EUROPA (DIS)UNITA

Non perderei troppo tempo, non dico a commentare, ma neppure a rileggere o riascoltare le parole di Christine Lagarde, nel suo più recente intervento quale presidente della Banca Centrale Europea. E vorrei anche lasciare da parte, dove meritano di essere messe, determinate osservazioni le quali, allontanandosi dal senso di quanto detto dalla prestigiosa autorità europea, non sono altro che perenni discorsi circolari: nello specifico, a rimpiangere la precedente guida della BCE, quasi che le parole della Lagarde costituissero una mancanza di rispetto nei confronti dell’Italia e null’altro più. Si tratta di giudizi poveri, limitati, portatori di un carattere provinciale che ancora innerva un determinato modo di pensare e intendere tipico di quella che nel nostro Paese potremmo continuare a chiamare classe dirigente, se solo qualcosa da dirigere le fosse ancora assegnato.
Quanto detto dalla Presidente della BCE è molto di più, più chiaro e peggiore, ma è poco rilevante, tanto quanto irrilevante è ripetere sempre lo stesso concetto: non è la sua ripetizione a dover indignare, quanto il solo fatto stesso che sia stato, una prima volta, espresso.
L’Europa, come progetto di unità – federale o transazionale, o anche solo come alleanza politica ed economica – non esiste. E’ ancora e probabilmente lo rimarrà per molti decenni, una mera espressione geografica, dagli Urali a Lisbona, da Linosa a Capo Nord; poi, se a qualcuno fa piacere cullarsi nelle proprie illusioni, mettendo in bocca (o nella penna) di coloro che scrissero il Manifesto di Ventotene, cose puramente e semplicemente inventate, è anche un po’ affare di ciascuno: pur che non lo si voglia spacciare per comune sentire, che sotto quell’aspetto (sentirsi europei, tanto per dirne una) proprio non dà notizie di sé, se non altro perché non può dare notizie di sé chi o cosa non esiste in vita. E ancora: a coloro i quali si ostinano a vedere nel confuso e pasticciato procedere economico (ché di sociale nulla è alle viste) e nell’assoluta inutilità e insussistenza rappresentativa di un Parlamento di assenti pur se presenti in aula, anche solo un barlume di realizzazione del progetto di Spinelli e compagni, già velleitario – e rousseauiano, nel senso più deteriore del termine – per conto proprio, bisogna dire: svegliatevi, che il sole è già alto. Oppure dite chi siete e cosa volete e per conto di chi pensate, scrivete e intendete svolgere una funzione di indirizzo della comunità in cui vivete e operate: così, almeno, vi si conoscerà meglio.
L’Europa, come idea federale, non esiste. Non esiste socialmente, in quanto gravemente carente – per non dire totalmente assente – sotto il profilo della coesione sociale. O vogliamo fare finta che il suo opposto, vale a dire la frammentazione su base etnica, dialettale, storica, non permanga praticamente ovunque, che si chiami nord e sud, catalani e castigliani, inglesi e gallesi e scozzesi, cattolici e protestanti, fiamminghi e valloni, cechi e slovacchi, prussiani e bavaresi, passando per gli anseatici e tutti costoro, momentaneamente e ideologicamente (quindi con cattiva coscienza) uniti dalla propria bandiera, ciascuno contro gli altri che sventolano bandiere diverse, frammentazione alimentata da palesi ingiustizie sociali e lasciata gestire a gaglioffi di ogni nazionalità? La mancanza di solidarietà fra Stati, che va ben al di là dello scherno e del disprezzo da barzelletta da osteria, non manca di farsi notare a ogni evento, ogni occasione, che sia di natura climatica, accidentale o di bilancio.
L’Europa non esiste neppure come entità politica, ché a malapena esistono i singoli Stati che la compongono, tenuti insieme unicamente da un vessillo poco sentito da chiunque e da un insieme di trattati la maggior parte dei quali è nata morta oppure fuori tempo massimo poco dopo. Le parole di Chistine Lagarde, come quelle, ben più scellerate di Ursula von der Leyen, che a fronte della minaccia turca di spalancare le porte del continente ai profughi della guerra in Siria (e, di conseguenza, a molti altri, poiché le migrazioni sono come i corsi d’acqua, scelgono naturalmente la via più facile per scorrere) definì la Grecia ‘il baluardo dell’Europa’, non sono altro che le classiche voci dal sen fuggite, le quali più vengono smentite e più rivelano la loro intima natura: è quello che pensano. Non solo quello che pensano le signore Lagarde e von der Leyen, bensì quello che pensa il tedesco medio, il francese medio, l’olandese medio e così via, includendo anche l’italiano medio – l’europeo medio, in due parole.
I quali, piaccia o meno, sono pur sempre gli elettori ai quali, di tanto in tanto, ci si rivolge. Se non si intende optare per la paradossale proposta brechtiana di cambiare l’elettorato, non potendo cambiare il governo. Il tutto, in realtà, si riduce a molto poco, non essendo necessario dilungarsi in cosiddetti ‘approfondimenti’, che hanno più spesso la funzione di diluire e infine disperdere ogni quesito, perplessità, critica, osservazione. Non c’è rappresentatività (c’è tutto sommato anche poca governabilità, se è per questo, pur se a quest’ultima i cosiddetti realisti sostengono sia necessario il doloroso sacrificio della prima – doloroso certo non per loro, che considerano la partecipazione democratica un fastidio, un disturbo al conduttore); non c’è modo di cambiare, non c’è modo che un’istanza, per quanto rimodellata, rimodulata, emendata fino a far sbiadire grandemente il proprio senso originario, giunga ad avere la benché minima possibilità di essere rappresentata.
Non intendo farmi carico del già nominato comune sentire, compito immane e impossibile per chiunque volesse assumerselo: invito, però, chiunque a volerlo verificare, nel proprio Paese e all’estero. E’ esperienza comune a chi abbia la ventura di avere un certo numero di anni di vita alle spalle: ogni popolazione ce l’ha col proprio governo e questo è un dato di fatto; così come è un dato altrettanto di fatto che una tale considerazione sia inevitabile quanto maggiore sia la popolazione e variegati siano gli interessi sociale ed economici di una determinata entità nazionale, se non altro perché è ovviamente impossibile accontentare tutti – è il motivo per cui qualcuno pensò al sistema maggioritario: chi vince prende tutto, lo sconfitto pensi a costruire la prossima vittoria, invece di lagnarsi del malgoverno degli altri. Ma un conto è il generico e a tratti qualunquista malcontento: altro è lo stordimento, altra cosa è la frustrazione nel constatare un deficit di rappresentanza che non si sa neppure come e quanto colmare; altro ancora è vedere come, sistematicamente, le istituzioni europee non perdano una sola occasione per rimarcare questa sensazione, che si tratti di migranti, di bilanci statali e comunitari, che si tratti di modi di pensare ed intervenire (o non intervenire) che a stento si può definire diversamente da disumani; altro ancora e infine, è toccare letteralmente con mano come la burocrazia, che a parole TUTTI esecrano, sia l’unico tratto comune e costante di qualsiasi iniziativa, attività, perfino pensiero e, sì, azione, all’interno del continente.
Personalmente ho l’ardire di affermare che esista una percezione concreta e fondata di come all’interno di questa Europa Unita, sottoposti non tanto e non solo a una certa politica comunitaria – che, nella pratica non ha valore, non al proprio interno e neppure all’estero, data la palese mancanza di un progetto comune – vincolati a leggi di bilancio e a politiche monetarie che per loro stessa natura o sono indipendenti dalla politica e ne pretendono subordinazione oppure, semplicemente in quanto tali non esistono e, infine, di fatto governati da personalità che non devono rispondere ad alcun elettorato, non essendo stati votati da nessuno e quando dico governati intendo dire che le vite di ciascuno dipendono strettamente da decisioni prese da costoro, ebbene detto tutto questo, i cittadini europei nel loro insieme e presi uno per uno singolarmente, abbiano la sensazione, più o meno definita e precisa che chiunque sia il rappresentante politico da loro scelto, per il proprio parlamento o per quello che siede a Strasburgo, di qualsivoglia tendenza politica, le più estreme fra loro in opposizione ovvero le più blande, accomodanti –  e, verrebbe da dire, ecumeniche – il suo peso politico e, in definitiva, economico, sia uguale a zero, proprio in quando governati da non eletti, dunque da persone che non hanno responsabilità se non avanti a un consiglio di loro pari.
Detta in altre e conclusive parole: che importa quanto dice Lagarde a proposito del rapporto fra resa dei titoli di Stato di questo o quel Paese, quando la politica stessa del credito è loro sottratta? Quando è esclusiva materia – più spesso preda – di un mercato finanziario che non è una maledizione divina e neanche una catastrofe atmosferica, eventi sottratti alla volontà umana, ma proprio da esseri umani creata, gestita e sottratta al controllo di coloro i quali, poi, ne pagano le conseguenze e perciò stesso modificabile se solo fosse possibile e, invece, questa alternativa non viene offerta loro?
Di quale offesa alla solidarietà comunitaria si lamenta (ma anche: di quale solidarietà comunitaria blatera?) chi critichi le parole di von der Leyen, nella sua veste di presidente della commissione europea, quando nello stesso continente che rappresenta vi sono singoli Stati che, offrendo condizioni fiscali vergognosamente più favorevoli alle multinazionali, di fatto assimilando la propria attività a quella di un qualsiasi altro paradiso fiscale, nel concreto svolgono quella che perfino il diritto romano chiamava, condannandola, concorrenza sleale? E neanche nei confronti di Paesi extra europei – il che, già si per sé violerebbe uno dei principi del liberismo economico, ma si sa che i liberali sono prontissimi a vedere la pagliuzza altrui, dimenticando la trave propria – ma a danno dei propri consociati europei?
Non c’è niente di male a essere un’espressione geografica: essendo un dato di fatto, se non altro è anche situazione più facile da affrontare e il farsene una ragione costituirebbe quanto meno una sofferenza minore per i popoli e gli strati più deboli, presenti in ciascuno dei componenti la UE. E, per cortesia, la si faccia finita col mantra, frusto e offensivo per l’intelligenza altrui, secondo il quale un’Europa di Stati bensì sovrani ma volta per volta strategicamente alleati in questa o quella situazione e non costretti in un’Unione ipocrita e sottomessa alla finanza, sarebbe ramoscello in preda alla piena del fiume, al cospetto delle potenze mondiali, giacché quello che vediamo adesso, che molti di noi vedevano trenta e passa anni fa con le prime sciagurate avvisaglie della moneta unica allora chiamata ECU, e che ancora vedremo per decenni, non è altro che una comunità di riottosi, distantissimi per lingua, sostrato culturale e senso di comunanza che si detestano fra di loro, che vivono una condizione schizofrenica di obbligati a obbedire a regole assurde e non democratiche, per poi agire (coloro che ne hanno maggiore forza economica) in ordine sparso e senza il minimo barlume di pensiero e interesse comune: se non è un ramoscello divelto dalla piena, è qualcosa che gli assomiglia molto, per chi voglia vederlo e non è con la retorica autoreferenziale degli europeisti da parata che lo si trarrà in salvo.

Cesare Stradaioli