CONTRO QUESTA EUROPA

Sarebbe ora di smetterla di avere paura di usare le parole che vanno usate: questa Europa, questa Unione Europea, questo simulacro di casa comune dotata di un tetto (che pure ha diverse tegole smosse) ma con finestre senza vetri e fondamenta appena abbozzate – l’equivalente architettonico dell’aver formato un consorzio economico di Stati diversi per forme di governo, partendo dalla moneta unica – non è l’Europa di cui hanno parlato per decenni a me come a tutti i cittadini italiani e continentali e certamente non è l’idea di Europa che avevano i detenuti politici di Ventotene i cui nomi, alla stregua di una confezione di kleenex, vengono normalmente tenuti in un cassetto e utilizzati alla bisogna per nettare questo o quell’orifizio.
C’è, fra gli altri e forse più degli altri, un aspetto francamente insensato e grottesco in questo ircocervo, animale sconosciuto tanto alla scienza che si occupa di biologia quanto a quella politica, creato in vitro da maldestri apprendisti stregoni: la Commissione Europea, organo esecutivo della UE e promotore del processo legislativo, per statuto e per ispirazione fa capo a un Presidente. E’ curioso come perfino nella tempesta di opinioni (per lo più idiote e fuori luogo) scatenata dal referendum britannico del 2016, non si siano sentite voci, considerazioni, valutazioni di sorta a proposito di come un cittadino belga, olandese, danese, spagnolo e svedese, appartenenti a nazioni monarchiche da che esistono, come del resto la fuoriuscita Gran Bretagna (ci sarebbe anche il Lussemburgo, che è un Granducato) possa sentirsi vivendo regolato in ogni aspetto della propria vita, all’interno di un insieme di Stati tecnicamente a guida repubblicana, scaturente da elezioni e non da successione ereditaria. A maggior ragione per il fatto che, a quanto sembra, in ognuna di queste nazioni un partito che abbia nel nome e nel programma l’instaurazione della forma repubblicana, dal punto di vista delle percentuali elettorali generalmente si situa da qualche parte fra lo zero e quasi niente e lo zero e qualcosa. Per non parlare del fatto che alcuni di questi Stati sono a impostazione presidenziale ovvero parlamentare: avendo così una Repubblica come quella francese in cui il Presidente è un Re a termine (alzi la mano chi sa il nome del primo ministro pro tempore) e una monarchia come quella olandese che regna volutamente nell’ombra di una discrezione tipica del luogo.
Questa Europa è un accrocchio di popoli che, quando non sono divisi al proprio interno da secolari e quasi insuperabili antipatie o rivalse, qui e là si detestano cordialmente oltre confine, truffano il consorzio realizzando extra gettiti dall’export (cosa non consentita dal regolamento di condominio) o affittano parte delle proprie case – sottotitolo: legislazioni fiscali particolarmente ghiotte alle multinazionali e a danno degli altri membri dell’allegra combriccola; cosa anch’essa vietata, prima che da un’apposita norma, da un minimo sindacale di senso di appartenenza comune.
Questa Europa non è altro che un forzatura della Storia e come tutte le forzature tende ad avere vita breve e travagliata. Sempre che sia consentito parlare di vita, in relazione a un insieme di Stati i quali, a prescindere dalle storture e dalle stranezze di cui sopra, non sono in grado di realizzare un barlume di linea comune e condivisa in politica estera e accoglienza, tanto per menzionare due aspetti fondanti di un vero Stato o di una vera unione.
Questa, che per comodità di linguaggio chiamiamo Europa e che oggi come oggi rappresenta solo un’entità geografica, è riuscita unicamente tramite l’uso della forza – basti pensare, a titolo di esempio, alla guerra scatenata contro la Grecia e il suo governo legittimamente eletto e confermato da un referendum popolare – a imporre (approvare è parola che presuppone una consultazione) un contorto guazzabuglio di norme bancarie e finanziarie, appositamente sconosciute e incomprensibili ai cittadini, essendo per propria natura strettamente riservate agli addetti ai lavori. Osservando questa Europa, ascoltando ed esaminando le interminabili e ripetitive falsità che a suo proposito che vengono espresse, si impongono due riflessioni.
La prima concerne l’inutilità del ripetere cose ovvie e, per paradossale che possa sembrare, pacificamente date per assodate. Per tutte, la considerazione per la quale uno Stato nasce federale o non lo potrà mai diventare, pena compiere per l’appunto una forzatura storica. Cosa detta, ridetta, risaputa: principio presente in qualsiasi testo di Dottrine Politiche. L’assoluta inutilità dell’aver fatto presente, in più livelli e situazioni, un tale principio, è sotto gli occhi di chiunque voglia vedere. Non ci potrà mai essere un’Europa federata, al netto dell’insuperabile questione repubblica/monarchia, a proposito di forma statuale. Bene, passiamo oltre. La discussione scaturita da tale riflessione ha preso circa un quarto d’ora di tempo: dopo di che è stata accantonata; bisognava occuparsi del tetto, le fondamenta verranno. Forse anche mai.
La seconda riflessione potrebbe anche avere un aspetto positivo: non può non riuscire nel proprio scopo qualcosa che non esiste. Sicché, sembra anche ozioso argomentare intorno a un possibile fallimento, dati i presupposti. Se non che, l’aspetto positivo, o non necessariamente negativo, sbiadisce in fretta. Da decenni tutto prosegue in una sorta di quieta inerzia: se invece di inerzia fosse almeno disperazione, come cantava Roger Waters, se ne potrebbe trarre spunto per un movimento opposto di ribellione. Mettersi contro l’inerzia è quasi impossibile, dal punto di vista della fisica e in politica vale lo stesso discorso. Tutto – un qualcosa di sostanzialmente indefinito – procede senza niente, più che senza scosse; nessun progetto politico, economico, sociale, nessun piano comune riguardo la scuola, l’energia, la difesa, l’industria, l’agricoltura, il turismo, la solidarietà interna e internazionale. Per questo l’Europa, questa Europa non esistendo in vita, non può fallire: dichiarare fallita un’esperienza, che sia politica o imprenditoriale, presuppone che qualcosa di preesistente abbia mancato di realizzarsi.
Se non altro la valuta chiamata euro, che secondo molti altro non è che il marco tedesco sotto mentite spoglie, proprio per il suo essere qualcosa, qualcosa rappresenta; il meglio, se si può utilizzare questo termine, che si possa dire di questa Europa, è il suo destino di essere una provincia degli Stati Uniti e in questo senso verrebbe da dare ragione a coloro che nel Regno Unito votarono per uscirne: se devo dipendere da Washington, tanto vale farlo senza regolamenti astrusi e cretini, imposti da periodiche dichiarazioni tanto tonitruanti quanto vuote di vecchi rottami con la pancia e donne eleganti e appositamente phonate e senza stupidi circhi elettorali, meno rappresentativi di una sagra parrocchiale.

Cesare Stradaioli