FALSE VERITA’ E VERE FALSITA’

Prendersela con le idee, ripeteva Fortini, è bastonare l’aria. L’idea è un qualcosa che rimane o se ne va, certo non a seconda di se, come ed eventualmente quanto chi la professa venga preso a male parole o impedito di coltivarla. Con, in più, il fatto che, in effetti, a bastonare l’aria ci si stanca ed è pure frustrante. Questo per quanto concerne l’idea – astrazione in sé, secondo Giorgio Gaber. Discorso tutt’affatto diverso, quando dalle idee si passa ai fatti, concreti o annunciati.
La vicenda che nei giorni di questa maledetta estate coinvolge la signora Asia Argento, al di là del comprensibile (e lo è: capire bisogna, sempre) ghigno che qui è là compare, su visi più o meno onesti e più o meno interessati – la Nemesi è un brutta bestia, bene lo sapevano i Greci – è piuttosto indicativa della differenza che corre fra i vari tipi di verità che possono essere scritti praticamente ovunque, a cominciare dal web. Soprattutto, nel web. E siccome viviamo in tempi brutti – non si stava necessariamente meglio prima; non di meno, questi tempi sono davvero orrendi – nei quali bisogna stare estremamente attenti a cosa (e, più che altro a come) si scrive, bisogna specificare, anche al fine di evitare perdite di tempo ed energie a dover spiegare, precisare, fare interminabili passi indietro.
Detto per inciso e una volta per sempre: i due passi fatti indietro non sono mai solo due passi, poi bisogna fare un di più, per tornare da dove si è arretrati; come quando accade se si perde il 10% di qualcosa, poi bisogna recuperare un qualcosina in più del 10% – Berlusconi ha campato anni su una fola del genere, nel silenzio totale di chi non capiva o fingeva di non capire che il 10% in meno di 100 porta a 90, e che recuperare il 10% di 90 porta solo a 99, benedetto Paese…
Pare ovvio a chiunque, a parte forse qualche decina di migliaia di imbecilli e nostalgici fascisti, che chiunque, da una posizione di potere rispetto a chi chiede, subordini un favore o un qualcosa di dovuto al compiersi di una prestazione sessuale, sia da qualificarsi come persona ripugnante. Punto e basta, in proposito. Non lo si ripeta più. Peraltro esiste quell’approccio, culturale prima che mentale, alle problematiche che hanno a che vedere con le responsabilità penali, chiamiamolo spirito di legalità, per il quale chiunque, anche il più abietto degli esseri umani sia da considerarsi, per l’appunto, un essere umano, il quale andrà ritenuto colpevole solo all’esito di un giudizio, cui seguirà la condanna che si riterrà di giustizia, sulla base di prove certe e definitive. Tutto quanto il resto, prima, che non siano indagini, sono chiacchiere. Che non sono, come si diceva poco sopra, semplici idee, ma la loro traduzione in pratica perversa: per interesse personale, per spirito di vendetta, per malcelato senso di giustizia, quello che volete. Ne consegue che lo scandaloso, isterico, folle e sconsiderato tsunami a livello mondiale che sembra non avere confini nel bollare, a prescindere, come colpevoli di violenze sessuali o pretese di identico carattere, chiunque sia semplicemente additato da chicchessìa, è seriamente (e metaforicamente, sia chiaro) da prendere a bastonate.
Violenza gratuita sinonimo di mancanza di argomenti? Ma neanche per sogno. Autodifesa e mobilitazione delle coscienze, se mai. Perché la giustizia, l’applicazione delle regole di diritto sono argomenti troppo importanti per lasciarli nelle mani dell’opinione pubblica: la quale, nella quasi totalità, non ha neppure la più vaga idea di come siano fatti, di cosa contengano e cosa significhino il fascicolo di un’indagine penale e quello che ci sta dentro. Ora, il concetto di stampa come cane da guardia (termine, però, alquanto – e per certi versi, volutamente – ambiguo: a guardia di chi? e verso chi?) sarà anche leggermente fuori tempo massimo, come certi ciclisti che giungono stracotti quando se n’è andato dall’arrivo anche l’ultimo spettatore, però un livello minimo di coscienza, professionalità e senso di responsabilità andrebbe impiegato. Chiedere è lecito, rispondere è cortesia, si dice. Restiamo in attesa della cortesia e, possibilmente, che le richieste vengano accolte. Una ogni tanto, almeno.
Non mi importa un accidente se la signora Argento sia o meno responsabile del fatto denunciato da un giovane (ex) amico, né se che questo abbia portato alla invereconda pratica di liquidare il tutto, letteralmente con il versamento di una somma di denaro. Anche se il tutto fosse vero, ciò non toglierebbe un grammo alla gravità delle accuse che sia lei, sia altre donne hanno rivolto a certi uomini: intendo dire, con questo, che a meno che una denuncia non sia palesemente fuori dal mondo e dalla logica, si deve indagare. Indagare, però, non può e non deve mai significare una condanna anticipata. Cosa che, per contro, è già accaduta più volte nei confronti di personaggi più o meno famosi da quando, quasi un anno fa, è partita l’ondata del movimento chiamato #MeToo.
Io pure: cosa? Anch’io, cosa? Anch’io ho diritto di avere una voce per denunciare? Ci mancherebbe. Anch’io ho subìto violenze? Lo vedremo. Sarà verificato. Ma per vie legali, non a mezzo stampa. Non a mezzo di dichiarazioni a bocca larga, rumorose per quanto prive di riscontri. Non con rutilanti apparizioni televisive, buone certamente per una sostanziosa pubblicità. Non tramite indici puntati, che poi rischiano di ritorcersi contro chi li punta. C’è un passo della Bibbia nel quale si trova l’ammonimento a stare attenti ad augurare il male al proprio fratello, in quanto in un ipotetico domani ci si potrebbe trovare al suo posto.
In ogni caso, per quanto poco rilievo possa avere il nostro impegno, non si preoccupi la signora Argento (non di noi, almeno): a differenza di quanto ha fatto lei – e continuano a fare le sue sodali di #MeToo – noi useremo nei suoi confronti (non arrivo a chiamarla cortesia) la minima decenza sindacale consistente nel considerarla innocente fino a prova contraria e definitiva. Si chiama, volgarmente, garantismo: parola che sottende un nobile e alto significato, pure se appesantito da quel tremendo e abusato suffisso.
D’altronde, ‘ognuno dà quello che ha’, come scrisse svariati decenni or sono un noto critico teatrale di ‘Repubblica’ il quale, avendo ricevuto da Adriana Asti, evidentemente piccata per una recensione non gradita, un pacco contenente merda di cavallo – sarà andata la signora stessa a raccoglierla? – in risposta le inviò, corredate da un biglietto con la frase di cui sopra, dodici dozzine di rose rosse.
Cesare Stradaioli