VITE SVENDUTE

La storia, nomi e luoghi a parte, non è neppure nuova: due giovani sono all’ergastolo. La conoscenza degli atti giudiziari, per certi versi è superflua e lo sarà ancora di più se e quando la Cassazione dovesse sancire l’irrevocabilità della sentenza: se possibile, il fatto che i due siano fratelli, in qualche modo rende la vicenda ancora più triste e amara.
Ora, la cosiddetta devianza sociale per ovvi motivi si declina in un numero pressoché indeterminato di ragioni e comportamenti, se con il termine racchiudiamo – omettendo per un momento qualsiasi motivazione personale – qualsiasi comportamento che violi le norme penali. Togliere una vita è un gesto che può avere svariati presupposti e, a prescindere dalla sua gravità oggettiva, va analizzata e, se del caso, catalogata con attenzione, poiché ci può essere un qualcosa, una spinta razionale o irrazionale che, in un comportamento non necessariamente portato a quel gesto, in sé può essere perfino più disprezzabile e angosciosa.
I due fratelli sono stati riconosciuti colpevoli in grado di appello per avere cagionato la morte di un ragazzo: sembra che, al culmine di una sequela di percosse, l’uccisione sia stata conseguenza di un singolo calcio; che, evidentemente, ha convinto i giudici a ritenerne responsabile a livello di concorso anche quello dei due che quel calcio materialmente non ha dato. E’ verosimile che, nel momento in cui hanno deciso di aggredire la vittima, non avessero il proposito di giungere all’omicidio ed è questo che – per paradossale che possa sembrare e in parte lo è – rende il loro comportamento iniziale ancora più infame: il semplice fatto (l’aggettivo va sottolineato per evidenziarne il lato grottescamente disumano) di mettersi in due, superpalestrati, come si suol dire ‘carichi’, a esercitare prepotenza fisica nei confronti di un ragazzino che pesava la metà di ciascuno di loro, del tutto inoffensivo e SOLO, rappresenta l’ennesimo esempio di quanto dovremmo tutti preoccuparci a proposito del degrado umano, prima che economico, che sta vivendo la società in cui troviamo.
Che il povero ragazzo sia morto è un qualcosa di ulteriore: fosse anche sopravvissuto, la cronaca avrebbe comunque registrato uno dei tanti episodi, non molto meno gravi di un assassinio, che rendono manifesta l’oscenità e la bruttura verso cui sta precipitando il nostro Paese. Logiche e inevitabili conseguenze – guai a chi se ne stupisca: sarebbe una palese ammissione di complicità, anche solo idiota – di decenni da un lato all’insegna della mortificazione della scuola e delle più elementari pratiche di convivenza civile e dall’altro lo sviluppo di quel mostruoso assetto mediatico composto da una indefinita serie di trasmissioni televisive, andate da tempo oltre il limite della decenza e dell’imbesuimento, che formano un tutt’uno con una serie di ripetuti e ossessivi inserti pubblicitari, invasivi al punto da avere reso i programmi del palinsesto di ogni singola emittente una specie di intervallo fra due messaggi commerciali (miracolo dell’economia liberista e libera da vincoli normativi e scrupoli morali: invertire l’ordine genetico delle cose), nei quali trovano compimento e visualizzazione i più vieti e indecenti spettacoli di miserabili disgraziati pagati per collocarsi a livello inferiore alle bestie da circo o da zoo ovvero starnazzanti megafoni di sciagurati inviti all’acquisto di qualsivoglia bene, per lo più inutile se non dannoso.
Il letamaio che ne risulta è un miscuglio di messaggi, indistinguibili l’uno fra gli altri, innervati di machismo, superomismo, suprematismo, disprezzo dell’universo femminile che batte per distacco la più vieta forma di misoginia; modelli di vita e comportamernto che provocano i più bassi istinti umani per poi dare loro libero sfogo, in uno schifoso – le parole ci sono e vanno usate – minestrone mediatico fatto di sopraffazione, violenza verbale e fisica, bavosi ‘guai ai poveri’ sputacchiati da mestieranti comprati e venduti per tre palle a un soldo. Un complesso che pervade la vita di chiunque, la insegue, la incalza in ogni momento di vita di relazione e lavorativa, che penetra nell’ambito sociale anche di chi ne rifugge modi e contenuti e vorrebbe esserne esente – cosa pressoché impossibile, a meno di scegliere una vita rigidamente monastica – e che ha quasi del tutto sostituito i rapporti sociali che dovrebbero in qualche modo essere presenti in un consorzio civile degno di tale qualifica.
Disgraziati, in altro modo, sono anche quei due poveri assassini. Se la terribile esperienza che li attende portasse a cambiare le loro rispettive vite; se in carcere fossero in grado di diventare uomini appena migliori di quelli che sono ora; se in ragione di ciò avessero l’opportunità di riacquistare la libertà nei modi e termini previsti dalla legge anche in presenza della massima condanna prevista dal nostro ordinamento, non di meno, anche in questo caso sapremmo di due vite in buona parte buttate, malvissute, sprecate anche e soprattutto a causa di una società in gran misura marcia, corrotta e corruttrice, viziata e violata da un sistema economico anti-umano, più che disumano. Che oltre a produrre ingiustizia e disuguaglianza sociale – anzi, proprio in conseguenza di ciò – crea i presupposti di altre vite perse, distorte, condizionate da bisogni personali fasulli, inventati a uso e profitto di coloro che fanno del potere economico un’arma di condizionamento di milioni di vite e destini personali. Gli stessi che, ogni qual volta emergono nelle cronache fatti come quello che ha sicuramente distrutto una vita e ne ha probabilmente tarato per sempre altre due (con relative famiglie), tramite i mezzi di informazione e i personaggi di cui dispongono, inducono a credere che si tratti di comportamenti estemporanei e patologici, quando in questo mondo dominato dalla persuasione pubblicitaria non sono altro che punte di iceberg di situazioni del tutto comuni e fisiologiche.

Cesare Stradaioli