DI NUOVO SUL VINCOLO DI MANDATO

C’è un presupposto, alla indecente carnevalata della (presunta) crisi di governo innescata dal senatore Matteo Renzi: presupposto che, immediatamente – e necessariamente – diventa momento chiave, ma successivo alle dimissioni di due ministri facenti parte del partito dell’ex presidente del consiglio. Tutto quanto sta accadendo al momento in Italia e che sta verosimilmente ostacolando o ritardando non solo le operazioni di somministrazione del vaccino, ma con tutta probabilità altre, diverse ma non meno importanti attività, che riguardano scuola, lavoro, decisioni centralizzate e locali, è possibile solamente in base al principio costituzionale secondo il quale ogni parlamentare svolge la propria attività senza vincolo di mandato (cfr. articolo 67 della Carta). 
Ove mai detto vincolo fosse già stato introdotto – come personalmente sostengo da anni – i contatti interpersonali intrecciati al fine di convincere al voto a favore ovvero contrario all’attuale esecutivo in carica, semplicemente non avrebbero senso di esistere. Per contro, proprio la possibilità – direi la necessità – che si tengano, è il presupposto che abbia avuto luogo un’azione che, volente o nolente (sulla seconda ipotesi non c’è da credere neanche per un momento), ha messo in difficoltà il governo, di fatto costringendolo a occuparsi d’altro. 
Per chiarire: è fuori discussione che un parlamentare goda, oltre ai tanti altri privilegi, del diritto (e dovere, se del caso) di votare secondo coscienza. Ma, allo stesso tempo, è evidente che, se a oggi l’eventualità che un parlamentare dell’opposizione pro tempore, nell’esercitare il suddetto diritto dovesse dimettersi, lasciando il posto al primo dei non eletti del proprio partito o della propria coalizione, a seguito di espulsione, sanzione irrogatagli proprio per avere votato contro l’orientamento del gruppo di appartenenza, il mercanteggiare voti pro o contro il governo (più spesso pro e di frequente anche commettendo reato) risulterebbe fenomeno ridotto ai minimi termini – gli stessi che misurano il livello di dignità di buona parte dei parlamentari di oggi e del non più tanto immediato passato – al punto da non avere più il ruolo di presupposto per aversi tentativi di crisi di governo. 
Per non parlare del fatto che una ulteriore, disdicevole conseguenza – ormai consolidata nei decenni – della mancanza di vincolo di mandato, è rappresentata dall’inesauribile formarsi dei cosiddetti ‘gruppi misti’: fenomeno ormai consolidato che aggiunge frammentazione a un quadro politico già suddiviso di per sé in partiti e partitini, grazie anche a cervellotici e insensati sistemi elettorali succedutisi nel tempo, oltre a diventare, in fin dei conti, un formidabile modo per aggirare, tramite aggregazioni spurie, il problema del quorum minimo di percentuale per sedere in Parlamento. 
E’ davvero giunto il momento di superare, con una norma ovviamente di pari livello anche nel modo di essere scritta, l’articolo 67 della Costituzione: ha fatto il proprio tempo, purtroppo e non da oggi.

Cesare Stradaioli