FALLIMENTO? NON SONO COSI’ OTTIMISTA

Si dovrà trovare, prima o poi, un limite allo sciocco vezzo di buona parte della sinistra e di quello che possiamo definire fronte progressista, che porta numerose menti di notevole capacità – oltre a una indefinita serie di imbecilli – a definire stupide, fallimentari, ingiuste decisioni di carattere politico, economico, sociale, di costume prese da governi o gruppi di potere economico collocati da tutt’altra parte. Bisognerà, in un modo o nell’altro, piantarla di giudicare le politiche altrui con i nostri metri e le nostre misure, posto che ve ne siano di anche solo latamente assimilabili fra loro – ce ne sono, a mio giudizio. 
A coloro i quali vedono nella disdicevole fuga americana dall’Afghanistan e nel conseguente, indecoroso e indecente ammasso di disgraziati che dall’aeroporto cercano di fuggire il segno di un fallimento, del manifestarsi di pesanti crepe nella politica di dominio e occupazione che Washington persegue dal 1945, e che la definiscono, a seconda dei casi e delle linee editoriali ‘sbagliata’, ‘disumana’ e così via, rispondo di non essere così ottimista. 
Purtroppo non vedo affatto la fine dell’impero statunitense, fondato anche sull’appoggio a regimi sanguinari e predatori, neppure qualche minimo segnale in tal senso. Vedo, per contro, un disegno piuttosto evidente, per chi abbia voglia di vederlo, teso a ricreare (o mantenere: dipende dalle longitudini) uno stato di conflitto perenne da Israele verso est. Non vedo esponenti politici particolarmente affranti, al di là dell’Atlantico per la ripresa del potere da parte dei talebani: sono ragionevolmente sicuro, invece, che da quelle parti vi siano amministratori delegati afferenti alle lobby degli armamenti, delle forniture militari, dell’industria della ricostruzione (‘nelle guerre moderne prima vengono abbattute tutte le centrali elettriche’, sentii dire un giorno da un operaio altamente qualificato di una multinazionale che opera in Italia ‘e poi viene occupato il territorio’) i cui occhi luccicano al pensiero degli enormi profitti che deriveranno dal prossimo attentato, dalla prossima guerra civile, dalle prossime zone di conflitti a intensità medio-bassa: quell’intensità sufficiente per una produzione bellica remunerativa – anche elettoralmente – ma non altrettanto da rendere popolari i vari Gino Strada rimasti che denunciano che mille morti e mille feriti sembrano pochi ma sono sempre mille di troppo. Vedo anche un progetto, altrettanto chiaro, di opposizione con altre armi all’espansionismo cinese e al desiderio di rivincita internazionale di Mosca. 
Non vedo errori. Non vedo fallimenti. Non vedo vergogna. Così come non è stato un errore, che so, mettere in ginocchio la Grecia e umiliare i greci, né lo è manovrare il prezzo dei cereali e delle materie prime che affamano e costringono alle migrazioni decine e decine di milioni di persone. Non è ‘sbagliato’, non è miope, non è indice di scarsa comprensione delle esigenze di libertà e di affrancamento dalla miseria di cui leggiamo e sentiamo tutti i giorni, lasciare interi Paesi nelle mani di gruppi pseudotribali armati di Kalashnikov ed M16, sottomettere le relative popolazioni femminili: è tutto perfettamente funzionale al mantenimento di determinati circoli di potere, politico, economico, editoriale, educativo. I quali, senza disoccupazione, fame di materiale bellico – dalle pistole agli F35, passando per le mine antiuomo – senza migrazioni, senza nuovi schiavi, senza imbecilli che quello che sanno della vita l’apprendono dagli spot pubblicitari che ne fanno bestiame da consumo, senza dittatorelli da strapazzo, scimmioni in divisa militare o con l’asciugamano in testa, buoni oggi e babau domani, senza tutto questo non accumulerebbero potere e capacità finanziaria, non vivrebbero delle loro rendite (di ogni tipo), non perpetuerebbero il proprio dominio che tramandano all’interno dei loro circoli esclusivi, non potrebbero controllare dati personali e informazione e, in ultima analisi, rischierebbero la morte per inedia se la diseguaglianza sociale facesse marcia indietro. 
Bisogna scendere dal proprio piedistallo e finirla, una buona volta, di giudicare imbecilli, crudeli e ciechi gli altri e considerare quello che fanno utilizzando i NOSTRI canoni, la NOSTRA morale, i NOSTRI principi e spacciare per illogico, incomprensibile e insensato ciò che agli occhi e alle menti di chi guida la politica mondiale e, in genere, la globalizzazione, è perfettamente logico, facile da capire e del tutto funzionale – fame, morti e ingiustizia inclusi. Si guadagnerebbe in concretezza politica e, se non altro, la smetteremmo di sembrare ai loro occhi quello che appare dai nostri comportamenti: scemi. E, quel che è peggio, pure innocui.

Cesare Stradaioli