IL DECORO IN ALTRO EMISFERO

Si dirà che il paragone è poco proponibile, che le differenze di livello culturale e quelle storiche non consentono di argomentare come se si trattasse di situazioni, circostanze, persone e ruoli facilmente accostabili.
Sta bene. Rimane il fatto, nella sua spoglia oggettività – e a prescindere da chi se la sia cantata e chi abbia fatto l’uccellino con chi di dovere – mentre uno si trova all’estero, viene a sapere che nel Paese dove al momento si trova, il vice primo ministro rassegni le dimissioni dall’incarico a seguito della vicenda che lo ha visto coinvolto con una funzionaria del proprio apparato. In due parole, la signora è, come si suol dire, in dolce attesa e i due sono sposati altrove. Il primo ministro australiano Malcolm Turnbull (coalizione di centrodestra, sia detto per inciso) ha seduta stante preso la parola e senza porre tempo in mezzo, pur attendendo il gesto da parte del suo vice – non stava bene chiederglielo: qui non si usa, è il soggetto interessato che deve togliere il disturbo e l’imbarazzo al proprio esecutivo di appartenenza – ha emanato una direttiva, secondo la quale è assolutamente vietato, all’interno di ogni singolo ministero, avere relazioni sessuali con membri del proprio staff. Il sesso omosessuale, fra le altre, ha la caratteristica di non avere gravidanze indesiderate, non di meno la direttiva include pure quello.
Un aspetto alquanto singolare, almeno per noi, è che questa direttiva è stata, per così dire, ‘emanata’ durante una conferenza stampa; nei modi e nelle forme previste dal questo sistema politico, assumerà carattere ufficiale, ma la sua effettività ha preso corpo e sostanza contestualmente. Detto ciò, Turnbull è volato negli USA a incontrare uno che di esercizio del potere verso le donne probabilmente ne sa e ne pratica parecchio più di lui: la cosa può suonare buffa, ma è del tutto occasionale e, in ogni caso, la direttiva rimane.
Rimangono anche altre due considerazioni: la prima riguarda il malcapitato – che, se seguiva i propri compiti istituzionali allo stesso modo in cui governava la propria sessualità, forse è stato un bene per l’Australia che si dedichi ad altro; uscita la notizia, il vice primo ministro Barnaby Joyce non ha detto bah, non ha accampato scuse, fraintendimenti, giaculatorie, esortazioni a non alterare il quadro istituzionale (concetto che, da queste parti, al massimo può significare uno schermo luminoso o meno in cui sono riportati i nomi dei ministri): si è scusato con i suoi elettori e con il popolo australiano – avete letto correttamente – e ha lasciato l’incarico. Va detto che l’uomo si presenta non esattamente bene: diciamo che, stando ai nostri canoni di eleganza sartoriale e di comportamento, potrebbe simboleggiare la classica persona che non gradiremmo avere seduta a fianco, a tavola (di certo usa il coltello col pesce) o in treno (l’approccio esteriore è proprio di quelli che sbraitano i fattacci propri al cellulare).
Tuttavia, ha compiuto un gesto di grande significato per quanto sia considerato assolutamente la normalità in certi Paesi e questo dovrebbe dirla molto lunga su come gli italiani giudicano coloro i quali chiedono il loro voto e come loro stessi, i candidati, scelgano di presentarsi.
La seconda considerazione ha a che vedere col fatto che NESSUNO in tutto il Paese ha espresso un solo commento; essere favorevoli è ovvio e scontato, dunque che senso ha per ABC o per altre emittenti radiotelevisive andare a sfrucugliare questo o quel politico; il quale questo o quel politico, se non è d’accordo, se lo tiene per sé, esprimendolo tutt’al più all’interno delle mura domestiche, che se lo facesse in pubblico o in sede istituzionale, perfino i membri del suo stesso partito, pure se all’opposizione, gli farebbero cenno di stare zitto e in malo modo, anche.
Ora, l’Australia non è il paese dei balocchi; è una società solidamente basata sul liberismo, dove – in omaggio al vecchio adagio inglese – davvero ogni uomo è un’isola e siamo a tanto così da quell’altro detto (thatcheriano) secondo il quale non esiste la società, bensì un insieme di singole individualità. Il lavoro è mobilissimo, Uber spadroneggia, la convenienza economica viene prima di qualsiasi altra cosa. Ci sono le regole, genericamente i cittadini le rispettano, le cose più bene che male funzionano, la gente è cordiale e birre e vini manca poco che vengano buttati dalle fontane; dopo di ché, succedono fatti come la vicenda della Ansett, che nel 2001, dopo avere vinto per tre anni di fila il titolo di migliore compagnia aerea al mondo – per quello che vuole dire: non poca cosa, comunque – fu letteralmente annientata dalla Qantas che, con un gesto di gangsterismo economico e finanziario degno di uno qualsiasi dei più deprecabili personaggi di Charles Dickens (e tanti saluti al libero mercato), fece proprio l’intero pacchetto continentale, mandando nel contempo alla Air New Zealand che della Ansett era azionista, un messaggio in pretto stile mafioso che suonava grosso modo come un bonario consiglio di starsene buoni, che agli ‘amici’ (il manager della Qantas e i suoi mandanti politici) la confusione ci dà fastidio.
Resta il fatto, al netto di ogni opinione personale sugli indirizzi sociopolitici di questo o quel Paese, che certe cose, quali una relazione sentimentale o pianamente fisica, che nulla hanno di penalmente rilevante fra adulti consenzienti, in determinate circostanze costituiscono un problema a livello di decoro istituzionale. Nell’ambito di consorzi civili quali quello australiano, nemmeno si arriva a questionare intorno al fatto che un primo ministro, un presidente del consiglio, una figura pubblica, non può (non è che non deve: non può) tenere a casa propria una di quelle che la fantasiosa per quanto puttana stampa italiana – che è ricchissima di fantasia – ha definito ‘cene eleganti’ (come se noi cittadini ordinari, per portarci a letto una donna o un uomo ci vestissimo come dei baluba e per cena un cinese a portar via), perché da quella sera in poi diventa soggetto facilmente ricattabile – che è il motivo vero e primo per cui la vita sessuale di Berlusconi, checché continuino a cianciarne gli imbecilli e i disonesti, NON era affare suo, fintanto che ricopriva il ruolo di presidente del consiglio dei ministri della Repubblica Italiana. In Australia non si arriva a tanto: nemmeno ci si avvicina, per il semplice fatto che, al di là della pruderie solleticata dai tabloid locali, il cittadino si aspetta le conseguenze dai gesti compiuti: ti avevamo eletto per fare politica e tu fai le cosacce con una tua collaboratrice (e le hai anche fatte malamente: a 50 anni suonati, metti incinta una donna senza volerlo: dà da pensare)? Ti accomodi e ritorni alla tua vita personale, all’interno della quale sarai liberissimo di fare quello che più ti pare, ti piace e ti fa comodo.
Termini quali ‘disciplina’ e ‘onore’, suonano certamente un po’ vintage e sono evidentemente figli del loro tempo, quello in cui fu scritta la nostra Costituzione: non di meno, pure se hanno assonanze d’altre epoche (pure quelle, di sicuro non sempre encomiabili), quei termini abbiamo e sono specificamente indirizzati a quei cittadini ai quali sono affidate – essendosi a tale fine loro proposti, candidandosi – funzioni pubbliche. Oggi si vota per il rinnovo del Parlamento; ha ragione Massimo Cacciari, i politici italiani (specie quelli di sinistra) sarebbe ora che dicessero la verità, parlassero delle cose come stanno e non come sognano che siano e nel dire la verità si intende anche comportarsi secondo verità ovvero secondo onestà – leggi disciplina e onore.
Male non farebbe e ci sarebbe pure il caso che il ceto politico italiano – più verosimilmente il prossimo, ché l’attuale pare avere esaurito ogni bonus – ne guadagnasse in rispettabilità, credibilità e autorevolezza. Sognare non costa niente.

Cesare Stradaioli