IL LIBRO DEL MESE DI AGOSTO – Consigliato dagli Amici di Filippo

E’ una lettura agevole, quella di “Volgare eloquenza”, appena dato alle stampe da Giuseppe Antonelli, ma non è per nulla piacevole: forse perché la sua analisi – di professionista che con le parole ci vive e ci scrive, essendo collaboratore dell’inserto domenicale del Corriere della Sera riferito alla lettura e alla rubrica “La lingua batte” su Radiotre – inevitabilmente ci ricorda e ci fa rimbalzare nella testa quell’eloquio davvero volgare e idiota dal quale oggi è difficile sottrarsi.
Tuttavia, il titolo è quanto mai azzeccato, poiché accosta un aggettivo e un sostantivo (o, forse, un anfibio mezzo aggettivo e mezzo soggettivo a un altro sostantivo) che nell’immaginario di chiunque abbia letto qualche libro in vita propria e avuto la fortuna di sentire parlare in italiano di un certo livello, difficilmente possono combinarsi senza creare un corto circuito. Così, purtroppo, non è nella società odierna, dove la terribile involuzione linguistica e – necessariamente – di comportamento che ha portato a superare un vecchio slogan che esortava non già ad alzare il ponte, bensì ad abbassare il fiume, per nulla abbassando il corso d’acqua ma, per contro, livellando a tal punto la strada da bagnare il ponte, troppo ribassato. L’idea, il progetto (se mai ci sono stati, nello specifico) di andare incontro al ‘popolo sovrano’, ha fatto sì che quello stesso popolo fosse trattato da bue. Trenta e passa anni di rincoglionimento, maleducazione, cafonaggine, atteggiamenti e aggressività da clinica psichiatrica di certi conduttori e partecipanti, pompati a getto continuo e ad alzo zero dalle corazzate televisive berlusconiane, con il compiaciuto appoggio di una Sinistra miserabile e ignorante, hanno portato, fra gli altri disastri, a fare sì che pure la cosiddetta casalinga di Voghera, in nome della quale si sbeffeggiava l’intellettualismo (a quando il glorioso ritorno del “culturame”?) e il ‘parlare difficile’, esortando a esprimersi in modo tale che fosse chiaro anche a lei, fatichi a capire – o non lo comprende neanche un po’ – il senso di quasi qualunque frase venga pronunciata da un qualsiasi rappresentante della politica, delle istituzioni, del lavoro, dell’imprenditoria.
L’eloquenza, il modo di parlare chiaro, arioso, musicale, perfino un po’ compiaciuto, ma comunque indice di conoscenza, cultura, capacità di mettere insieme soggetto e complemento oggetto, subordinate e secondarie, di maneggiare il congiuntivo e la punteggiatura, è diventata volgare: in luogo di contribuire affinché il maggior numero possibile di cittadini potesse elevare il proprio grado di istruzione, fondamentale nella capacità di capire ed esprimersi, dunque di chiedere, per forza di cose, il compimento di uno sforzo, accompagnando quante più persone a compiere un passo dopo l’altro per ascendere nel proprio essere cittadini partecipi, si è andati loro incontro, incatenandoli così a un destino che è quello di rimanere dove si trovano, senza compiere un solo passo in avanti, che sarebbe il minimo sindacale che una generazione dovrebbe fare dopo quella precedente.
Un po’ come quella sciagurata pubblicità – ma ve ne sono che non lo siano? – che invita la gente a rimanere a casa, che tanto la spesa o le ordinazioni al ristorante ve le portiamo noi e non dovete neanche alzarvi dalla poltrona (così amputando un’altra fetta di socialità, cioè l’uscire, vedere altre persone, anche solo per ingurgitare qualcosa), allo stesso modo l’involuzione della lingua parlata (quella scritta non sta per nulla meglio) ha semplificato, imbastardito, ridotto al minimo di articolazione la capacità di esprimersi dello stesso cittadino medio, convincendolo che la fatica non serve a nulla e che evolvere le proprie capacità di comporre relazioni personali fosse un lusso da ricchi eccentrici. In sintesi: resta pure dove ti trovi, ci pensiamo noi a renderti i messaggi più semplici ed elementari, tanto a che serve la parola, scritta e parlata, quando il più delle volte è sufficiente un semplice “mi piace” o “non mi piace”?
E’ bastato sproloquiare qualche minuto sulla libertà dell’individuo, che questa stramaledetta parola puttana è diventata semplicemente il diritto per il quale non ho il dovere – e nessuno ha il corrispettivo diritto di esigere – che io spieghi il perché questo mi garba ed quest’altro neanche un po': lo dico e basta. Serviranno decenni, scriveva anni fa Franco Cordero, per rimediare allo sfacelo umano dell’imbesuimento televisivo che ha portato il Paese indietro di 50 anni. La percentuale di persone che non è in grado di capire il significato di cinque frasi correlate fra loro è il medesimo degli anni 60, con la differenza che quella volta si partiva da un alto tasso di analfabetizzazione di base, mentre decenni dopo dall’analfabetizzazione non ci si affranca più, ma vi si corre all’incontrario, come il treno di Paolo Conte. Servivano, serviranno anni: pur che si cominci.

Cesare Stradaioli

Giuseppe Antonelli – VOLGARE ELOQUENZA, Come le parole hanno paralizzato la politica – Tempi Nuovi – pagg. 127, €14