I METODI CHE NON VANNO

C’è una cosa da chiarire subito, con la seguente premessa: la vulgata secondo la quale se la giustizia penale è boccheggiante, quella civile è vicina al coma irreversibile, come non poche vulgate corrisponde sostanzialmente al vero. Ma c’è, come detto, una cosa da chiarire: ciò non dipende dalla struttura del processo civile o, quanto meno, non nella misura maggiore e più importante, quanto piuttosto da quello che succede dopo. E cioè, spesso quasi niente. 
Ha poco senso accertare che in questo o quel tribunale una causa civile giunge a definitività in tot giorni, per poi calibrarne il tasso di efficienza: nella realtà, la durata di una procedura civile non è particolarmente lunga, purtroppo specie se rapportata alle lungaggini che affliggono la nostra società. Il vero problema sorge il giorno successivo in cui una sentenza diventa irrevocabile: da quel momento in poi, per il creditore di una somma, per colui che si vede riconosciuto un diritto, il concretarsi della decisione finale, vale a dire l’effettivo pagamento della somma o la messa in atto del diritto vantato e riconosciuto (l’abbattimento di un ecomostro, la restituzione di un alloggio, la sistemazione di un confine, il diritto all’uso di determinate frequenze video e radio, la sistemazione personale ed economica di un divorzio) si scontra con la sopravvenuta – od originaria – incapienza del debitore condannato, ovvero con un’indefinita serie di intralci burocratici, tecnici, politici (specie nelle amministrazioni locali). Tutto ciò rende, di fatto, impossibile mettere in concreto quando deciso da un giudice civile, sicché parlare di durata del processo civile e limitarsi ad affrontare quella fase specifica, si risolve in una scampagnata fuori sentiero che non porta da nessuna parte. 
Detto ciò, è inaccettabile che un esecutivo lavori a tamburo battente e porti al voto di fiducia, saltando cioè la discussione parlamentare, una riforma quale quella che viene presentata in queste settimane, segnatamente per quanto attiene all’istituto della prescrizione. 
E’ inaccettabile ed è da irresponsabili dato che, concettualmente, prima di saltare il dibattito parlamentare, si sorvola sulla fase più importante di qualsiasi riforma degna di tale nome, vale a dire un serio, approfondito e minuzioso esame di quanto si ritiene meritevole di modifica, di aggiornamento, destinato quasi esclusivamente a dei tecnici, cultori della materia ed esperti delle strutture sociali e materiale che eventualmente ne venissero interessate, che valuti tutte le possibili opzioni, per giungere a un testo finale, quanto più possibile non aggredibile sotto il profilo politico. 
In altre parole, bisogna sapere di cosa si parla e su cosa si mette mano. Principi di buon governo e di gestione della famiglia che, peraltro, aveva ben chiare in testa un uomo del suo tempo come mio nonno il quale, come milioni di suoi concittadini, pure restio ai cambiamenti, mai li avrebbe affidati a chi non avesse idea di cosa stesse facendo o di cosa stesse parlando, si fosse anche trattato di sostituire il sistema frenante del suo calesse. 
Che qualcuno sollevi il sopracciglio un tantino offeso a sentir dire che il ministro Cartabia, valente giurista, non abbia idea di come funzioni un ufficio qualsiasi di un qualsiasi tribunale o Procura, avendo fatto tutt’altro e da tutt’altra parte in vita e che, in tal senso non possa avere competenze per fare certe affermazioni, dovrebbe fare un po’ sorridere, ma temo che il tempo dei sorrisi sia finito e forse era anche ora. Non è necessario che il ministro della Giustizia pro tempore vanti esperienza diretta di prim’ordine su questo o quel ramo del sistema giudiziario sotto la cui riforma si appresta a mettere la firma – e la faccia: è invece indispensabile che scelga collaboratori di assoluto valore (vale per qualsiasi dicastero) e che eviti di dire cose che, quando non sono dannose, sono inutili. Che la Procura di Napoli – come diverse altre – abbia un carico di lavoro particolarmente gravoso dovuto ad un altissimo tasso di criminalità (che peraltro non tiene conto del gran numero di reati che non vengono denunciati: per paura, per omertà, per stanchezza, per sfiducia), molto maggiore di realtà assimilabili solo sotto il profilo della densità abitativa, della bellezza della città o della sua notorietà, è cosa nota anche al passante più distratto; sicché alzare un attimo il tono chiedendosi perché se una cosa funziona a Berlino non debba funzionare anche a Brema, è sciocchezza che offende non solo il passante di cui sopra, che potrebbe benissimo infischiarsene (come, di fatto, se ne infischia: fino al momento in cui non gli tocca di comparire in aula come imputato, teste o parte offesa), ma anche l’intelligenza e il lavoro di chi dentro i tribunali ci sta con una certa continuità. 
Ma, al di là di ciò, che potrebbe anche essere catalogato come corbelleria di basso livello (per il fatto di essere stato sommo poeta, insignito col Nobel per la Letteratura, Eugenio Montale avrebbe dovuto essere considerato esperto di sistemi di insegnamento della lingua italiana?), è il metodo che non va bene. Molto semplicemente perché una questione fondamentale come una riforma, anche solo parziale, di un istituto così importante come la prescrizione, non può anzitutto essere messa ai voti di fiducia – l’esecutivo scavalca il legislativo per decidere di quello giudiziario – ma per certi versi nemmeno deve essere condivisa allo spasimo. Cosa che sembra essere il destino di qualsiasi legge, di qualsiasi provvedimento governativo emesso o promosso da un esecutivo che imbarca tutti e a tutti deve chiedere il permesso per fare. Con le conseguenze di cui leggiamo ogni giorno: a parte le opinioni personali nel merito, è da chiedersi quale intelligenza superiore possa avere immaginato di poter mettere d’accordo la Lega con la parte più a sinistra dell’attuale esecutivo sui contenuti di un decreto quale quello con primo firmatario Alessandro Zan, senza mettere in conto, come minimo, succosi e avvilenti facio ut facias, da parte di chi ancora stenta a realizzare di essere stato inopinatamente chiamato a fare parte di un governo che dovrebbe gestire la ripresa economica post Covid19. 
Fatico a credere che una soluzione del genere possa essere gradita a chi ne chiede la realizzazione in cambio dei fondi europei per fare fronte alla pandemia: sempre che a costoro interessi davvero il funzionamento della giustizia nel nostro Paese e non solamente il destino di qualche intoccabile o gruppo di potere, immune dal carcere o al quale non potersi chiedere conto, anche risarcitorio, delle nefandezze compiute.

Cesare Stradaioli