Figaro qua, Figaro là…

Mentre nel mondo accadono cose di un certo rilievo – a dirne tre: ci risiamo con i bombardamenti francesi, l’Europa dimostra tutta la sua pochezza a livello politico e sociale e Papa Bergoglio afferma che la figura femminile non è più da considerarsi tentatrice per l’uomo (mettendo così in mora, sul punto, le altre due grandi religioni monoteiste e verrebbe da dire che, delle tre, questa si candida a essere la più significativa) – in Italia assistiamo all’inverecondo mercimonio di seggi parlamentari allo scopo di arrivare con una maggioranza risicata per quanto eterogenea, a una modifica di enorme significato della nostra Costituzione e del nostro sistema politico.

Mettiamo per un attimo da parte la considerazione – che andrebbe,in verità, gridata porta per porta, casa per casa – secondo la quale se la campagna acquisti di senatori da parte del governo Renzi l’avesse fatta Berlusconi (e l’ha fatta, con numeri di gran lunga inferiori), a quest’ora saremmo assordati dalle reazioni della parte di stampa che, in misura nemmeno paragonabile al sostegno che negli anni ’60 avevano i governi a guida DC, in coro e in perfetta intonazione appoggia incondizionatamente l’attuale esecutivo.

Una riforma costituzionale urge, a parere di chi scrive, con maggiore insistenza di tante altre, quella dell’articolo 67 che così recita:

                                           Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione

                                            ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato.

Ecco, noi aboliremmo la seconda parte di questo articolo, che all’epoca fu pensato e scritto da gentiluomini per altri gentiluomini. In un’epoca che, fino a una ventina di anni fa, contemplava il passaggio da un partito all’altro (o all’entrata in un gruppo misto) come un fatto piuttosto raro; quando, in ogni caso, la compravendita di onorevoli e senatori non si svolgeva, quanto meno nel modo così sfacciato e lurido di adesso; soprattutto quando, nel caso in cui un esecutivo fosse stato sfiduciato dal Parlamento (andare in minoranza, come si usa dire), un momento dopo il Capo del Governo andava a rimettere il proprio mandato nelle mani del Presidente della Repubblica.

L’abolizione della mancanza del vincolo di mandato porterebbe il parlamentare, di fatto, alle dimissioni dalla Camera di appartenenza, per fare posto al primo dei non eletti del suo partito. Ciò darebbe una qualche speranza che il suddetto mandato venisse preso un po’ più sul serio di quanto non lo sia adesso: non ci costringerebbe ad assistere a spettacoli avvilenti (per chi li vede e per i protagonisti che li animano) di parlamentari ben pagati e ben garantiti nel futuro i quali, esclusivamente per propria convenienza, passano da una maggioranza all’altra con la medesima disinvoltura con la quale una passeggiatrice salta da un’automobile di un cliente a quella di un altro. E, cosa maggiormente importante, non darebbe luogo ad approvazioni di leggi fondamentali – o loro modifiche – attraverso accordi di comodo e non con la lungimiranza e onestà politica che richiederebbero.

Cesare Stradaioli