato e di non essere discriminato. Il tutto, nel l’ambito dei diritti di un cittadino.

Ma Alex Schwzaer NON ha il diritto, costituzionalmente tutelato, di essere olimpionico, come non ce l’ha chi scrive, come non ce l’ha NESSUNO. Riprenda a marciare dove e come più gli pare, gli piace e gli fa comodo, PRIVATAMENTE, in competizioni dove rappresenti solo sé stesso e, eventualmente, lo sponsor che gli paga la divisa e la prestazione singola o l’intera stagione. Ma NON ha il diritto di pretendere di essere rappresentante degli italiani nella massima e più famosa e più antica competizione che, ormai da decenni, non è più solo sportiva.

La schizofrenia italiota, invece, come sempre lascia lo spazio alla pancia: da un lato, pretende pene esemplari per corrotti (un po’ meno per i corruttori: la campagna della “Casta”, made in Stella & Rizzo, che tanta fortuna editoriale ha avuto, è riuscita nel miracoloso intento di convincere un intero popolo che in un caso di corruzione esista solo il corrotto e non anche il – privato – corruttore, allo stesso modo in cui si scandalizza per l’esistenza delle puttane e non dice mezza parola sui clienti), esulta selvaggiamente alla squalifica di Maradona per uso di cocaina (che anche uno studente di Medicina al primo anno sa che non ha alcun influsso positivo nella prestazione sportiva, anzi, esattamente il contrario), e poi pensa che un truffatore come Schwazer, che assumendo il doping scaracchia in faccia non solo agli sportivi, non solo al proprio e altrui sponsor, ma anche e soprattutto agli altri atleti, quelli puliti, che si fanno il mazzo e sputano sangue sudore e lacrime per partecipare a una competizione, abbia il diritto di tornare a rappresentare il proprio Paese, come se niente fosse successo, confondendo nella propria diarrea giustizialista un tanto al chilo ed estremamente selettiva, il diritto a ricominciare una vita dignitosa da cittadino qualsiasi con la pretesa che venga dimenticato un gesto che offende la morale: dimenticando, come fa con i politici, che quando si assume una carica, anche solo onorifica come quella di rappresentante olimpico, ci si mette in una condizione nella quale è richiesto molto più che essere onesti, ma anche un maggiore impegno a questa benedetta onestà.

E’ la schizofrenia di questo Paese che impedisce ormai perfino di indignarsi per la quotidianità con la quale si scoprono pubbliche e private corruttele e complicità con la criminalità organizzata: in questo quadro, figuramoci se qualcuno non dava del ‘moralista’ a chi pretende che Schwazer se ne stia buono e tranquillino, magari a riflettere sul fatto che se una vicenda del genere gli fosse capitata in Austria o in Germania, Paesi che sicuramente gli sono molto ma molto più affini del Paese che pretende di rappresentare nuovamente, non se la sarebbe cavata così a buon mercato.

In quei Paesi sarebbe stato non solo squalificato a vita nello sport, ma sarebbe con tutta probabilità andato incontro a una condanna penale – il signor Uli Hoeness, già stella del Bayern e vicepresidente della stessa società calcistica, per una truffetta di medio valore si è preso tre anni di galera che sta finendo di scontare in questi mesi e NESSUNO, dove si parla la lingua che viene meglio a Schwazer, ha fatto un plissé.

Va da sé come al signor Hoeness non passi neanche per l’anticamera del cervello di chiedere di essere nuovamente tesserato per la Federazione calcistica tedesca.

Alex Schwazer ha diritto al perdono. Non all’oblio. Ma in questo povero Paese, dove come si dice c’è sempre una porta della sagrestia aperta per chiunque, in modo da poter sgattaiolare, l’oblio è pratica costante. Fino al prossimo malaffare.

Cesare Stradaioli