IL DIRITTO DI VIVERE COME FIABA MODERNA

Nel magico Mondo delle Favole, l’insieme dei Paesi cosiddetti ‘occidentali’ – categoria che racchiude gli stati in cui vige in beata solitudine l’economia di mercato – esistono narrazioni che sfidano l’immaginario più sfrenato, con una sostanziale differenza: i bambini a una certa età smettono di credere a Babbo Natale o al dentino sul davanzale che porta notturni denari in cambio, mentre gli adulti vivono un’infanzia che pare infinita, rapiti da racconti a paragone dei quali tutto l’insieme di dicerie intorno alla Befana assume l’aspetto di una robusta teoria generale.
Il racconto è semplice e deve esserlo, poiché un sovraccarico di dati, notizie, specificazioni, particolari, porta inevitabilmente alla più classica delle domande: perché? Il che, per l’appunto, avviene in qualsiasi famiglia, dato che il bambino non si accontenta che gli si dica che la Befana o il barbuto con le renne sono quello che sono a basta. Vuole molto di più e fa parte del gioco accontentarlo. La semplicità della narrazione tipica dell’economia di mercato esclude qualsiasi richiesta di chiarimento: ciò rende estremamente più facile introiettare i concetti base. Dire troppo fa correre il rischio di dire la cosa sbagliata: ci pensano le solerti guardie del neoliberismo a chiudere tutti i discorsi. Il mercato è quello che è, tanto quanto il sistema solare, chiaro netto e indiscutibile e tanto indiscutibili quanto la pioggia che rovina il pic nic programmato, sono le manifestazioni di un sistema economico essenzialmente umano, come tutte le cose dall’uomo create.
Una delle gag più significative di Angelo Cecchelin, quasi dimenticato attore comico triestino, fortemente inviso a qualsiasi forma di potere (conobbe il carcere durante il fascismo e anche nel corso della breve occupazione titina: succede, a non essere condiscendenti) non richiede traduzione; “Quando che stago mal, vado dal medico, perché el medico gà dirìto de vivere; e quando el medico me dà la riceta, vado dal farmacista, perché el farmacista gà dirìto de vivere; e quando el farmacista me dà le medicine, le butto nele scovazze, perché ancha mì gò dirìto de vivere.”
In sintesi, la narrazione. Aumenta il prezzo delle materie prime per chi acquista energia a livello internazionale; la società (pubblica e/o privata, o entrambe le cose) affronta costi maggiori, quindi inizia tutta una catena di aumenti, uno per ciascun soggetto che interviene nel ciclo del petrolio, tanto per fare l’esempio più classico, dal gestore dei noli navali per il trasporto dei greggio, al porto di arrivo, alla raffineria, all’articolato che trasporta la benzia, fino al distributore.
Ognuno di costoro spende di più e chiede di più a chi viene dopo, in base al diritto di vivere su cui ironizzava Cecchelin.
L’unico che non sembra godere del medesimo diritto, è il cittadino, il quale pure deve sopportare aumenti (del carburante per la propria auto, per i camion che portano al mercato tacchi dadi e datteri, per i mezzi pubblici, del gas a casa per il caffelatte al mattino e la minestra alla sera e così via), ma essendo l’ultimo della fila, deve tacere e pagare. Senza fare domande, che non sono ammesse.
Logica vorrebbe – lo prescrive anche la nostra Costituzione –  che essendo tutti noi parte di una società (in fondo anche al più thatcheriano classe media inglese, in caso di bisogno – proprio: gli altri non esistono – viene spontaneo chiamare la polizia o il pronto soccorso), una faccenda come il pesante aggravio di vita a causa del crescente costo dell’energia fosse equamente suddivisa fra tutte le categorie sociali. Tale logica, però, che peraltro riposa su una convenzione che parla di uguaglianza e solidarietà (anche l’affermazione che tutti gli uomini sono uguali fra loro è frutto di una convenzione, astrattamente soggetta a essere modificata o totalmente emendata da una maggioranza parlamentare pro tempore), va a sbattere contro la narrazione infantile della ineluttabilità del mercato e delle sue regole, che nella sua semplicità sovrasta la più fantasiosa, immaginifica e coinvolgente delle favole. Qualcuno (saranno in quattro-cinquecento individui a staccare cedole, dal momento in cui il greggio riempie il barile fino al pieno di benzina?) ci guadagnano un’esagerazione, moltissimi poco e quasi tutti ci perdono.
Uscito vittorioso dai reflui del ’68, il Moloch del mercato è definitivamente fuori dalle cantine del ghetto: se la carrozza che diventa zucca o la fata dai capelli turchini dispongono dei primi anni di vita (salvo eccezioni per niente rare e poco eccezioni), il mostro si prende tutto il resto dell’eststenza di ognuno e il posto del cugino o dell’amico più grande che ti aprono gli occhi sulla strega che in realtà era tuo zio travestito da megera e ul vecchio barbuto rimbambito con i colori della Coca-cola è preso da una congerie di truppe cammellate (la Sinistra europea guida un reparto particolarmente addestrato) che dal titolo di una testata, da una cattedra universitaria o da uno scranno parlamentare o comunale continuano a raccontare la stessa tiritera: è così perché è così e non ci si può fare niente.
Alla quale tiritera, però, manca il lieto fine di ogni fiaba che si rispetti: pochi, vivono felici e contenti.

Cesare Stradaioli