IL LIBRO DEL MESE DI MARZO – Consigliato dagli Amici di Filippo

Piergiorgio Odifreddi è dotato di una mente brillante, pronta e acuta; uomo di grande versatilità, la sua capacità divulgativa sembra non avere confini: partendo dalla matematica, quella che, indubbiamente è la sua materia – a costo di usare un termine poco consono, ma per capirci – egli spazia dalla politica alla religione, dal greco ai sistemi elettorali e via discorrendo, dimostrando una notevole capacità non solo di apprendere, ma anche e soprattutto di coordinare fra loro dette conoscenze. A tutta prima, proprio volendo cercare il pelo nell’uovo, si potrebbe dire – lo affermo da ascoltatore, di radio e di convegni – che il suo eloquio non è sempre all’altezza, mentre la pagina scritta rende a pieno le sue idee, le critiche, gli approfondimenti, il tutto accompagnato da una sapiente e meritevolissima dose di (auto)ironia; per non parlare dei suoi fulminanti aforismi, quale quello secondo il quale, giustificando le sue abitudini giornaliere, egli si sveglia alle dieci del mattino, poiché prima di quell’ora il mondo non esiste.
Odifreddi, però, sostanzialmente è un integralista. Rimanendo nello stretto campo dialettico (darebbe l’idea, lui, di non essere in grado né di voler usare la forza fisica neppure se costrettovi), certo fra lui e gli urlatori sputacchianti, volgari d’annunzio ai quattro formaggi, corre un abisso di conoscenza, capacità di relazionarsi, rispetto e, infine ma prima di tutto, di buona educazione, concetto che a costoro – fare nomi non serve: li conosciamo benissimo, ammorbano i mezzi di comunicazione da un quarto di secolo e più – è totalmente estraneo. Eppure, le sue parole colpiscono, non sono quiete e pacate. Il titolo del suo ultimo lavoro è una specie di parola d’ordine o, se si vuole, di un postulato, indubbiamente intriganti e ricchi di fascino e, tuttavia, questo fascino in qualche modo finisce a botte e il postulato diventa una serie di invettive.
Passo per passo, parola per parola, definizione per definizione, l’Autore mette a nudo difetti, mancanze, vere e proprie turlupinature che si nascondono – e, talvolta, neanche lo fanno: mostrandosi in tutta la loro falsità – dietro le parole e i sistemi che, in un modo o nell’altro ma sempre direttamente, si rifanno al concetto di democrazia, cioè di potere devoluto al popolo o da esso esercitato. Qualcosa, però, suona fesso, non soddisfacente: tutto quanto concerne la democrazia, secondo Odifreddi, è insostenibile proprio in quanto NON democratico; soprattutto – e qui spunta l’animo integralista dell’Autore, che come tutti gli integralisti ha bisogno di rifarsi continuamente a ciò che combatte, con tutta la sincerità e l’onestà possibili – è strettamente connesso alla religione. Di fatto, la democrazia è considerata alla stregua di una religione e, come tutte le religioni che si rispettino, vive di dogmi, affermazioni sottratte alla verifica empirica e, last  but non least, nella pratica si sostanzia in una forma ufficiale, canonica (il popolo è il soggetto che governa) e una apocrifa (il popolo è il soggetto che viene governato).
Che fare? direbbe quel tale che una rivoluzione l’ha pur fatta, tanto per accostarlo agli eminenti nomi che l’Autore passa in rassegna, dall’Uomo Qualunque di Guglielmo Giannini, ai gelatai del paradosso di Hotelling e Black, da John Adams e il suo concetto di dittatura della maggioranza, ai membri della Camera dei Lords inglese, da Keynes a Giolitti: niente, pare essere la risposta di Odifreddi. Non c’è niente da fare, la democrazia non esiste, a meno di non voler intendere questo potere esercitato dal popolo come il paradosso borgesiano di una sterminata Camera dei Rappresentanti, costituita da tutti i cittadini residenti che esercitano il diritto al voto: ogni sua rappresentazione, ogni suo ganglio, ogni suo anfratto è minato alla radice.
E’ come se all’Autore mancasse il quadro d’insieme: l’analisi di ogni singola parte, una per una, è ragionevole e perfino condivisibile: e con questo? L’essenza della politica non è forse l’arte del possibile? Non pare vederla in questo modo, Odifreddi e nell’argomentare intorno a ciò, commette un errore semplicemente inconcepibile, considerato il suo orientamento politico. Nella frenesia di sanzionare qualsiasi metodo di scelta tramite il voto, gli scappa di scrivere che il modo migliore per la garanzia di un potere giudiziario credibile, è quello di eleggere i magistrati. Ora, a parte la singolarissima (e un tantino preoccupante) sintonia sul punto col pensiero berlusconiano – ‘i giudici sono dipendenti pubblici che hanno solo vinto un concorso e per tutta la vita fanno parte di un potere’ – proprio gli sfugge (capita anche alle migliori menti, di inciampare su una zampa di formica, come disse Pavarotti a commento di una propria stecca, a suo dire trascurabile) che l’elezione dei giudici fatalmente sottopone il potere giudiziario a quello esecutivo: la dipendenza della Magistratura dalla politica – il ministro della giustizia, tanto per non fare nomi – la riduzione da tre a due dei poteri, è uno dei cardini su cui da sempre poggia il pensiero politico reazionario e non si venga a dire che nel sistema giudiziario di Common Law la politica non entra.
E’ stato scritto a commento di questo lavoro che indurrebbe al qualunquismo: non siamo d’accordo; il qualunquismo esiste di per sé e vive di vita propria. Soprattutto, il qualunquismo è sempre politicamente orientato verso una scelta, comunque la si giudichi: al contrario, l’Autore pare suggerire di non scegliere (il che è, comunque, una scelta), di non indirizzarsi verso niente e nessuno, poiché l’imbroglio è sempre lì, sotto e dietro la parola ‘democrazia’, tanto che, per paradossale che possa sembrare, il modo più diretto e genuino di governare un popolo pare essere la dittatura di pochi ottimati. Come dargli torto, sotto certi aspetti: fin quando gli Stati Uniti non hanno deciso che la partita non gli garbava più, Saddam Hussein ha retto egregiamente il proprio potere e non si può dire che mancasse di effettività. Di nuovo, però, ci si attendeva qualcosa di diverso da una mente vivace quale quella dell’Autore.
E noi che credevamo che un matematico avesse sempre una soluzione: che la scienza, in cui Odifreddi crede (ahi, gli integralisti) in maniera totalizzante, vivesse del tentare sempre, esperimentare sempre, senza mai accontentarsi dell’insuccesso il quale, anzi, serve da sprone per proseguire, per fare muovere le carovane: evidentemente, Odifreddi ritiene idiota (non democratico?) il sistematico procedere delle carovane verso l’utopia. Che, in quanto tale, non si misura, non si pesa, non si confronta e, in definitiva, come il mondo fino alle 9 e 59 di ogni giorno, non esiste. Tanto vale, allora, svegliarsi quando il mondo comincia: ma, professor Odifreddi, a giungere una simile conclusione, eran buoni tutti.

Cesare Stradaioli

Piergiorgio Odifreddi – LA DEMOCRAZIA NON ESISTE – Rizzoli – pagg.207, €18