ANNIVERSARI SENZA OSPITI

Manca qualcosa, nell’insieme di interviste e servizi giornalistici in occasione del trentennale dell’operazione cosiddetta “Mani Pulite”. Si sono viste, sentite, lette dichiarazioni di esponenti politici (uomini, per lo più) che furono, a vario titolo, protagonisti di quella stagione che fu sociale, oltre che giudiziaria e politica; alcuni di quelli i cui nomi ebbero più notorietà non ci sono più, chi per cause naturali chi per altri accidenti. Poche, pochissime le voci e le opinioni di donne e uomini di oggi, che hanno l’età che quegli uomini avevano all’inizio degli anni ’90. Come se la Storia, che pure ha necessità di riportare e mantenere voci e ruoli di chi la vive in primo piano, anno dopo anno, decennio dopo decennio, potesse e dovesse essere lasciata solo a costoro.
Come si sarebbe detto un tempo: manca l’analisi. Ed è da domandarsi, innanzitutto: ci interessa, l’analisi (logicamente a posteriori) proveniente da chi fu protagonista di un certo periodo storico? E se sì, quanto ci interessa? Quanto è attendibile, pur nel rispetto che di norma merita? E quanto ci interessa – o dovrebbe interessarci – conoscere il pensiero e le valutazioni di chi vive oggi, nel presente, questa società che fu così tanto segnata da quella stagione? In certo qual modo, che ‘Mani Pulite’ sia stata consegnata alla Storia (perché è stato questo e non altro, il suo destino), ha fatto sì che il cataclisma giudiziario, i suoi presupposti e le conseguenze che ne derivarono, sia diventato materia da lasciare a chi c’era, quasi fosse argomento che poco o nulla potesse e dovesse interessare la nostra civiltà e chi, a livelli diversi, ricopre posizioni di direzione, politica, amministrativa, economica, docente, giornalistica.
Mancano serie ed approfondite analisi e riflessioni sulla dinamica libertà personale/confessione/rimessione in libertà, che era e rimane uno snodo cruciale del sistema penale. Si tratta di questioni che un tempo erano riservate a ristretti circoli di addetti ai lavori, eminenti archimandriti totalmente dediti a compiti di puntualizzazione e verifica più simili ad autopsie che a meditazioni in punto di diritto sostanziale. Ora non sono più neppure quello, poiché si è persa per strada una seria corrente di pensiero formata da giuristi, magistrati, esperti del ramo. Questo vuoto lascia molte cose in sospeso: il che raramente è cosa buona nella vita ordinaria delle persone ma diventa talvolta letale nel momento in cui si mette in moto il meccanismo delle indagini.
E’ lecita la privazione della libertà personale? Certamente, in determinati casi, specie quando riguarda persone in grado, con il potere di cui dispongono – sia esso economico o anche carismatico – di inquinare le prove, sovvertire le dinamiche dei fatti, corrompere od ostacolare l’attività di testimoni. Ovviamente tutta la trafila è vagliata da una filiera di magistrati, ma questo può non essere sufficiente a tranquillizzare le preoccupazioni di chi abbia a cuore la libertà personale. Succede che Tizio decide di ammettere determinati fatti propri e/o altrui: a questo punto non vi è più pericolo per la salvaguardia delle fonti di prova. E’ giusto, è normale, è corretto restituirgli la libertà, anche magari in attesa del suo giudizio? Naturalmente sì: la custodia in carcere è sempre l’extrema ratio. Ma, si pone una questione: non sembra, almeno all’apparenza, che questa dinamica, sfrondata di ogni orpello e tolta ogni etichetta, in fin dei conti si risolva in una semplice manovra per la quale io ti restituisco la libertà solo se?
Non c’è verso di venirne a capo: se non confidando sulla coscienza di ciascuno. Sarebbe il caso di evitare di fare le vergini vestali; sono decine le occasioni nella vita di chiunque, nelle quali non vale altro che la coscienza di qualcuno: perché tanto strepito, quando si parla di ipotesi di reato, pericolo di fuga, inquinamento delle prove o coercizione dei testimoni? Il punto è quello: non vi è risposta, dal momento che una straordinaria opera di semplificazione ha via via nel corso del tempo ridotto ogni vicenda giudiziaria a talk show televisivo. Dimenticando la fatica della ricerca, del porsi domande, del voler andare realmente a fondo. Who, what, when, why e where, stando alla meravigliosa cinquina scaturita dal giornalismo d’oltreoceano.
Perché, alla fine di tutto, dopo decenni in cui sono successe molte cose, all’interno e all’esterno dell’orticello italiano, del fenomeno a metà strada fra il giudiziario e il mediatico pare essere rimasta – diciamo così: per colatura naturale, come i condimenti a base di pesce – l’idea secondo la quale ci sono solo i corrotti. I quali, beninteso, esistono: solo che  nella narrazione partita dal fortunatissimo libro La Casta, è sparito un soggetto, il che dovrebbe essere foriero di sospetti, dal momento che il fenomeno corruttivo è un gioco che si gioca in due. Manca il corruttore. Manca quello che offre, chiede, sottosta: per comodità, per proprio tornaconto, per vigliaccheria, perché da che mondo è mondo si è sempre fatto così. Per disonestà: le parole ci sono, vadano usate. Non a caso alcuni magistrati che condussero all’epoca le indagini videro le proprie figure passare dalla venerazione assoluta mentre disponevano arresti eccellenti, al brusco voltafaccia nel momento in cui cominciarono a rivolgere l’attenzione su coloro i quali quei soldi consegnavano.
Se qualcosa rimane, come cantava l’allora biondo aedo di una certa gioventù – quella che guardava altrove mentre volavano i sampietrini – è quello che viene riproposto ancora oggi, quando chi dovrebbe offrire una descrizione storica di quanto accadde trent’anni or sono, si limita a cercare nomi e date su internet, per poi ascoltare sempre i soliti (che, come i partigiani, prima o poi si estingueranno per ragioni naturali), a perpetuare la stessa favola: C’era una volta un ridente paese, nel quale qualche migliaio di persone che venivano chiamati politici, assessori, consiglieri di vario livello locale e nazionale prendeva dei soldi per fare o non fare determinate cose. Fine della storia.
Parafrasando un verbale in pretto stile sbirresco: “Allo stato degli atti, eventuali datori di detti soldi NON sono attivamente ricercati.”

Cesare Stradaioli