FRASI CELEBRI (E PERSONAGGI CONNESSI)

Ignoro chi sia il giovane che, durante una trasmissione televisiva della Rai, ha espresso un concetto che potrebbe essere riassunto più o meno in questi termini: Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, essendo ben coscienti del pericolo di essere uccisi in ragione della loro attività, avessero accettato tale pericolo facendo quella scelta di vita. Ritengo, a differenza di molti – probabilmente dei più – grave, non tanto che certi personaggi compaiano in trasmissioni dell’emittente pubblica e che venga loro consentito di esprimere certe opinioni (lo è, grave: non v’è dubbio), quanto piuttosto il fatto che persone di una certa età (e, in questo caso, la considerazione, contrariamente al solito, vada intesa al ribasso e cioè appartenenti alla categoria genericamente definita come ‘giovani’), pensino al lavoro di magistrato o di tutore dell’ordine, ma anche del semplice funzionario statale onesto, che non guarda in faccia a nessuno, come naturalmente foriero di pericoli. Naturale che a ballare sotto la pioggia capiti di prendere un raffreddore: chi ne incappi, non abbia a lagnarsi, dopo; sapeva cosa rischiava.
Ovvio che determinati tipi di lavoro, non solo in Italia, presentino il rischio di ritorsioni da parte della malavita, organizzata o meno: quello che, però, dà lo spessore di quelle affermazioni consiste proprio nel ridurre quel tipo di lavoro, di professione (per qualcuno, una missione), alla stregua di una bravata o del tentativo di battere un record e non già di valutarlo per quello che è, vale a dire fare il proprio dovere di funzionari di Stato (o di personale di Stato: il termine ‘servitori dello Stato’ non finisce mai di suonarmi pregno di sudditanza). Oltre a ciò, che frasi del genere siano profferite da una persona che, se non altro per ragioni di anagrafe, si suppone non abbia alle spalle lunghi anni di vita pregressa, incrostata di malaffare o di condiscendenza o conformismo allo spirito della mafiosità, pare anche peggio e viene spontaneo chiedersi (lo sappiamo benissimo, in realtà) come e dove si possa essere formato una simile opinione. Tenendo conto del fatto che ad attribuirgli un’opinione gli si fa anche generoso credito di coscienza e consapevolezza: si trattasse di essere umano scarsamente portato alla riflessione e più comodamente sdraiato sul divano del sentito dire, ciò conferirebbe un tono leggermente meno grave a tali affermazioni – ma proprio leggermente.
Peraltro; non me ne vorranno gli sdegnati (l’indignato va oltre lo sdegno e quasi tutti coloro che hanno commentato le frasi sui due magistrati assassinati si sono fermati lì) per questo avvilente episodio, ma penso che sarebbe più opportuno l’esercizio della memoria, oltre che dell’indignazione. La frase del suddetto, dimenticabilissimo personaggio, è brutta e offensiva  – e la finiamo qui con gli aggettivi: altri annacquerebbero solo il tutto, come spesso accade – ma dovrebbero costoro avere la compiacenza di ricordare come, una trentina e più di anni fa, una frase ben più diretta, “se l’andava un po’ cercando” (che, ce lo sia consentito, è anche più infamante e irrispettosa del dire che qualcuno era cosciente dei rischi che correva; c’era dentro un inequivocabile riferimento alla tenacia della vittima, alla sua specifica attività verso specifiche persone in ben specifiche circostanze), fu pronunciata in davvero bella e riconoscente memoria di Giorgio Ambrosoli, fatto assassinare da Michele Sindona o da chi per lui.
La pronunziò, come tutti sanno, Giulio Andreotti il quale, da bravo e solerte uomo di Stato quale NON era, si guardò bene dal rinunciare alla prescrizione nel processo intentatogli per mafia (sacrosanto diritto del cittadino Andreotti, non del celebrato e magnificato uomo politico Andreotti), come sarebbe stato suo dovere fare. Per la propria figura e per quella della politica e dello Stato italiano. Non ricordo di avere letto o sentito espressioni di sdegno per una frase cento volte peggiore, per contenuto e per chi fu a dirla, di quella del giovane apparso in televisione qualche giorno fa. Ma certo: la disse l’uomo politico più noto e votato, quello che ogni tanto elargiva aneddoti, frasi celebri, giudizi che lasciavano il segno, opinioni ripetute per ogni dove e per ogni come, richiamate come espressioni di saggezza, sano cinismo politico, destrezza e furbizia, accortezza nelle relazioni personali e politiche, che qualcuno percepiva più simile a quella di un mafioso che a quella di un politico prudente.
Non si sentì un fiato, se non qualche isolata voce di dissenso. Niente, neanche dalla sinistra istituzionale, dal Partito Comunista e ci fu (e c’è tutt’ora) poco di che stupirsi; Andreotti era quello che venive regolarmente invitato alle Feste dell’Unità e fra un sorrisetto e un ammiccamento alla Alberto Sordi, li prendeva per i fondelli  o li attaccava al muro con frasi di contenuto ben poco implicito: loro, stolti, ridevano e il pubblico applaudiva.

Cesare Stradaioli