DEMOCRAZIA COME GIUBBOTTO ANTIPROIETTILE

Ci sono frasi, affermazioni, prese di posizione alle quali, dopo un certo tempo e un considerevole numero di ripetizioni, quasi ci si affeziona, al punto da quasi scoraggiare ogni possibile replica. La più recente – è un po’, per il vero, che non se ne sentiva accennare – è di poche ore fa, l’uscita del Corriere della Sera odierno, l’affermazione di Aldo Cazzullo, una delle sue firme più prestigiose: nel compiacersi per la qualificazione della nazionale del Marocco alle semifinali del mondiale di calcio in Qatar, mette in guardia sulle bandiere palestinesi che occhieggiano fra quelle marocchine allo stadio; non si contesti Israele che, in quella disgraziata zona del mondo nota come Medio Oriente, è l’unica democrazia.
A memoria personale, furono i giovani (altro termine che, alla pari di democrazia, avrebbe bisogno di una seria rivisitazione: urge togliere orpelli e ragnatele) della FGCI i quali, più o meno all’alba degli anni ’80, a esprimere un concetto analogo, che a lungo fu poco condiviso da altri – il che vorrà pur dire qualcosa, visto il successo riscosso – secondo il quale nel giudicare Israele bisognava pur sempre tenere conto del fatto che fosse, per l’appunto e già allora, uno Stato democratico. In altre parole: piano con le critiche e guardate gli altri, che sono tutti sultanati, regimi autoritari e masnade tribali. A ricordarla tutta, va detto che per un certo tempo questa affermazione li lasciò un po’ al margine della vita politica italiana, condizione alla quale, a quanto pare, si sottoponevano di buon grado, forse come preparazione al radioso futuro di dissoluzione. Israele veniva difesa da una parte non proprio maggioritaria della Sinistra, mentre la destra ruspante ovviamente non poteva avere buone vibrazioni con quelli che qualche gagliardo nostalgico ancora definiva ‘giudei’gli ebrei: il sommo opportunismo di Gianfranco Fini era ancora di là da venire, considerato quello che diceva all’epoca a proposito del fascismo e di Mussolini. Grandi atleti, i politici italiani, capaci di piroette degne di una medaglia olimpica nel pattinaggio artistico.
La Sinistra più, per così dire, politicamente corretta, neanche volendo poteva rimanere cieca e sorda ai massacri cui erano sottoposti i palestinesi e alle palesi violazioni dei diritti umani messe in atto da Israele; erano anni duri: assassinii, attentati, bombe, deportazioni. Qualcuno di una certa età ricorderà nel 1976, all’indomani della strage di donne, bambini e anziani compiuta nel campo profughi libanese di Tal al Za’tar a opera degli squadroni cristiano-maroniti, vero e proprio braccio armato in zona di Tel Aviv (dietro le quinte: non sta bene essere notati a cena con quelli che fanno i lavori sporchi) un articolo comparso su la Repubblica. In quanto editoriale, promanante da Eugenio Scalfari in persona personalmente, come direbbe un personaggio minore di Camilleri, recava il formidabile titolo: Se poi dirottano un aereo – inevitabile corollario: dopo non lamentatevi, visto quello che è successo.
Malgrado tutto, che Israele fosse una democrazia divenne sempre più una specie di schermo solare, quasi il riflesso pavloviano che era dentro ognuno di coloro che, non appena si vedeva o si sentiva qualcuno (magari Amnesty International e qualche free-lance statunitense) mettere in dubbio certi metodi applicati dall’esercito e dai coloni integralisti contro i civili palestinesi, al pari del cane che sentiva la campanella per il cibo, scattava sulle quattro zampe. In una parola, per sintesi: un salvacondotto. Proviamo l’ennesima replica.
C’è uno Stato autoritario, guidato da una giunta militare di quelle solite, che rinchiude in campi profughi un’intera popolazione, a centinaia di migliaia. Altri appartenenti a questa popolazione, ristretti in altre regioni più povere e prive di risorse, per lavorare in città devono quotidianamente passare sotto le forche caudine di posti di blocco dell’esercito. In genere si tratta di assegnazioni punitive e anche per questo quelli in divisa tendono a essere nervosi. E quando succede che alcuni gruppi paramilitari lancino razzi (per solito quasi inoffensivi), subito dopo l’esercito scatena una rappresaglia che, in termini di morti e feriti e poi case, scuole e attività lavorative distrutte, è invariabilmente cento volte maggiore dell’offesa recata. In aggiunta, civili pesantemente armati di testi (a loro) sacri e di armi automatiche, progressivamente e con il beneplacito del governo, si insediano in ulteriori zone sottraendole alla popolazione che le abitava da generazioni. Infine, quello Stato possiede l’arma nucleare e sistematicamente delle raccomandazioni e delle condanne dell’Onu (di cui fa parte) fa l’uso comune che ha a che vedere con mattutine pratiche igieniche. Della Corte Internazionale di Giustizia non fa parte né la riconosce e quindi gli eventuali scrupoli neanche si pongono.
Ne abbiamo un altro, con un presidente e un parlamento eletto con libere consultazioni, che è dotato di un sistema politico con i debiti contrappesi, codici civili e penali, magistratura e stampa ragionevolmente libere entrambe, una Corte Costituzionale e tutto quello che serve affinché uno Stato possa fregiarsi della qualifica di democratico. Se non che, questa nazione, accreditata diplomaticamente pressoché da quasi tutte le nazioni del mondo, fa le stesse cose che fa l’omologa di cui sopra.
All’atto pratico – è questa la domanda che andrebbe fatta a tutti coloro i quali, se non come l’amico dell’uomo di Pavlov, allo stesso modo di un pugile suonato balzano all’inpiedi non appena qualcuno suona il gong di critica a Israele – è da chiedersi e chiedere: a parità di comportamento, non è peggio che certe porcherie le faccia una democrazia?

Cesare Stradaioli